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Malta femmina
di Malta
Pubblicato su SITO


Anno 2009- Zona
Prezzo € 19- 226pp.
ISBN 9788895514888

Una recensione di Normanna Albertini
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 Malta femmina

"Dama Bianca,/Dama Nera./ Castellane antiche/ a precipizio sul mare./ Anime in pena/ sull'orlo della follia./ Anime rapite dal vento,/ cullate dal mare,/ guarite o forse/ soltanto sognate."

L'effetto che genera la lettura di questo libro è ambivalente: da una parte il realismo, a momenti spietato, con cui le donne si impossessano della scrittura, rimuovendo secoli di silenzio e di dolore sepolto, produce malessere, leva il fiato; dall'altra, proprio la scrittura femminile, qui composta a più mani (ben 15!) tessuta come un arazzo multicolore o scavata al modo di sinuosità di un labirinto, mai incentrata sul presenzialismo, sull'incensazione, al contrario offerta come dono, bella, con punte di autentica liricità, si rivela liberatoria e rassicurante come un caldo abbraccio. Insomma: chiudi il libro e, se donna, ti senti soddisfatta di appartenere al genere femminile. Se uomo, dovresti provare sollievo nel venire a conoscenza che a fianco a te camminano compagne di viaggio di tale capacità introspettiva e "re - esistenza". La storia. C'è un castello e c'è la ricorrenza dell'8 marzo. Ed eccole, le donne, a convegno nel maniero a picco sul mare (già il mare, nel linguaggio metaforico biblico è l'insieme delle complicazioni della vita...) per dibattere delle loro questioni. Tante donne, differenti per stili di vita, età, mali nascosti, nevrosi e psicosi. Compaiono e si svelano, raccontandosi, lì, nel "castello". Che potrebbe essere semplicemente la fortezza del controllo che ognuno di noi si innalza come protezione, un "castello raziocinante" torreggiante e robusto che ci spinge a tutelare i nostri ruoli, le posizioni, l'idea di essere nel giusto, a confondere la "verità" col nostro punto di vista. Castelli fatti di paura, paura dell'emancipazione e dell'autodeterminazione, in realtà eretti con e sulla sabbia, spesso a difesa del nulla interiore. E allora, subito viene in mente il "Castello" di Kafka. Anche quel personaggio, come le donne di "Malta Femmina", capita al castello convinto di esservi stato invitato come agrimensore, ma poi, in verità, nessuna comunicazione ufficiale esiste a riguardo. È l'ambiguità che contrassegna il rapporto tra l'essere umano e la realtà, tra l'essere umano e la verità, mille volte, però, più sfuggenti, ambigue, confuse e pericolose per le donne. Tutto il romanzo di Kafka è caratterizzato da questa ambiguità, che è la stessa che traspare in questi racconti delle donne, tutte in conflitto tra ciò che desideravano o bramerebbero essere e ciò che, all'opposto, sono dovute diventare.

