Il vento ricco oscilla corrugato
Piccole note sulla poesia di Daniela Cattani Rusich
The poet is the sayer, the namer, and represents beauty [...] but Beauty is the creator of the universe.
Ralph Waldo Emerson, Essays - Second Series - The Poet.
Beauty is truth, truth beauty, that is all
Ye know on earth and all you need to know.
John Keats, Ode on a grecian urn
Cercare di definire il poeta o la poesia è sempre stata una sorta di sfida, nella quale si sono cimentati fior di filosofi e poeti stessi. Ognuno di loro ha speso fiumi di parole e preso direzioni a volte vicine, a volte diametralmente opposte; quasi tutti però sono rimasti abbastanza legati a un denominatore comune, racchiuso nel termine greco poiesis: cioè all'idea del creatore o del demiurgo, di colui che sa plasmare la materia e darle vita. Oppure all'idea di un maieuta, di chi dunque sa tirar fuori da sé pensieri, sensazioni ed emozioni, universalizzandoli. Un po' come dice Giorgio Caproni: "Il poeta è un minatore: va giù nelle viscere dell'io e, miracolosamente, torna alla superficie con poche, lucenti, pepite." Ed è una frase che abbraccia magnificamente la figura e le composizioni di Daniela.
Ma le poesie che abbiamo di fronte non sono solo questo.
Personalmente, mi ha sempre affascinato di più la prima accezione del termine, quella del creatore. Quando penso al poeta, vedo l'uomo (la donna) che, con quella poca argilla che ha a disposizione, riesce tuttavia a costruire splendide cattedrali sospese fra cielo e terra, tanto poderose quanto evanescenti,
(È grandissima e fragile
come quando la vita
era solo pensata,
quasi un tulle da sposa
adagiato sul mare.
[L'Ultima Notte d'Estate])
ma sempre laiche e umanissime.
Questo è ciò che Daniela sa fare, al meglio.
Da bravo demiurgo, afferra il vento e lo soffia sulla materia inerte, dandole vita; una vita che esiste e resiste nonostante tutto, nonostante i graffi che il mondo o il fato o il destino crudele (scegliete voi...) è stato capace di infliggerle:
Arso mi è il cuore
nel fuoco dell'autunno che segnò il tuo nome
come una croce, qui, tra i miei respiri.
Spalanca e scuote il vento le mie porte,
amante figlia dell'amore
invano amata.
[Invano Amata]
Oppure:
...hai viaggiato a lungo in me
- nave pirata -
hai attraversato la speranza
e l'hai spezzata, come si spezza il pane
prima di un lungo addio
senza ritorni...
[Diresti Mai]
Il vento, appunto. Chiamato in prima persona o anche solo evocato come nell'immagine della "nave pirata" qui sopra o nei "drappi neri" che "s'inseguono / nel cielo di lucida pioggia" di Temporale al Tramonto, il vento è una presenza costante nelle liriche qui raccolte. È una specie di filo conduttore, una duttile metafora che richiama alternativamente un senso di forza o di delicatezza, una percezione di potenza capace di sollevare sabbia e alimentare fiamme ("tra vento e mare cresce / fiamma eternamente accesa" - Àmos Ston Ànemos), oppure manifestazione di eterea spiritualità: "ma di vento trasparente / è l'Anima bambina, / affacciata alle finestre / della sera." - Acquarello.
Ma c'è anche musica nel vento; e la silloge di Daniela ne è l'esatta partitura. Divisa in tre parti, come la più classica delle sinfonie, in ogni verso, in ogni strofa, si sentono risuonare accenti ben temperati: archi, fiati, percussioni accordati con estrema cura. Un esempio per tutti:
Luna a rovescio dentro lo specchio del mio sogno
tengo stretta tra le mani nelle notti silenziose;
mi disegna riflessi in controluce sul cuore,
mentre bevo il mistero, che pian piano mi invade...
[Respirando la Notte].
Forza, delicatezza, musicalità... Vita che pulsa in ogni verso, e il vento a farne da metafora perfetta, sintesi sublime di quella caotica armonia che abita lo spirito di Daniela.
Una poetessa e un'amica.
Alla quale spero possano essere di pur piccolo conforto queste parole antiche: "Per chi intraprende cose belle, è bello soffrire, qualsiasi cosa gli tocchi."