Alessandro Baricco, è, come recita la sua pagina su Wikipedia, scrittore, critico musicale e regista italiano. Ma è anche, e forse soprattutto, personaggio in grado di suscitare reazioni forti nel pubblico dei lettori, e non solo di questi ultimi, vista l’ampiezza del campo d’azione di Baricco. Lo scrittore, nato a Torino nel 1958, vanta infatti schiere di ferventi ammiratori, in particolar modo tra il pubblico femminile, e altrettanti, spesso anche più infervorati, irriducibili detrattori. A questi ultimi in particolare risulta sgradita “in toto” la figura di Baricco, giudicato non di rado vanesio e inconsistente sotto il profilo letterario, affetto da incontenibile presunzione.
Mi sembrano però critiche perlopiù ingenerose, spesso viziate dal pregiudizio. Vero è che l’autore ha un aspetto che di solito riscuote successo presso il cosiddetto gentil sesso, e che, specialmente in passato, l’acquisto - se non la lettura - di un’opera di Baricco ha “fatto tendenza”, ma questo è avvenuto, e ancora avviene, anche per altri autori, da Sandro Veronesi a Melania Mazzucco, senza dimenticare Niccolò Ammaniti o, all’estero, i soliti Ian McEwan, Salman Rushdie o Philip Roth. La lista potrebbe proseguire a oltranza. L’accusa di essere scrittori “alla moda” in fondo non mi pare molto diversa da quella, analoga e non meno sterile, rivolta in passato ai nostri cantautori. È la solita, vecchia, falsa questione del prodotto letterario, musicale, e così via, di successo, che, in quanto tale, evidentemente non può essere valido sotto il profilo qualitativo.
A volte non nego che ciò accada, come in effetti accade per certa letteratura, il cui successo è attentamente pianificato come un qualunque prodotto di marketing: lanci televisivi, partecipazione a premi più o meno prestigiosi e più o meno autorevoli (sempre meno autorevoli, secondo me, ma qui il discorso si amplierebbe sino a divenire davvero... doloroso). Del resto, non ho mai creduto al luogo comune dell’artista che realizza i propri lavori solo per il proprio, esclusivo diletto: lo scrittore scrive per essere letto, fino a prova contraria.
Ebbene, dopo quest’apertura che non voleva essere un’apologia dell’autore di Seta, e che certamente attirerà sul sottoscritto gli strali degli anti-Baricco, passo alla recensione vera e propria di “Seta”, romanzo che ho di recente acquistato nella nuova edizione pubblicata da Fandango nel 2007. Una critica che, ve lo prometto, sarà breve, in ciò allineandomi alla stringatezza del testo in questione.
La vicenda, dicevamo. Seta narra la storia, ambientata tra il 1861 e il ’65, di Hervé Jouncourt e dei suoi viaggi in Giappone, alla ricerca dei preziosi bachi da seta. Sarà in questo paese che il protagonista vivrà, o immaginerà di vivere, una storia d’amore con una giovane donna. Da qui scaturiranno la malinconia e il male di vivere del protagonista. Non mancherà il colpo di scena finale, quando Jouncourt riceverà una lettera appassionata e sensuale da... Beh, non voglio rivelarvi da chi, per non privarvi del piacere della sorpresa.
C’è chi si è scagliato contro questo libro, accusando l’autore di aver voluto dilettarsi con un mero esercizio di stile, come a dire che a forza di sottrarre, l’opera risulti senza costrutto, trasparente appunto come la seta. Ma non credo che uno scrittore sia per forza tenuto a costruire opere di proporzioni che spesso finiscono per risultare soverchianti, quando non intimorenti per il lettore. Vi confesso che, in questo periodo di libri dalla prosa zoppicante ma dal marketing ben marciante, l’elaborata leggerezza di Seta ha rinverdito non poco il mio amore, a tratti appassito, per la lettura.
Innanzitutto, come definire Seta? Romanzo breve, racconto, fiaba, esercizio letterario? L’autore lo definisce semplicemente “una storia”, e in effetti di questo si tratta. La vicenda narrata è semplice, impalpabile quasi quanto il tessuto da cui prende il nome il libro. L’autore lavora infatti per sottrazione, con capitoli di lapidaria brevità. Eppure, a tale concisione fa da contraltare una ricchezza lessicale e una cura nella... tessitura di ambientazioni e caratterizzazioni dei personaggi di entità niente affatto minimalista. Viene quasi da pensare, leggendo le brevi pagine di questo libro, a una sorta di haiku in prosa. Interessante, a tal proposito, l’uso ostentato che fa Baricco del meccanismo dell’iterazione, utilizzata ad ampie mani per la descrizione di azioni ricorrenti, come ad esempio i viaggi del protagonista.