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Le vele di Astrabat
di Antonio Messina
Pubblicato su SITO
Anno
2007-
Edizioni Il Foglio
Prezzo €
10-
115pp.
ISBN
9788876061578
Una recensione di
Renzo Montagnoli e Patrizia Garofalo
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Media
79.21%
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Nota introduttiva di Monica Cito
In copertina La dama del drago di Angela Betta Casale
Realizzazione grafica di Oscar Celestini
Recensione di Renzo Montagnoli
Quando mi appresto ad aprire un libro di Antonio Messina avverto già una trepidazione, perché so che sto per avventurarmi in un universo sconosciuto, in un mondo situato su un piano dove l’irrealtà è il riflesso, mediato dalla mente dell’autore, della realtà che ci circonda e in cui siamo immersi.
Leggere le storie di questo grande scrittore è come fare un viaggio nell’onirico e perciò al primo impatto può apparire anche incomprensibile, tanto che consiglio vivamente una preventiva lettura dell’eccellente nota introduttiva di Monica Cito.
Personalmente non trovo grandi difficoltà perché affronto il testo con lo stesso metodo che adotto con la poesia, nel senso che mi lascio andare, mi astraggo completamente da ciò che mi circonda e senza la necessità di soffermarmi sui vari punti proseguo la lettura in modo piuttosto rapido, tanto che assai alla svelta arrivo al termine del testo.
Ritengo anche doveroso precisare che i generi a cui ricorre Messina per mostrarci il suo mondo generalmente non rientrano fra i miei preferiti, passando dal fantasy de La memoria dell’acqua al fantascienza-fantasy, visti certi richiami mitologici, de Le vele di Astrabat. Tuttavia, affronto la lettura senza nessuna ritrosia e mi immergo completamente in un’altra dimensione.
Non sto a delineare la trama, fatta di apparenti discontinuità, ma ci tengo a precisare che il lavoro concettuale già avviato con l’eccellente La memoria dell’acqua qui è diventato più chiaro, in questa ricerca, che non è solo letteraria, di fuggire dall’estrema materialità della vita corrente per rifugiarsi in un sogno, dove elementi del passato si accavallano, si fondono, si dividono, implodono con visioni del futuro, quasi a dimostrare come sia vero che il concetto di tempo sia solo umano.
In questo senso l’autore ci prende per mano per accompagnarci nella sua realtà, senza tuttavia imporcela, perché le immagini caleidoscopiche che ci scorrono davanti possono essere viste a nostro piacimento, con la possibilità così di costruirci un nostro sogno, un rifugio a cui approdare dopo la tormentata esperienza di una vacuità morale del mondo in cui siamo.
L’abilità di Antonio Messina è di avere una scrittura in bilico fra la prosa e la poesia, con l’innegabile vantaggio, così, di poter far apparire come concrete cose che non lo sono, una tangibilità che aiuta il lettore nella completa immersione in un mondo che reale non è.
Astrabat è un pianeta di Sabbie e di Ombre, dove c’è un vento miracoloso che riesce a rigenerare le cellule, così da permettere agli uomini di rinascere. Ma è anche una metafora della storia umana, di una continua serie di apogei e di decadenze, di nascite e di morti, in un disegno i cui motivi non ci è dato di conoscere e che annulla di fatto il tempo.
Può venire in mente il bellissimo film di Kubrick 2001 Odissea nello spazio, ma non è così, perché Le vele di Astrabat ha una sua dignità autonoma, ha una forza che scaturisce dalle parole e che può consentire, a chi l’accolga pienamente, di rendersi conto di quanto potrebbe essere bella la vita solo che noi lo volessimo, solo che rinunciassimo all’egoismo per percorrere insieme, solidalmente, il viaggio terreno.
Non ci sono forzature, né imperativi nel procedere del testo, ma solo una sottile pacata malinconia che induce ad accogliere a braccia aperte il messaggio filosofico che lo permea.
Le vele di Astrabat è un’opera di elevato valore, da leggere, rileggere, assaporare prima con il cuore e poi con la mente. (Renzo Montagnoli)
Recensione di Patrizia Garofalo
“per vivere occorre morire a se stessi “ultima lettera di Van Gogh da Londra al fratello Theo
“ la memoria dell’acqua” di Antonio Messina si articola sulla musicalità di rimandare al cuore ( re-cordor) la ricerca dell’archetipo pur consapevole che, una volta ripartorito, sarà di nuovo fragile e corrompibile dagli stereotipi che regolano la vita di tutti i mondi possibili.
Il testo si snoda senza tempo, luogo, spazio o perlomeno questi elementi sussistono come mezzi di una ricerca, di una sosta che consoli e rinfranchi nei confronti di un mondo quale dovrebbe essere.
Tutto sarà di nuovo contaminato e spingerà ad infinite ricerche, tutte soste quindi all’andare incerto e fragile del vivere, tentativi di vita nella memoria dell’acqua come rigenerazione.