Le scalinate, le camere del castello davvero potrebbero essere un labirinto, l'intreccio delle angosce, i circoli viziosi che incarcerano le anime delle donne, asservendole e avviluppandole alle loro nevrosi, alle loro ormai meccaniche "coazioni a ripetere". Cordoni ombelicali mai totalmente mozzati che si rinvigoriscono ogni volta che il mondo restituisce moderne e disparate fonti di dipendenza (la famiglia? Il lavoro? La bellezza? Il successo?) soffocandoci in un reticolo mortifero. Spostandosi per le scale e le stanze del castello, riflettendosi negli innumerevoli specchi. Da qualunque angolo si guardi non c'è scampo: specchiarsi è inevitabile... le donne prendono coscienza dell'inopportunità, anzi, della minaccia di questi grovigli, cappi, cordoni; comprendono che devono imparare a procedere sulle proprie gambe, si rendono conto di quanto sia vitale indirizzare in primo luogo a se stesse l'amore e la protezione. Per alcune, tuttavia, è tardi. La malattia, la psicosi, il delirio sono arrivati prima della consapevolezza, spingendo all'autodistruzione o, addirittura, al delitto. Le pagine crude e senza speranza in cui entra la drammatica figura della barbona, abusata, mai soccorsa, mai amata nemmeno dalla madre, mai accolta e ristorata, (perché, anche il trauma più violento può sfociare in una resurrezione se si trova la "chiave accantonata", l' accoglienza e l'ascolto che permettono di medicare le ferite e non farle suppurare, infettando brutalmente l'animo) dimostrano proprio che, per alcune donne, è davvero troppo tardi. Esse sono già morte. Per sempre. L'allegoria, o meglio, la figura psichica del "castello" riconduce anche a Santa Teresa D'Avila e al suo "castello interiore"; qualcuno ha definito "isteria" il misticismo della santa, pure, per Teresa, l'anima stessa era il "castello", non una semplice "casa", ma qualcosa di grande, potente, imponente. Tanto grande da racchiudere la settima stanza, quella dove l'anima incontra finalmente Dio, l'Amore, la Pace. Per un non credente ciò potrebbe essere, semplicemente, la coscienza del proprio sé e della propria libertà di scegliersi la vita. Per Teresa, però, in genere le persone si accontentano di girare intorno al castello vivendo come animali, senza nessun desiderio di entrarvi, di raggiungere la consapevolezza. Lei usa la preghiera come "chiave" d'accesso; le donne di "Malta Femmina" ascoltano e seguono una misteriosa "Voce". In sostanza: sono tante sul serio le citazioni (ingenuamente involontarie? Non credo...) del romanzo. Come non pensare ad Edgar Allan Poe e al suo "Il ritratto ovale", nei "Racconti dell'incubo", ambientato in un "castello in cui il mio domestico aveva osato entrare contro la mia volontà (...) temporaneamente abbandonato..." dove, improvvisamente, compare "... il ritratto di una giovane nel primo rigoglio di femminilità...", ritratto che, per l'inconsapevole bravura del pittore, imprigionando la vita stessa della modella ne causa la morte. Perché aderire all'immagine che gli altri hanno di noi ci fa morire. Ancora Poe in "Il pozzo e il pendolo" immagina un condannato sepolto nei sotterranei di un castello, immobilizzato sotto una lama oscillante che si abbassa inesorabilmente. Stessi sotterranei in "Passione nera in cavità sottratta" (pag. 115) ...Non esisti. Sei carne da macello... E c'è la "Voce", ci sono le voci, la "Dama Bianca" e la "Dama Nera". Giudici interiori? Predatori interiori? Le mura del castello tutelano e dividono ciò che è dentro da ciò che è fuori, e la nostra impressione dello spazio, sia interiore che esteriore, è perciò fortemente limitato da queste mura. Girare a vuoto per scaloni grandiosi, sospesi, angoli isolati, tornare sui propri passi e percepire di trovarsi al punto d'inizio, coincide con l'assillo di perdere se stessi, la proprio identità, e manifesta la frustrazione di chi è incapace di scegliersi una propria strada. La "Dama Bianca" e la "Dama Nera", le voci interiori delle donne. Ma anche figure reali, simbolo delle schiavitù a cui le donne sono costrette a soggiacere per sopravvivere, per non essere completamente schiacciate. La "Dama Nera" ricorda molte donne medioevali e/o dell'Ottocento, ma c'è una Dama Nera di storia più recente: Pascalina, la terribile suora/generale/perpetua di papa Pio XII, alla quale egli ubbidiva come un agnellino. Figura insieme angosciante ed energica, odiata dai parenti e collaboratori del papa, è il prototipo di cosa diventa una donna quando assume i canoni maschili del "comando". E c'è da chiedersi quante sofferenze precedenti doveva rivestire quel suo modo di essere. E poi la "Dama Bianca", che ha nel colore bianco una connotazione positiva, fa pensare alla dura scelta d'amore contro le leggi del tempo (solo neanche mezzo secolo