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Antimateria
di Andrea Blu
Pubblicato su SITO


Anno 2010- Opera Editrice
Prezzo € 10,50- 150pp.
ISBN 9798896166307

Una recensione di Alessandra Di gregorio
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 Antimateria

ANTIMATERIA, introduzione al delirio post-adolescenziale. Racconto di de-formazione e formazione.

Recensione a cura di Alessandra Di Gregorio,
curatrice del volume per i tipi di Opera Editrice,
apparsa sulla rubrica letteraria Scrittura Informa.

Quando ho letto e curato ‘Antimateria’ di Andrea Blu, ho provato mentalmente a classificarlo, a porlo in un recinto in cui fosse più facile rintracciarne e distinguerne le peculiarità. Procediamo con ordine.

Antimateria è un racconto pop; epoca fatti miscredenze oscenità turbamenti contrasti e mancanza di soluzioni, sono del tutto attuali, molto contestualizzati. C’è sesso, tanto sesso, o meglio tensione sessuale post-adolescenziale, ammiccamenti saffici, discorsi sul sesso. Antimateria è trasgressivo, ma l’Autore, per la nostra gioia, non dimentica di curare anche gli aspetti più intimi delle fauna grottesca e ribelle che ne riempie le pagine. Ci sono donne, o meglio ‘ragazze’; siamo nell’era del ‘girl-power’ e si vede. Elegantemente ironico e pragmatico, nel suo tessuto troviamo confitte le spine dell’attualità giovanile più spinta e sola.

Protagonisti nomi e facce sono più che un mero contorno sociale. Sono un substrato riccamente irrorato, per quanto azioni e pensieri spesso possano non ritenersi condivisi o condivisibili.

Blu non ha la minima intenzione di farci dormire sonni tranquilli; rassicurarci è l’ultimo dei suoi pensieri. Lui vuole sconvolgerci, capovolgendo il bicchiere mezzo vuoto in cui sedimentano banalità e convenzioni socialmente accettabili.

Antimateria è un racconto di formazione. Le fanciulle protagoniste di un’esistenza diarisco-romantica, sono eroine moderne in calo di mordente, facili a perdersi nell’oblio di ciò che stordisce anima e corpo, e difficili a trovarsi facendo mente locale, in quello che è lo stordimento più naturale, quello dato dai sentimenti. Antimateria è soffuso, lirico a tratti, e spesso più lirico non solo dove la parola si fa bella, come un arrangiamento musicale delicato e armonico – come spremere una spina via dalla carne – ma anche laddove la merda affiora spudorata, come un segno che va a tutti i costi lasciato, un marchio da imprimere col fuoco.

Ricco di dialoghi, scellerato e sentimentale, il racconto di Andrea Blu è la sintesi della modernità più pungente. Schiettamente disperato. Anticonformista e maleducato. La versione edulcorata dei Ragazzi dello Zoo di Berlino, di Trainspotting e molto altro ancora. Una rosa nera piena di spine. Una goccia di fiele servita nell’ora del tè. Un bacio a labbra dischiuse.


Chi è Andrea Blu
Andrea è nato dall’uovo. Subito dopo aver rotto il guscio, si è guardato intorno e ha detto “blu!”, e quella è stata la sua prima parola. Fin dalla nascita ha amato i libri per imprinting.

Raggiunta l’età della ragione, è stato presentato al mondo in questi termini: “Illustrissimi signori, è un onore per me presentarvi quest’uomo in calzamaglia. Egli altri non è che l’incredibile Blu!

Blu, non si sa dove sia nato. Dopo una lunga carriera di mercante di polli e di presidente delle industrie dei supermercati di infima convenienza, ormai multimilionario, ha accettato di esporre se stesso su richiesta degli Aspiranti Artisti Anonimi.

Lo stato di Paranoia ci manda un suo dito d’amore che non tarderà a fare il solletico a tutti quanti. I libri di Blu sono fatti di specchi, schermi scollegati, fili di cristallo e statue dal cuore duro”.

Post-fazione
Gli anni che stiamo vivendo, senza scadere in inutili etichette e classificazioni, hanno inevitabilmente a che vedere col vuoto: molti intellettuali ci hanno dato la loro testimonianza al riguardo. La spiegazione più valida, perlomeno secondo l’autore, è da ricercarsi all’interno dell’individuo preso come singolo, ma collocato in società multirazziali e globalizzate, che, benché ricche, nascondono in sé delle tensioni interne difficilmente sanabili. Qui, l’individuo viene sottoposto a un bombardamento mediatico continuo e vario. Il risultato di questo fuoco silenzioso e nemico è la confusione, cui seguono la necessità fisica del possesso e la creazione di miti. Ne deriva – mai parola fu più azzeccata – un certo malessere di fondo, un relativismo culturale che abbatte il normale istinto collaborativo e di scambio, ribalta il concetto di affermazione personale e annulla l’unicità della persona.