Il mondo è un Parnaso devastato dall’uomo e dalla sua logica, Eden imbrattato da caparbietà e ignoranza; l’uomo è costretto a spingersi tra crolli e rigenerazioni, tra illusione e realtà, tra amore e tragedia a cui però manca il compianto del coro che tanto i greci amavano come momento di consolazione.
Fortunatamente però i muri si sbriciolano, lasciando fessure e crepe, qualche eletto potrà passare, cercare l’inammissibile e viverlo anche senza progettualità eterna.
H.Hesse titolava il suo capolavoro “ Siddartha”, la radice tedesca indica “ colui che cerca “ e il non trovare diventa ipotesi non esclusa ma non per questo meno vitale, proprio nella convinzione che la meraviglia del vivere precipita sempre nel suo contrario , in un alternarsi senza soste.
Thana non ha forse l’etimo di thanatos pur presentandosi come espressione di bellezza e amore?
Vita e morte percorrono quindi il testo del nostro autore che guarda con gli occhi di chi sa che è necessario dare concessione di vita al sogno, al mistero e all’abbandono della logica.
“ vedevo il cielo flettersi, tinto di cremisi al centro; le rondini navigavano tra i corridoi di nuvole che il vento apriva in quell’attimo. Erano belli i colori d’Egretus, il lungo promontorio che si allungava ai piedi di una spiaggia di sabbia fine che si perdeva a vista d’occhio. Il freddo si era fatto pungente, e la pioggia si era tramutata in neve; farfalle argentee brillavano nel cielo crepuscolare, ridando espressivita’ a quel mondo che ricordava l’antico, ad un cielo indeciso pronto a diluirsi nel mare…” pag19
L’acqua lava, pulisce, purifica, è iniziazione di vita, l’acqua parla, consola, è mare, viaggio, perdita, libertà, volo, musica…
Si unisce alla terra solo per chi guarda l’orizzonte ma ne rimane perennemente staccata come un altro mondo. Il rimandare “ la memoria dell’acqua” di Antonio Messina a simbologie greche destinate ad una caduta degli Dei, mi sembra riduttivo. Nel testo, Dei e mondi senza tempo scendono a terra, si incorporano in un laico panteismo e ci permettono di cogliere l’eternita’ dell’attimo che proprio come tale, costituirà l’eterna traiettoria della vita.
Il nostro autore invece conferisce all’archetipo una veste meno consueta. Affida al segno la capacità costante di esistere come “connotativo” e restituisce alla PAROLA la comunicazione del cuore, del sogno, del meraviglioso, del sorprendente.
E’ la parola, l’archetipo musicale che ci dona questo libro, la cura di essa come RITROVATA MADRE… ricercata cantilena d’amore, come fotografia consumata dai sentimenti e dallo sguardo.
E ogni volta, Antonio Messina, muore a se stesso, in un mondo che della parola non sa più cosa farsene, per volare ancora con essa, liberare le catene, esprimere un patto d’amore , di sincerità e di vita. (Patrizia Garofalo Ottobre 2007)
Antonio Messina nasce nel 1958 a Partanna, in provincia di Trapani. Vive a Padova. La sua prima opera di narrativa L’assurdo respiro delle cose tremule, incontra l’entusiasmo di molti lettori, ed anche la critica spende parole d’elogio. L’opera viene recensita su quotidiani, riviste telematiche e cartacee, e riesce a vendere un buon numero di copie in libreria, senza nessun supporto pubblicitario, grazie al passaparola dei lettori. Nel 2006 viene pubblicata la raccolta di racconti La Memoria dell’acqua - con introduzione di Elisabetta Blasi – per i tipi de Il Foglio Letterario, Piombino.
Altri racconti vengono singolarmente editi:
- da L’ombra nella Bottiglia è stato realizzato, nel [2005], un cortometraggio. Il progetto è partito su iniziativa del direttore artistico (Roberto Messina) del Teatro Scuola Grifo D’oro – nell’ambito di un concorso nazionale patrocinato dalla Regione Sicilia, provincia di Trapani, comune di Partanna, BBC Belice, Atp Trapani. Questo cortometraggio sull’alcolismo ha vinto nel [2005] il Primo premio a Città di Castello; il testo inoltre viene richiesto dalle migliori riviste telematiche e, pubblicato in cartaceo da Progetto Babele (Modena), da Tam Tam (Roma), nel [2005]
La Marea. Il racconto viene pubblicato, nel[2005], dalla rivista sarda Gemellae e richiesto dalle migliori riviste telematiche, anche internazionali: Casa da Cultura (Portogallo) Isla Nigra Sud America.
Alcune liriche sono presenti in qualificate antologie poetiche:
- E noi ad Amarci in antologia - Parole d'Amore, [2006]
Il Gesto in antologia- di I Segreti di Pulcinella, [2005]
Sogni di Carta in antologia Penna D’oca, [2005]
L’editore è Giulio Perrone, Roma
La lirica Fiumi di porpora compare nella sezione poetica della Biennale di Venezia-Repubblica.It.
Una recensione di Renzo Montagnoli e Patrizia Garofalo
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