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È impossibile presentare questo libro meglio di come fa il postfattore Guido Vitello che cita le salaci considerazioni di Fernando Arrabal, grande scrittore dotato di acuta ironia e senso dell’umorismo. “Cuba ha già adottato le espressioni della Neolingua di Orwell, nell’isola non ci sono il Minabbon (Ministero dell’Abbondanza), il Miniver (della verità) o il Minipax (della pace), ma c’è il Ministero della Salute che si chiama Minsap e il Ministero degli interni che si chiama Mininter, mentre quello delle Forze Armate è il Minfar”. Le Umap sono un’altra triste invenzione della fantasia malata di una dittatura, sono i campi di rieducazione e lavoro per dissidenti, antisociali, omosessuali, rockettari, religiosi, santéros, nullafacenti e affini che hanno imperversato a Cuba tra il 1964 e il 1965. Il romanzo di Felix Luis Viera parla proprio di questo e parte da una sua esperienza di vita, perché pure lui è stato un antisociale e prima di poter riparare in Messico ha scontato quasi un paio di anni di Umap. “Il lavoro vi farà uomini”, troneggiava la scritta all’ingresso di questi Gulag aperti dal regime nella zona di Camaguey, ed è un’esperienza che a Cuba hanno provato almeno trentamila persone. Reinaldo Arenas, scrittore eccellente che in Italia non si pubblica perché dice cose vere su Cuba e non rientra nei giri di potere di chi gravita nell’orbita del Comandante, ha lasciato le sue confessioni nell’autobiografia Prima che sia notte e ci ha fatto capire quanto sia stata triste la sorte di chi non era in sintonia con il regime. Luis Viera non è un grande scrittore come Reinaldo Arenas, questo è il suo unico limite, ma riesce comunque a far trapelare emozioni e angoscia dalle pagine che trasudano speranza di un futuro migliore per la sua terra. Le Umap sono una delle tante vergogne del socialismo reale cubano e ancora oggi non è finito il tempo dei campi di lavoro forzato dove vengono relegati i dissidenti. Le Umap sono chiuse, ma esistono sempre le prigioni infernali dove si vegeta in attesa della clemenza del tiranno, dove si può solo supplicare e sperare nell’esilio, dove non si ha diritto a niente, meno che mai a parlare. Le Umap sono forse la pagina più buia del totalitarismo cubano e gli omosessuali restano le vittime che più di tutti ne hanno fatto le spese. Non ci dimentichiamo però delle migliaia di fucilazioni, della repressione capillare e delle ignobili condizioni carcerarie che perdurano ancora oggi. Luis Viera ha atteso trent’anni per scrivere le sue memorie dal gulag e non ha inventato quasi niente, il protagonista del romanzo in parte si identifica con l’autore. In Italia pubblichiamo gli assurdi pensieri di Gianni Minà su Cuba, ma non ci passa neppure per la testa l’idea di ristampare Guilllermo Cabrera Infante (Tre tristi tigri) e Norberto Fuentes, per non parlare di Arenas (un solo libro edito da noi contro l’opera omnia edita in Spagna) e dell’esiliato Alberto Montaner.In Italia i libri importanti su Cuba di solito non arrivano, ma se per caso qualcuno viene pubblicato finisce nelle irreperibili collane di piccoli e coraggiosi editori ostacolati dal sistema dominante. Il regime cubano viene difeso a spada tratta da loschi figuri che forse sono pagati da qualcuno per continuare a dire le cose che dicono. La nostra speranza è che si cominci a far raccontare il regime liberticida di Castro ai cubani della diaspora, gli unici legittimati a parlare di Cuba. Ne abbiamo abbastanza di confidenti del re che ci raccontano le loro parziali verità su una Cuba che non esiste e che forse non è mai esistita. Noi consigliamo la lettura del libro di Luis Viera e vi diamo il sito dell’editore dove ordinarlo: www.cargoedizioni.it. Non ve ne pentirete.
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