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O tutto o niente
di Jan Ullrich e Hagen Bosdrof
Pubblicato su SITO
Anno
2005-
Editore Libreria dello Sport
Prezzo €
18-
316pp.
Una recensione di
Ninni Radicini
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Nello sport professionistico tanti darebbero l'anima per diventare
campioni. Poche volte capita di vederne uno che pur essendolo
non si danna per sottolinearlo. Uno e' Jan Ullrich. Per chi avesse poca
dimestichezza con le due ruote e' bene sottolineare che si
tratta di uno di quei ciclisti a cui natura ha donato capacita' che
solo pochi altri hanno avuto.
Anche ai non addetti ai lavori, i nomi di Bartali, Merckx, e forse di
Hinault e Indurain dicono qualcosa. Sono quelli di atleti che fino a
quando sono rimasti in bicicletta hanno vinto moltissimo e su ogni
percorso. Per chiarire di che tipo di ciclisti si tratta e' bene fare
una premessa. Nel pugilato, come noto, si combatte per categorie di
peso, senza possibilita' di incroci: il peso leggero contro il peso
leggero; il peso massimo contro il peso massimo; etc. Non e' ammesso
che il peso leggero combatta contro il peso massimo. Nella
boxe ogni categoria ha sue specificita'. Il peso leggero sara' piu'
rapido del peso massimo nei movimenti ma meno devastante nei
colpi.
Anche nel ciclismo ci sono varie categorie: tre macro categorie:
scalatori, velocisti, passisti. Anche in questo caso ognuna ha proprie
particolarita' e, in un gioco di pesi e contrappesi, a un punto forte
corrisponde una debolezza. Lo scalatore, quello "puro" - con peso
intorno ai 60kg - lo si vede nelle salite, soprattutto quelle con
pendenze elevate, oltre il 7%. Tende a stare in piedi sui pedali, con un
rapporto abbastanza duro. Se non ci sono montagne non c'e' motivo che
ci sia lo scalatore. Nei percorsi in pianura sta nella "pancia
del gruppo", cioe' all'interno del gruppo compatto dei ciclisti, per
viaggiare a velocita' molto piu' elevate di quelle che egli - da solo -
riuscirebbe a raggiungere.
Nei percorsi in pianura, con arrivo in pianura, e' il velocista a stare
all'erta. Deve avere una potenza muscolare notevole, da
sprigionare negli ultimi trecento metri quando spinge il massimo
rapporto alla massima potenza. Il passista e' un treno che, nella
migliore delle ipotesi, deve sapere andare sempre alla stessa
velocita'. Se lo riesce a fare, in salita, in tutti i tratti, a tutte le
pendenze,
fara' la felicita' di qualunque direttore sportivo, e del capitano,
magari impegnato a conquistare o difendere il primo posto in una
grande corsa a tappe.
E' possibile che un ciclista sia tutte e tre cose insieme (scalatore,
passista, velocista)? Per logica la risposta e' "no". Un "no" da
sottolineare cinque volte. Un ciclista, insieme scalatore, passista e
velocista sta a un pugile che sia allo stesso tempo peso leggero,
peso medio e peso massimo. Per logica. Ma oggi lo sport non e' solo
logica e poiche' nessuno ormai si meraviglia che, attraverso
opportuni trattamenti genetici, un pomodoro possa avere il sapore di
arancia, c'e' da credere, con buona approssimazione, che non
passera' molto tempo dacche' un ciclista contemporaneamente scalatore,
passista e velocista non impressionera' piu' di tanto gli
addetti ai lavori e gli spettatori. In fondo gia' avviene...
Se non e' realistico essere insieme scalatore, velocista e passista e'
invece possibile integrare alla specializzazione primaria una delle
altre due. Ad esempio, il velocista, per natura sofferente in salita,
attraverso un maggiore allenamento su quel terreno puo' ottenere un
miglioramento. Cosi', ad esempio, se prima, in una tappa in montagna
arrivava con quaranta minuti di ritardo dai primi, dopo il
potenziamento in salita puo' arrivare con venti minuti di ritardo.
Per altro verso, il velocista che si allena di piu' in salita perde una
parte di quella potenza muscolare originaria e, di riflesso, negli
arrivi
in volata non sara' piu' cosi' forte come prima. Ne e' un esempio Eric
Zabel. In origine velocista "puro", nel corso degli anni e'
migliorato in salita, a costo di perdere parte delle sue
caratteristiche iniziali. Si e' trasformato in un altro tipo di velocista, non piu'
"puro" ma in grado di resistere nelle salite, molto meglio di tanti
suoi colleghi, e in grado di continuare a dire la sua nelle corse con
arrivo in leggera salita.
