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Frammenti
di Giampaolo Giampaoli
Pubblicato su PB18
Anno
2007-
Associazione Cesare Viviani
Una recensione di
Bartolomeo Di Monaco
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Giampaolo Giampaoli, laureato in Storia presso l’università di Pisa, insegnante di materie letterarie e giornalista free-lance, ha già al suo attivo una raccolta di poesie, “Diario di poesia”, uscita nel 2002 con Prospettiva editrice. In questo esordio, il tema dominante era la solitudine e la ricerca di un punto di riferimento che tardava a prendere forma. Scrivevo allora: “I versi si snodano tra parole semplici, con le quali si costruisce una ricerca quasi disperata, impossibile, il cui lamento è come un'eco che si ripercuote anche dentro di noi.”
Ora esce in e-book (rintracciabile sul sito della Associazione Cesare Viviani) questa seconda raccolta, ancora pervasa dallo stesso senso di smarrimento, di malinconia, di ricerca e di attesa: “Ci scopriamo mossi/verso l’enorme anima/dal sapore di sale,/che può contenere/assorbire, cancellare/un’esistenza triste/inutile, non riproducibile.” E anche: “Vivi senza vivere l’infinito,/dolce e aspra succosità/concessa soltanto agli Dei:/doni proibiti all’umanità.”
È un cammino ostinato e sofferto che il poeta non rinuncia a compiere, rivolgendosi ad una lei in cui stanno racchiuse le baluginanti speranze di una vita che non vuole essere inutile: “Azzardare un gesto/per uscire dal tunnel/privo di immagini.”
Il dolore è offerto sottovoce, come un bisbiglio: “Buonanotte, anche se non senti.”; “Solo i fumi della poesia/riscattano le perse ferite/della coscienza.”, e il mondo è visto con gli occhi di un’anima sofferente, in cui la dolcezza dello sguardo si accompagna ad una rassegnazione ineludibile (“… un domani/privo di certezze.”), come appare nelle poesie: “Un vecchio e il suo cane” e “Niente di nuovo”; in quest’ultima si legge: “Obeso animale a pelo corto:/niente di nuovo in cui sperare,/nemmeno un gesto d’affetto.”
Rispetto alla raccolta precedente si è attutita quella forza di ribellione grazie alla quale ci si può liberare dello sconforto e della delusione. Pare che il futuro sia portatore di altre sofferenze e inquietudini e si vorrebbe quasi non affrontarlo: “Il domani è a brevi passi:/non temo di raggiungerlo,/ma nel frangente scorgerlo/come mai avrei voluto.”
La sola risorsa che ha il poeta è la sua musa, con la quale può inoltrarsi nella illusione e nel sogno. È sempre un breve momento (“Ti rivedo una compagna/nella confusione dell’esistere.”), ma l’unico che possa renderlo felice: “I nostri corpi leggeri/finalmente liberi e snelli/si fonderanno con i cieli,/nelle candide nuvole/cadranno, risorgeranno,/stormi di bambini fedeli/a gareggiare a chi salta/più in alto, nel vuoto.”
Una poesia, sopra le altre, riaccende, pur nell’incertezza, la speranza che il poeta va cercando, ed è “Se restassimo”, in cui si avverte la luce di un risultato possibile: “Se potessimo restare/in divenire, in eterno,/per arrestare inesorabili/i giorni dell’inverno,/che non lasciano riflettere.” L’inverno ricorre nella poesia di Giampaoli come una distesa infinita, un luogo dell’anima, verso cui siamo costretti a dirigerci e in cui ci si smarrisce storditi dal candore e dalla quieta immobilità dei suoi colori, e che ad un tratto si rivela “piovigginoso di male/fuoriuscito dalle venature/dell’aria e della terra.” Sono versi, questi, di una poesia dedicata proprio all’inverno, dal titolo omonimo.
L’ispirazione di Giampaoli si è, dunque, confermata e rassodata. Egli continua il viaggio della sua anima, ansiosa e inquieta, verso “l’atteso inverno”, un viaggio di cui non vuole nascondere nulla e che non teme di mostrare a noi, quale partecipazione di una solitudine (“Ho perso me stesso.”; “la solitudine, unico dono,/unica certezza.”) e di una sofferenza che in qualche modo sono anche nostre: “Cogli il giorno/perché domani un vento ghiaccio/potrebbe congelare il nostro cuore,/cancellare la memoria di noi stessi.”
La raccolta si compone di cinquanta poesie, alcune delle quali, più delle altre, imprimono su di noi le suggestioni e le malinconie di un’anima che, cercando la sua meta, e rivolgendosi alla sua musa, parla disperatamente a tutti noi.
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