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Sillabario dei tempi tristi
di Ilvo Diamanti
Pubblicato su SITO
Anno
2009-
Feltrinelli
Prezzo €
13,50-
160pp.
ISBN
9788807171758
Una recensione di
Elisabetta Rotondi
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79.88%
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Vale la pena davvero leggere il saggio sociologico di Diamanti, professore di Scienza politica e Comunicazione politica presso l’Università di Urbino. Dal 2001 collabora col quotidiano “la Repubblica”, tanto stigmatizzato negli ultimi tempi da coloro i quali rappresentano il seguito fedele e talvolta infedele del nostro Presidente del Consiglio. Copertina di colore chiaro, un terreno secco e spaccato in ogni punto per un contenuto dalle sfumature prevalentemente grigie, dove fatti politici e sociali sono avvolti dalla statica nebbia di un Paese ormai immobile, ancorato ai ricordi del suo passato, timoroso per il proprio futuro e che perciò delle volte vive a pieno, con esagerazioni, il suo presente. Ogni paragrafo racchiude fin dal titolo una riflessione intrinseca e nel contempo ben collegata con quelle racchiuse negli altri facendo della realtà odierna un metaforico puzzle di oggetti solo apparentemente insignificanti (le numerose rotatorie disseminate nelle nostre città), di fatti di cronaca che molti definiscono segni dei tempi che cambiano o meglio che sono già cambiati (Erica e Omar per citare un esempio), di scelte politiche operate da rappresentanti del popolo che cambiano continuamente partito per il bene comune (probabilmente applicando la teoria dei vasi comunicanti). Sillabario dei tempi tristi racconta realisticamente i nostri tempi, quelli in cui la Lega vuole imporre una fideiussione onerosa all’avvio di un’attività economica, ma per quale motivo? Probabilmente perché ci sono 230.000 aziende i cui titolari provengono da paesi esterni all’Ue e fanno concorrenza ai padani in casa loro. I tempi in cui Ilvo, e non solo lui, riceve un sms di auguri in occasione del Natale indirizzato a un certo Matteo (ma lui non ha un secondo nome) e risponde indirizzando il suo messaggio ad un certo Marco (ma il suo amico o collega o conoscente non si chiama Marco), così ha ristabilito una relazione simmetrica fra due persone che si conoscono ma non si ri-conoscono. E’ l’Italia dei morti sul lavoro, perché oggi nel bel Paese morire lavorando - ci può stare, ha un senso - e perciò è socialmente sopportato, malgrado i famosi moniti del Presidente della Repubblica Napolitano. D’altro canto nessuno invoca le camice verdi (oggi il verde è una tinta che va molto di moda oltre al fucsia) a presidiare i luoghi di lavoro, per assicurare il rispetto delle norme di sicurezza. Per controllare e denunciare imprenditori o lavoratori “non in regola”. Morire sul lavoro, come morire sulle strade tra l’altro, non fa spettacolo e non sposta voti. Questo e tanto altro racchiuso in una breve ma intensa “guida ai fatti nostri” dove tra le tante cose è riportato di come gli italiani si dichiarino comunque felici, ma non contenti delle future condizioni economiche e finanziarie che la silenziosa crisi potrebbe comportare. Per niente sollevati dal fatto che molti degli anziani di domani non sarà garantita una pensione minima, e i cittadini di domani avranno possibilità vicine allo zero di possedere il bene immobile per eccellenza nel modus vivendi italiano ovvero la casa di proprietà, da cui magari osservare come le città e i loro agglomerati hanno inglobato spazi verdi e abitanti stessi con tonnellate di cemento (fatto con sabbia, oggi di moda anche questa). Mentre sull’altro piatto della bilancia le misere campagne abbandonate.
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