A leggere il libro di Maria Carla Trapani Nascosta e lo Specchio, a tutta prima, si ha la tentazione di chiamare a testimonianza Joyce e Svevo, di parlare di scrittura del flusso interiore, secondo l’accezione del ‘900. Addirittura citare Bergson e suggerire il suo concetto di durata, ossia del Tempo soggettivo, che scorre secondo modalità non considerate dalla scienza.
Difatti, aprendo le pagine, si entra direttamente nella dimensione del privato, del celato.
Dentro/ le vene e /canto…A scavare / grafite e pietra del / sangue.
Un’intimità delicata ma non lirica si palesa, in una sorta di viaggio introspettivo dal quale la Parola Poetica affiora dalle brume della psiche e dell’indefinito. Il mondo e le sue fantasmagorie sono lontani. Nulla dell’accezione del quotidiano, vale a dire del senso comune, si fa lemma del verso. Il tempo, ripeto, è quello arbitrario della sensibilità.
Per la verità il libro è esattamente questo ripiegamento interiore in ascolto della propria emozione, eppure una lettura di semplice retroguardia è a mio parere insufficiente. Non mi convince del tutto. Non coglie appieno il fine che l’autrice si prefigge. A mio parere, il libro rappresenta un passaggio, un attraversamento: un’uscita dal bozzolo verso la definizione e la delimitazione di sé. Un processo di strutturazione e conoscenza dell’io, tout court.
Prima di avventurarsi ad ali spiegate nell’oggettivo in senso lato e nella poesia, M.C. Trapani sente il bisogno di circoscrivere il potenziale della sua interiorità nell’interazione con le sostanze anche affettive che la circondano. Ha dubbi, cerca di farsi tabula rasa: il mondo potrebbe essere nemico, artefatta la capacità di coglierlo.
Ho timore dei sassi che / scavalcano le mie finestre / ho timore dei vetri se.
La Trapani si affaccia nascosta / velata al davanzale e tutto ciò che si caglia negli occhi porta dentro, ne fa ricchezza e accumulazione. Solo dopo aver messo ordine, avviene il necessario recupero di una visione disincantata e critica di sé e dell’esistente:
Semino/ dissemino e lo / spazio del / mio cuore spazzo la soglia / coronandomi i bracciali / di polvere.
In breve, Maria Carla Trapani descrive il felice esito del suo transito verso la maturità affettiva e artistica e per farlo compie una sorta di enumerazione ma soprattutto di catalogazione gerarchica di tutto ciò che le si riverbera dentro attraverso lo sguardo, un’unghia, uno stupore, ma anche parole, avverbi, aggettivi solitari, affrancati dalla frase, che però una volta semanticamente riconquistati saranno il mezzo per mettere a fuoco l’anima. Un inventario onnicomprensivo che entra in questo serissimo gioco tra oggetti solidi e incorporei, sempre rintanati nel profondo, che l’autrice intende buttare in uno specchio, ove le sarà più agevole affrontarli e confrontarsi.
Ha bisogno di sistemare, osservando il risultato criticamente, come per una casa nel caos, prima di sentircisi a proprio agio.
Getto l’amo. /Pesco / parole e /pesci d’argento. /Getto.
E più avanti:
Vomito parole / striate di verde / raccogliendo le /foglie di una vita /aggrappata stretta / al suo /rinascere. / … /Navigo la vena / e col volto rivolto / sputo acini.
Una nascita, dunque, a se stessa, al reale, all’altro, agli affetti, tra i quali sembra del tutto evidente di cogliere l’amore. C’è un tu che di tanto in tanto fa capolino, un tu di labbra e di saliva, verso il quale sembra anche tendere la ricerca di autenticità.
La tua lingua ha linfa / di una languida / graffa sdraiata.
Che si tratti di un impegno di affrancamento e maturazione è mio convincimento ma è l’autrice stessa a offrirci gli strumenti per entrare nel suo progetto, che ha svolto nella silloge attraverso le tre sezioni del libro. Quel gettare l’amo, per riportare indietro i segni dello scorrere della vita, è un continuum di tutta la raccolta.
Dopo tutto, basta fermarsi al titolo e poi all’ultima composizione per perdere ogni esitazione. L’autrice nell’ultimo testo stende senza equivoci il manifesto della sua poetica. Scopo della sua scrittura è il percorso che è stato indicato.
Scrivo. Leggeri i piedi nel cammino ascetico verso l’autocoscienza. / Scrivo e di riconoscimento mi abbiglio. / Riconoscimento di M/E. / Di Sé. / Come già-da-sempre. Relato. All’Altro. / Specchi d’Argento Irriflessi.
E dunque, ripetiamo con lei: dopo aver preso il controllo della coscienza, sede di discernimento e giudizio, allora è possibile riaffacciarsi alla storia, ma più di tutto è possibile la poesia.
Una nota bisogna stendere anche sullo stile, che nulla concede alla facile suggestione, al lavoro di rima e assonanze. Nessun verso è ammiccante. La scrittura si mantiene appuntita, asciutta, ellittica, frammentata, in un ritmo lento e cadenzato. L’emotività è ghiacciata da una serie di strali fatti di sangue e di spine, che l’autrice sembra guardare da estranea o da lontano.
Tralascia ciò che è costruzione e rifacimento del verso, quasi infilandosi in uno sperimentalismo formale, che è di sicuro originale. Il colare naturale della parola, pur nell’assetto contratto dalla continua elisione della frase, conferisce al verso un fascino intrigante se non misterioso. Il lessico è accurato e non debordante, raffinato ma non pretenzioso.
Anche questo si può ascrivere alla confessione della stessa autrice, che ammise tempo fa di scrivere di getto, seguendo la parola e il ritmo che gli nascevano dentro.
M. C. Trapani si ascrive alla schiera di giovani poeti che stanno proprio segnando l’affrancamento dalla cultura del ‘900, per quel piglio sicuro con cui infrangono regole e forme per mettersi direttamente all’ascolto della propria unicità umana e poetica.
Maria Carla Trapani nasce e vive a Roma. Di formazione filosofica, approda in seguito alle discipline orientali. Insegnante di Yoga e Olodancer, si occupa dell’organizzazione di eventi culturali per il Circolo letterario Bel-Ami, nell’ambito del quale ha fondato un Laboratorio poetico di cui è responsabile. Con la sua tesi di laurea, Pasolini, il mito, il teatro. Pre-testi per una paidèia poetica, vince nel 2005 il premio SIAD (Società Italiana Autori Drammatici). Pubblica, in Perle sciolte (BAE Edizioni, 2009), la silloge poetica M/E, di perle e di parole.