Domenico Cosentino non te la manda a dire. Mai.
Le sue poesie sono graffi, urla rabbiose, sospiri eccitati, sbadigli indolenti e fotografie ingiallite ma precise di una realtà dura, fatta di pochi soldi, sporcizia, indifferenza, fumate e bevute.
A Domenico Cosentino importano poche cose, o almeno è quello che lui stesso grida tra le riga scegliendo parole anche imbarazzanti per chi legge ma pulsanti nel loro esprimere soltanto quello che è. Domenico Cosentino è incazzato, non ci sono dubbi, ma sarebbe troppo semplice fermarsi qui. Ci sono altri moti, sentimenti tra i versi che sembrano storti, devono esserlo per descrivere una vita sbagliata, troppo dura e disperata. Poi ci sono l’amore e il sesso dove l’autore è si, esplicito, cinico e a tratti rozzo ma non si nasconde, non gioca con le frasi per abbellire la scena, tutt’altro.
Ogni cosa, elemento, persona, circostanza si proietta nell’occhio del lettore attraverso un’angolazione che arriva dal basso ma non è bassa (il gioco di parole è più che calzante).
Così ci sono le consapevolezze di quei sentimenti vissuti correndo e di quel carattere difficile, complicato che l’autore non si risparmia, anzi si riconosce con la stessa naturalezza con cui addenta una banana.
“La noia ucciderà il nostro rapporto,
il nostro stare insieme ed amarci.
ti avevo avvisata.
tu ora ce ora cerchi negli altri qualsiasi sfogo.
ci si arriva facilmente a questo punto,
quando non si è presi dall’altro
quando ci si ama troppo in fretta.” (pag.16)
Poi ci sono le dichiarazioni, le parole che parlano per il Domenico Cosentino in crescita come individuo che si trova a confrontarsi con un mondo ostile, difficile, sordo.
“non voglio fare concorsi.
non voglio fare corsi di formazione,
né seminari.
non voglio iscrivermi al collocamento.
non voglio cercare casa.
non voglio respirare
bere
mangiare.ànon voglio scopare
non voglio parlare. “ (pag.32)
E quelle parole che sono interiorizzazione, scavo, ricerca di un se stesso imperfetto ma vero, vivo.
“ Io sono i miei sogni che non si avverano
io sono la bottiglia di birra con un dito di birra sul fondo
io sono un sigaro spento, e lasciato a morire nel posacenere.
Io sono le miei mutande sporche.
Io sono la puzza dei miei calzini sudati.” (pag.37)
C’è spazio per tutto, in questi versi, per l’interno come l’esterno che l’autore esplora con sputi e morsi ma non si risparmia. Osserva e descrive tutto senza freni, con l’acidità nello stomaco e la voglia di spezzare quelle catene che sembrano immobilizzare anche l’ambiente, la gente.
“ sono giorni che non ritirano la mondezza,
il puzzo è arrivato fin dentro la mia stanza.
al quarto piano.
la notte mi affaccio al piccolo balconcino
per prendere una boccata d’aria,
e riesco a vedere i topi
grossi come gatti, panciuti
che si danno da fare tra i rifiuti, freneticamente
tutto sta andando in malora e nessuno fa nulla. “ (pag.43)
oppure:
“ in via acquaviva
c’è sempre un’ambulanza,
sia di giorno, sia di notte
con il buono e il cattivo tempo.
sempre lì a caricare qualche povero vecchio,
derelitto, pazzo.
vi chiedo solo una cosa,
quando sarà il mio momento
NON chiamate quell’ambulanza
lì, in via acquaviva. (pag.83)
Ma anche la precarietà, le violenze subite per strada e la paura di non uscirne vivo perché in fondo, nel mondo di Domenico Cosentino sono tutti affamati e moribondi con il corpo o lo spirito.
“ ti puntano un coltello alla gola
e vogliono i tuoi soldi.
come se fosse dovuto.
sono in tre e non hai speranze.
in tasca hai solo cinque euro,
per loro sono pochi.
non sanno che con quei soldi
tu devi camparci per una settimana.
iniziano a picchiarti. “ (pag.95)
Le parole, come accennavo poco sopra, sono dure, a volte grezze, pesanti e usate con l’intento di colpire duro, sempre ma non sono un artifizio. Sono lì per un motivo, per liberare la rabbia e l’odio, per tratteggiare una realtà che negli occhi dell’autore è esattamente come descrive, frustate e indifferenza sorda, morte e fame. Ci sono alcuni componimenti dove si sentono vibrare intenti empatici, sensibili, a dispetto del linguaggio e delle imperfezioni nella punteggiatura che viene snaturata, usata secondo una logica che forse solo l’autore conosce.
“ la gente muore
e non si sa il perché.
la gente muore perché ha i polmoni distrutti
divorati,
da finissime fibre di vetro
provenienti dalla vecchia fabbrica,
che lavora metalli, lì a cento metri da casa mia.” (pag.107)
In alcuni componimenti non sono riuscita a entrare, la poesia è soggettività ai massimi livelli per me. Forse ancora più della prosa perché nei brevi componimenti le parole sono ricercate, anche una pausa, una virgola o un punto diventano importanti. E Domenico Cosentino come già ho spiegato non te la manda a dire. E’ duro, crudo, selvatico potrei dire, non si preoccupa di apparire troppo cinico o esplicito o feroce.
Ma resta una prosa che spurga, sputa e alza le mani, cerca di farsi sentire in mezzo al frastuono, prova a lasciare tracce e vuole colpire. Ci riesce quasi sempre, per quanto mi riguarda.
Pur restando una lettura meno diffusa, la poesia, in questi versi si sentono delle potenzialità che spero, l’autore continuerà a coltivare, tracciare nero su bianco.
Brevissima annotazione per la prefazione dove il libraio Michele Paparella aiuta il lettore ad avvicinarsi a un Domenico Cosentino che conosce bene e ne svela gli intenti, le fragilità e la voglia di scrivere a tutti i costi, contro tutti. Pagine delicate e sincere che dovrebbero essere rilette anche a libro terminato.