Uno stile di vita soddisfacente, allora, non può prescindere da piccole proprietà e scrupoli di ampio respiro, preferibilmente artistici; da stratagemmi di sopravvivenza e impegno al minimo delle proprie possibilità; dall’attesa di un imprecisato giorno, sempre rimandato, in cui avverrà il cambiamento di rotta di un’intera esistenza.

Quel che è certo è che quel vuoto, questo indefinibile niente, interessa chiunque, giudicante e giudicato, e l’impossibilità di fare distinzioni provoca l’annullamento di qualunque ragione o torto, quindi dell’opinione in genere.

Di conseguenza, è abitudine dormire ad occhi aperti e vivere ad occhi chiusi.

Come si articola il libro
ANTIMATERIA è ripartito in una serie di capitoli divisi tra un “prima” un cosiddetto “poi”. L’autore indaga spesso il rapporto di Leica con la morte, e quello di tutti gli altri con le rispettive vite, che poi in verità sono l’ostentazione della vita e il contrario della vita. Il fatto che i protagonisti siano tutti così giovani, non è un caso. L’età anagrafica è non solo la giustificazione dell’autore alla follia e scelleratezza gratuite di costoro, al trasporto naturale, all’elasticità di pensiero, ma è anche il metro di giudizio con cui osservare dal di fuori il mondo, come da una palla di vetro, in cui tutti sono giudicabili tranne i diretti interessati, che barattano la felicità autentica del lavoro su se stessi (della mera bildung – formazione, crescita), con l’auto-annientamento giornaliero. Appare evidente come la ricerca del sé debba passare, agli occhi di Leica, Giada, Cami e tutti gli altri, di necessità, attraverso un arduo lavoro di auto-affrancamento dai mali che è la società stessa a inoculare nel cuore della gente. Ovvero, mi faccio male io affinché nessun altro possa farmene altrettanto, e intanto che questo avviene, io muto, cambio, cresco, mi espongo, credo di fare così la mia differenza, ma in realtà sto solo ritardando (puntando i piedi nell’unico modo che conosco e che è la società stessa ad offrirmi) il mio ingresso nel mondo adulto – cosa che avverrà con o senza la mia approvazione.

Allora è la verità la vera protagonista di Antimateria; verità intesa come necessità di farsi del gratuito male – termine improprio ma che in qualche modo rende ciò che Blu sta a sottolineare, e non parlo solo dell’abbandono a stili di vita sopra le righe, ma dove prevale l’abbandono morale, umano – piuttosto che accettare d’imbellettarsi come fa la gente normale. Farsi del male per arrivare a indagare tutti i sentimenti e in realtà senza mai toccarli per davvero, perché la solitudine imperante che questa ricerca ossessiva comporta, non permette una vera esplorazione di sé ma il desiderio di non-crescita. Chi si applica in queste modalità, spesso crede di poter rimanere se stesso, ovvero l’unico se stesso che conosce fino a quel dato giorno, anche “dopo”, ovvero più in là negli anni, o addirittura non ha proprio idea e interesse verso la parola futuro. La ragione per cui questo avviene è ad esempio la noia. La stessa noia che in una società fintamente progressista e ricca fino al paradosso, permette ai giovani dei libri e non solo, di arrangiarsi nell’arte della ricerca dello sbando e del sentire più profondo. Liberarsi dalla propria auto-narcosi è assai arduo, lo sappiamo. Alla fin dei giochi i nostri sono solo bambini che credono di aver raggiunto una supposta maturità e indipendenza solo perché hanno modo di provvedere da soli ai propri vizi e perché sono riusciti ad averne e curarne più di quanti inesistenti famiglie possano mai immaginare.

Che ruolo hanno le famiglie, cioè che ruolo ha il “nido”? Il ruolo di sempre. La radice è un sostegno e una catena; dà la struttura e te ne priva. Dunque è l’amore, la ricerca dell’amore mancato, del primo amore, che è unicamente quello del nido, l’ossessione che fa della crescita un momento di lotte incredibili tra il bambino e il ribelle. La purezza e la dannazione… Alle volte, come per Leica, quell’amore è venuto a mancare strada facendo, e si sa, non li tappi così certi buchi… Non esiste cemento in grado di riempire vuoti così profondi, e anche se t’impegni a fingerti “grande”, ricercherai nel tuo prossimo non l’amore maturo, ma l’amore materno, l’amore antico, quello rassicurante di quando vieni al mondo e sei completamente nudo e vulnerabile. Ciò significa che ogni rapporto e relazione umani partiranno già con una enorme pregiudizievole. Tant’è che con Giada c’è una altalena di sentimenti e spossamenti che alle volte fanno rabbia, alle volte tenerezza. La maturità di Leica non è da mettere in dubbio; anzi, è lei quella che pare avere ancora tutto sotto controllo, ma si sa, chi più sente più soffre. È una legge di natura che permette ai deboli di mente di sopravvivere più di coloro che hanno i piedi ben piantati – anche se in un giardino di spine…

