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Sirene
di Laura Pugno
Pubblicato su SITO
Anno
2007-
Einaudi
Prezzo €
11-
148pp.
ISBN
9788806185633
Una recensione di
Katia Piccinini
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Votanti:
8781
Media
79.8%
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Poche pagine ma non una lettura veloce. Sirene di Laura Pugno chiama il lettore alla rilettura, al ritorno all’indietro come fosse, seppur prosa, un testo poetico e quindi denso, pieno, spugnoso di immagini che non si lasciano dissolvere.
Un testo a più piani: quello della vicenda: post-apocalittica; quello della memoria: dolente; quello, forzatamente assente di tempo, dell’amore che ha reso all’Ade l’amato. Tempo e spazio senza riferimenti umani: rimasugli di un mondo incomprensibile e inospitale in cui il sole non scalda ma scortica e uccide. Un lavoro in un allevamento-macello di sirene, mitiche figure dell’eros poetico profanate e trasformate in carne da tavola o da letto. Uno sconsolante utilizzo dei corpi in cui appare, passata però al setaccio della morte, la dolcezza attenta dell’amore di Samuel. L’impossibilità di dimenticare e il desiderio di sentire nuovamente l’amore, e di farlo sentire: Samuel ama di un amore sacrilego e disperante Mia, una sirena mezzo-albina, e addomesticandola con questo amore la libera dalla ferinità cui gli uomini hanno consegnato l’esistenza e libera se stesso dalla morsa della morte in uno scambio, tesissimo sulla pagina, di liquidi di vita.
Scorre profonda la vena lirica dell’autrice e la pagina diventa ora anticamente elegiaca ora abrasivamente descrittiva. Perché per Samuel il mondo ha smesso di essere un posto meraviglioso. E vivere, mentre si è già morti, è non riuscire ad essere davvero né l’uno né l’altro, è sopravvivere alle cose dopo la loro estinzione: uno screpolarsi della pelle e dell’anima (lo “sfarsi” ricorre tra le immagini della Pugno) che, inesorabile, consuma. E non c’è bellezza per Samuel e per il suo mondo e, quindi, non ci sarà salvezza. C’è solo memoria: grumi di memoria che sono grumi di dolore. È la condanna dell’uomo non al sortilegio del canto temuto da Ulisse, ma alla prigionia del ricordo. Pagine che l’autrice (e pare ispirata da parole, notturne senz’altro, di Paul Celan), vuole sulla memoria e sul dolore della memoria quando, inutilmente pastosa e vecchia, si riaffaccia e viene così muta e intraducibile, come il verso strozzato in gola delle sirene, che non fa mai il passato all’imperfetto.
E se la misura del ricordo si è fatta vertigine resta la sola via d’uscita che è, questa volta, silenziosa e delicata: quell’uscita laterale dalla scena che lascia la vista a chi, impermeabile ai ricordi, sa vivere solamente, quietamente, dall’ora al poi. Chi ha preso commiato ha imparato che non ci si difende dai ricordi.
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