fa) della signora Occhini, l'amante di Fausto Coppi, che pagò il suo adulterio con la galera e l'allontanamento di familiari e amici. Lei, la "Dama Bianca", appunto, simbolo dell'ingiustizia perpetrata sulle donne in Italia anche dal punto di vista legislativo fino alla fine degli anni '60. Ma la citazione (inconsapevole?) presente nel libro dall'inizio alla fine è quella della favola di Barbablu. "E' la storia di molte donne che scelgono una persona distruttiva per la loro vita non avvedendosi della altrui ipocrisia , minimizzando i lati oscuri del carattere dell'altro , non volendo credere alle messe in guardia altrui , continuando in questo modo a ripersi "la sua barba non è poi così blu" . In questo modo annullano le loro difese e sottoscrivono un patto segreto con i loro carnefici. Come nella fiaba , sposano i sogni che l'altra persona gli fa fare , senza avvedersi di chi sia realmente l'altro , al di là di come mostri di essere , o sia convinto di essere . Se non si impara ad ammettere alla consapevolezza ciò che si intuisce come verosimile , si è privi della propria naturale protezione ." (La fiaba di Barbablù, un'interpretazione psicologica di Osvaldo Poli) Comunque Barbablu è anche la voce interiore del predatore innato vivo in ogni mente umana, voce che induce a non avere fiducia in se stessi, ma a pensare di essere impotenti contro le malvagità consumate a danno della propria crescita intatta e cosciente. Lo dice la barbona a pag 198: " E' solo colpa mia, sì mamma, è solo colpa mia!" non riconoscendo il danno che le è stato fatto e mettendosi lei, vittima, inconsapevolmente dalla parte del criminale. È questa voce interiore subdola che spinge a non affrontare i problemi, a cercare scorciatoie, a non autodeterminarsi mai. Soprattutto per le donne, un anticipato "ammaestramento" a mostrarsi "carine"le induce a calpestare le proprie sane sensazioni, portandole a vivere in modo falso, senza libertà vera, lontane dalla propria natura, inseguendo la promessa di "diventare regine". Interessante anche il richiamo a Susanoo, divinità dello shintoismo, Dio delle tempeste e degli uragani crudele con la sorella Amaterasu, a cui distrusse tutte le risaie costruite per nutrire gli uomini e che solo dopo essere stato condannato all'esilio sulla Terra divenne un difensore dell'umanità. Susanoo, nel romanzo, è il vento che si fonde in un magico atto d'amore con la zingara Kali, (I Kale o Cale derivano il loro nome da un aggettivo hindi che significa nero) altra bella figura di grande valenza simbolica. (pag. 165) Inquietante una musica invade il castello... E c'è di nuovo una citazione. Perché è impossibile non rivedere in Kali la provocante zingara Carmen, figura di gitana selvaggia e sensuale creata dalla penna di Prosper Mérimée e musicata da Bizet. Per Carmen il valore della libertà è infinitamente più alto di quello dell'amore, forse anche di quello della vita; in nome della libertà andrà incontro alla morte, senza pentimenti: "Mi chiedi l'impossibile. Non ti amo più; tu mi ami ancora ed è per questo che vuoi uccidermi. Potrei ancora dirti qualche menzogna ; ma non voglio darmene pena. Tutto è finito tra noi. Come mio rom, hai diritto di uccidere la tua romi; ma Carmen sarà per sempre libera, Calli è nata, calli morirà". Così, in "Malta Femmina", parlano, con le parole della poesia "Libero come musica Tzigana" del pittore e poeta sinto Olimpio Cari, le note del violino della zingara: "Ma cammino ancora per essere libero/ come il vento che scuote il bosco/ come l'acqua che scorre verso il mare/ come la musica di un violino tzigano." E proprio nelle parole che la zingara Kali rivolge al vento c'è l'essenza del romanzo: "Oh phral, placa adesso la tua ira. Non c'è peccato in queste donne, se non quello di aver dimenticato la sovranità della natura, il suo potere, la sua bellezza,la sua insostituibile guida... Esse non sono, perché non sanno. Non conoscono ciò che è scritto in fondo al loro cuore, al loro ventre, fra le linee della loro stessa mano. Sono convinte di aver trovato il proprio posto nel mondo poiché si affannano a cercarlo, senza rendersi conto che e baro mòra è dentro loro stesse. Ma è più facile guardare altrove, cercare ciò che non si possiede piuttosto che solcare l'immenso mistero che è in noi." "A noi, autrici di Malta Femmina, piace pensare che i lettori proveranno, nel leggere questo romanzo strano e fuori tempo, le stesse sensazioni di pienezza e soddisfazioni che noi abbiamo provato nello scriverlo." Sì, le 15 autrici, tessitrici dello sbalorditivo arazzo che è questo libro, hanno centrato l'obiettivo. Perché chiudi il libro e, come donna, ti senti finalmente soddisfatta di appartenere al genere femminile.


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