Pesi e contrappesi si diceva prima. Si guadagna in qualcosa e si perde
in qualcos'altro. Per le grandi corse a tappe (Giro d'Italia,
Tour de France, Vuelta di Spagna), a parte qualche eccezione, sono i
passisti a primeggiare. Passisti pero' di categoria superiore, in
grado di tenere in salita e di andare in fuga, dopo avere fatto cedere
gli avversari con un ritmo alto, e - condizione sempre piu'
ineludibile - di essere anche bravi nelle prove a cronometro.
Nella storia del ciclismo quei quattro di prima - Bartali, Merckx,
Hinault, Indurain - sono stati esempio di questo di tipo di ciclista.
Indurain, i suoi Tour li ha vinti infliggendo distacchi di minuti agli
avversari nelle tappe a cronometro e non mollando mai, o quasi,
nelle salite, dove era molto difficile staccarlo.
A questo quartetto di passisti-cronoman si puo' aggiungere Jan Ullrich.
Campione del mondo dilettanti nel '93; 2o al Tour del France
del '96; 1o a quello del '97; 2o a quello del '98; 1o alla Vuelta '99;
Campione del mondo, a cronometro, ai mondiali del '99; 2o al
Tour del 2000; Medaglia d'oro alle Olimpiadi di Sidney nella prova su
strada e Medaglia d'argento nella prova a cronometro; 2o al
Tour del 2001; 2o al Tour del 2003; 1o al Giro di Svizzera del 2004.
Oltre cinquanta corse vinte. Eppure resta il rammarico che il
numero di questi successi, in condizioni differenti, si sarebbe potuto
moltiplicare.
Nato nel 1973 a Rostok, nell'allora Ddr - Repubblica democratica
tedesca, Jan Ullrich dimostra subito che in sella a una bicicletta ha
pochi rivali. Professionista dal 1995 con la Deutshe Telekom, partecipa
al suo primo Tour de France nel 1996. Ha il compito di
aiutare il danese Bjorn Riis a conquistare la maglia gialla contro
l'allora imbattibile Indurain. Come si sa il compito del gregario e'
molto difficile. Il lavoro consiste nello spendersi per il capitano.
Nelle tappe in salite deve tenere un ritmo alto, almeno per un certo
tratto del percorso, poi si stacca e quell'incarico passa ad un altro
dei gregari della squadra.
Ullrich invece, svolto il suo compito, non si staccava. Cosi' in quel
Tour del '96, arriva al secondo posto a poco piu' di minuto di
distacco. Gia' allora tutti si accorgono del potenziale enorme di quel
giovane ciclista tedesco. Le previsioni si confermano l'anno
successivo, quando, oltre al Tour, vince il campionato nazionale
tedesco e per qualche qualche mese e' primo nella classifica dell'Uci
(Unione ciclistica internazionale).
Per la "locomotiva dell'Est", per "Kaiser Jan Ullrich", il '98 deve
essere l'anno della conferma. Non e' cosi, per una serie di motivi.
Quella edizione del Tour, segnata dall'inchiesta sul doping, passa alla
storia come la peggiore per la immagine della corsa francese,
che ad un certo punto stava per essere fermata. Quanto rimane della
competizione si incentra sul duello tra Ullrich e Pantani. In una
tappa in montagna, Ullrich va in crisi di fame e perde nove minuti. Il
romagnolo prende la maglia gialla e la tiene fino a Parigi,
nonostante il ritorno del tedesco che riesce a recuperare vari minuti.
Nulla di grave. Ma quella che era considerata una specie di macchina
invincibile mostra di avere alcune umanissime debolezze. E'
proprio in questo momento che Jan Ullrich dimostra definitivamente di
essere un grande ciclista. Perche' rifiutando la maschera di
"imbattibile" afferma la volonta' di essere, prima di tutto, un giovane
del suo tempo. Non un automa senza emozioni, costruito per
vincere a vantaggio del business, ma una persona normale con una forza
atletica non comune che sa vincere ma che accetta anche la
sconfitta, come negli ultimi anni al Tour, dove ha incontrato il
"fenomeno" Armstrong.
Per questo motivo Jan Ullrich e' un ciclista benvoluto. Perche' non
vive in modo ossessivo per il ciclismo e non e' disposto a fare
qualunque cosa per vincere. Un'affermazione di personalita' e cultura
che in tempi di sport-spettacolo e sport-business e' prova di
carattere e di indipendenza sempre piu' difficile da trovare nei grandi
campioni.
Una recensione di Ninni Radicini
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