La verità è dunque una malattia; te la devi sentire che sale su fino a provocare un gorgo di nausea che poi fuoriesce, perché è la necessità disperata a cui ci si attacca nell’adolescenza e alla quale spesso non si vuole proprio rinunciare. È evidente, però, l’enorme falla nel piano di coloro che credono di affrancarsi dalla banalità attraverso il cosiddetto percorso nelle fogne, ovvero è evidente la paura di soffrire per mano altrui, il timore dell’ennesimo abbandono. Se guardassimo alle nostre spalle adesso, dall’alto dei nostri anni maturi, scopriremmo di essere tutti Leica, Giada, Cami e tutti gli altri… Il bisogno di libertà, la ribellione al tremendo, al falso, alle imposizioni dettate dai media e da genitori allevati da quegli stessi media che fanno della verità una prostituta tra le più care, è solo una parte del naturale risentimento che coviamo dentro sin dal privo vagito – è la nostra tara genetica e tutti nasciamo pronti alla lotta, anche se la lotta non è contro l’altro da sé ma contro il proprio sé, che ha bisogno di anni, decenni, secoli e millenni, per stabilizzarsi il minimo, il giusto, il possibile.

L’autore non indugia che in rari momenti su tutto questo rivaleggiare coi propri sentimenti; egli non narra, egli è l’azione stessa, mentre la follia scorre ed è tutto uno sbroccare, un perdere e riottenere energie e promesse di vita da disattendere già il giorno dopo senza il minimo risentimento, senza il minimo rancore, addossando la colpa a qualcun altro, e cioè sempre a se stessi; ma questo suo modo così lirico di approcciarsi a una protagonista tanto forte quanto fragilissima, aiuta il libro a vivere su un doppio binario, senza forzature e senza l’inganno tipico di chi crede di far parlare qualcuno e invece è il solo a parlare.

La conduzione del tracciato è affidata a una lingua snella, agile, nervosa; le migliori frasi se ne vanno in dialoghi molto asciutti, ora privi di alcun tipo di tatto, ora persino sboccati, senza la minima grazia, e in fondo tristemente pieni di quella stessa grazia assoluta che non si potrebbe mai rintracciare in figure più adulte di quelle delineate da Blu. È il dolore il motore del mondo e solo i giovani e le anime sensibili fino allo strappo, sono in grado di farsi irrorare veramente dalla vita proprio attraverso il dolore. Gli adulti, si sa, rifuggono la sofferenza. Vivono nell’ovatta. Anche Leica, Giada e Cami, crescendo cambieranno; un giorno si sveglieranno e saranno più adulte della prima volta che sono diventate donne, e avranno perso slancio e tutto quanto, ma la lotta contro l’appiattimento dei sentimenti, la ricerca forsennata dell’amore che annulla tutte le cazzate del mondo, dura fino all’istante prima e in alcuni esseri superiori mai si spegne e viene fuori nei libri, lo si ritrova nelle poesie, nella pittura, in tutto ciò che fa di un sentimento una forma d’arte.

Il fatto di essere in grado di dare la parola contemporaneamente a più di una persona, senza soffermarsi troppo sulla gestione della trama, ma preferendo smistare l’azione e il pensiero così come vengono, in maniera fluida o sincopata, ma comunque naturale, riesce a rendere non solo molto atipica la struttura del racconto, quanto anche molto cinematografica l’idea che sta alla base del suo disegno. Perché è come avere di fronte ogni singolo elemento, ogni singola persona – e non personaggio – e assistere alla storia in presa diretta, fino a sentire l’odore del vomito o della sigaretta appena accesa.

Volendo poi osservare il lavoro di Blu da un punto di vista generale, questo risulta comunque impegnativo. Sicuramente siamo di fronte alla rappresentazione non letteraria ma realistica (o reale) di una comunità umana fortemente tipizzata (tant’è che più che nei libri abbiamo gli stessi prototipi in una lunga serie di elaborazioni cinematografiche e fumettistiche), proprio perché è l’umanità a cristallizzare i pensieri e non viceversa. Quanto alle relazioni che intercorrono tra Leica, Giaca, Cami e gli altri, beh, il tessuto connettivo è lo stesso di ogni relazione tormentata e non, che si rispetti o meno, e dando la parola a ognuno, si legge di ognuno la mappa dei pensieri e delle intenzioni. Uno stesso avvenimento può essere osservato e raccontato da più punti di vista e qui la particolarità è che tutto appare dissacrabile, commentabile, e in più, tutto è essenziale e niente lo è. L’ironia è un metro efficace, se non uno schermo, col quale tenere sotto controllo le emozioni – dato che alla quotidianità si può badare relativamente – e le persone. Il perdersi tra facce diverse e molteplici forme di stordimento strappa dalle mani della noia il destino dei confusi e forse anche degli audaci.


Una recensione di Alessandra Di gregorio



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