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Il giornalista americano James Surowiecki esplora in questo suo scritto il fenomeno della saggezza che scaturisce non dai singoli, bensì dalla massa. Secondo una credenza assai diffusa, „la massa è stupida“. Un proverbio addirittura dice, usando una metafora crudele: „Le fontane da cui può bere il popolino sono tutte avvelenate.“
Surowiecki, esperto di economia che scrive per The New Yorker, cerca di dimostrare che, anche nei circoli decisionali ai livelli più alti (governativi e di management industriale), è più probabile che la soluzione a un dato problema venga fornita da un eterogeneo gruppo di persone che non da un solo individuo o da pochi individui accomunati da stessi interessi e da stessa estrazione scolastica - per quanto „esperti“ questi ultimi siano.
La scienza sociologica si è già occupata largamente dell’intelligenza collettiva, e Surowiecki in fondo non aggiunge nulla di nuovo alle nozioni già note e stranote. Ma il fatto che il suo libro esca proprio in questo periodo di neoliberalismo che sembra voler premiare le aziende condotte da „singoli capi“ anziché da un gruppo di vari responsabili, spinge a una seria riflessione sull’andazzo delle cose, sul perché il mondo stia precipitando verso un abisso imperscrutabile.
L’autore sviluppa qui i suoi concetti sulla Wisdom of Crowds („La saggezza delle folle“) già illustrati negli articoli finanziari per il New Yorker. Sebbene giuri sull‘infallibilità del pensiero collettivo, la sua veduta del mondo è di natura capitalista. Secondo lui, fanno male quelle ditte che si appoggiano a un solo esperto anziché a un gruppo di consulenti. La saggezza – scrive Surowiecki – nasce da:
1) diversità di opinioni;
2) libertà morale dei membri del gruppo (dunque, non devono esserci conflitti di interessi);
3) decentralizzazione;
4) un metodo efficace di aggregamento di tutte le opinioni.
Nel volume vengono comunque trattati anche svariati altri temi, non necessariamente legati alla conduzione di un’azienda. Così come sulle sue colonne, anche qui l‘autore scrive di argomenti di interesse generale: dal traffico automobilistico ai quiz televisivi, dalle votazioni politiche a come creare un motore di ricerca per Internet sul modello di Google. Il tutto, certo, sempre sotto l’egida dell‘idea secondo cui „sono i singoli a essere stupidi, non le masse o i gruppi di individui“. Il suo linguaggio è molto accessibile e molti sicuramente sapranno trarre vantaggi intellettuali (e forse anche pratici) dai suoi assiomi teorici, basati sulla nozione della controintuitività.
Questa nozione nasce da un fatto accaduto nel 1906. Francis Galton, noto per aver fondato la scienza dell’eugenetica, si trovava a un’esibizione di animali nell’Inghilterra occidentale e vide che era in corso una gara: si trattava di indovinare il peso di un bue. Partecipare costava sei pence, e chi si fosse avvicinato di più alla soluzione esatta avrebbe vinto un premio in denaro. Molti degli scommettitori erano macellai e allevatori (dunque: „esperti“), ma molti altri non avevano alcuna cognizione in merito. Galton rifletté che questa era una combinazione infelice, quasi un’analogia del sistema democratico. Previde che la media delle previsioni sarebbe stata parecchio distante dalla realtà. Fece il calcolo e il risultato che ne venne fuori fu di 1197 libre. Dopo che il bue venne pesato, Galton non poté nascondere il suo stupore: il peso effettivo era di 1198 libbre, dunque vicinissimo a quello della media.
Sulla validità o meno del metodo controintuitivo si potrebbe stare a discutere per ore, ma certo è che la soluzione opposta, ovvero quella del „vincere a forza di colpi di gomito“, non ha mai portato a risultati migliori né li sta portando adesso, in questo periodo particolarmente delicato per l‘intero convivio umano.
Il libro di James Surowiecki ha questo lungo sottotitolo: „Perché i gruppi sono più intelligenti dei singoli e in che modo il sapere collettivo può essere applicato ai nostri scopi economici, sociali e politici“.
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