Edoardo Manet è nato a Santiago di Cuba nel 1930, ma è esule in Francia dal 1970, praticamente da quando a Cuba l’aria è diventata irrespirabile per gli intellettuali. Il caso Padilla fece capire a molti artisti che non avrebbero potuto essere liberi in una dittatura che non ammetteva alcun tipo di critica. Lo stalinismo sovietico s’impadroniva della rivoluzione cubana, gli scrittori venivano repressi o arruolati nelle fila rivoluzionarie e di conseguenza i migliori fuggivano. Edoardo Manet è diventato un autore importante in Francia come drammaturgo teatrale e sceneggiatore televisivo. Alla bella età di ottantuno anni si cimenta con la narrativa per comporre “il romanzo della rivoluzione cubana”, quel libro che tutti gli esuli cubani sognano di scrivere. Manet riesce in un’operazione complessa che non viene bene a molti, perché troppo coinvolti sentimentalmente e pervasi da eccessivo risentimento verso il castrismo. Edoardo Manet è un ottimo sceneggiatore, si nota dallo stile efficace e rapido, da una scrittura che ha il taglio del best-seller (in senso positivo), capace di catturare il lettore e di spingerlo a divorare in poco tempo una trama complessa e ricca di metafore. La protagonista è un’anziana signora che racconta in prima persona i segreti della sua vita, escamotage narrativo che consente a Manet di scrivere la storia di Cuba dal 1959 a oggi, senza inventare niente, ma solo inserendo un elemento di fiction romantica. La donna racconta di essere stata l’amante di Fidel Castro sulla Sierra Maestra, da ragazzina, quando era fuggita con i rivoluzionari per contribuire alla sconfitta di Batista. Non solo, aveva avuto un figlio da Fidel, abortito sulle scogliere del Malecón, e aveva continuato a vivere nel ricordo di un amore impossibile, anche dopo la fuga all’estero, un lavoro importante, un marito straniero e una vita radicalmente cambiata. Un giorno la donna torna a Cuba per motivi di lavoro, ritrova una vecchia amica con cui aveva condiviso passioni e illusioni, ma soprattutto rivede il Comandante, teme di poter cadere ancora nella sua rete ammaliatrice, ma si rende conto che ormai tutto è finito e che Fidel non rappresenta più niente per lei.
Edoardo Manet non calca la mano, rilegge la storia della rivoluzione cubana, separa errori da conquiste, non si fa muovere da livore contro una dittatura, ma riesce a trasmettere al lettore l’ardore di un popolo convinto di poter cambiare il mondo, ma anche la delusione successiva, il senso di disfatta e di rassegnazione. La donna amante di Fidel è una metafora del popolo cubano, per lunghi anni innamorato del suo condottiero, che si rende conto di essere stato tradito da un uomo affascinante in cui aveva riposto grande fiducia.
Edoardo Manet riesce a comporre un credibile affresco della vita cubana, grazie a dialoghi e ricordi fa rivivere sogni, speranze di cambiamento e l’illusione di poter costruire un uomo nuovo. Una simile operazione - a metà strada tra nostalgia e critica spassionata - era riuscita soltanto ad Andy Garcia e Guillermo Cabrera Infante nello splendido The Lost City, pellicola quasi invisibile sui nostri schermi. Edoardo Manet con una scrittura semplice e accattivante fa rivivere anni lontani, demolisce utopie impossibili e fa capire che siamo arrivati al crepuscolo dell’era castrista. È tempo di voltare pagina.