Basta prendere una città, un nutrito gruppo di persone variamente assortite, dosare con estrema efficacia un violento nubifragio che costringa l’eterogeneo insieme a prendere un autobus di una linea urbana, studiarne i comportamenti e la psicologia che li ha ispirati, ed ecco, il romanzo è servito! Facile a dirsi, un po’ meno a realizzarsi! Eppure nonostante la difficoltà intrinseca del rischio di cadere nel banale e nel già letto, con questi semplici e comuni ingredienti, facilmente reperibili al mercato dell’attualità quotidiana, Salvatore Scalisi ha creato e rifinito, egregiamente direi, il suo ultimo romanzo LINEA 429. Se provate a incastrare tra loro, come in un cubo di Rubik, ogni elemento per costruire un episodio, una vicenda, una faccia del poliedro, proprio come ha fatto l’autore, ne usciranno situazioni assurde, drammatiche, commoventi o grottesche, comunque vere, che rispecchiano in tutto e per tutto il mondo reale e la variegata e complessa psicologia umana. Il mezzo pubblico si trasforma in uno scenario inconsueto, un piccolo mondo asettico in cui per un lungo lasso di tempo, nel caso specifico la durata di un temporale, l’umanità si confronta con le sue nevrosi, le sue aspirazioni, mette a nudo i suoi sogni e si misura con la sua mediocrità. La vettura gialla e tecnologicamente all’avanguardia della Linea 429 diventa, all’improvviso, una trappola, una giostra impazzita che nessuno è in grado di fermare e da cui nessuno riesce a fuggire. “Un maggiore spazio creatosi sul bus permette ai viaggiatori quella tanto sospirata libertà di movimento, non sfruttata intelligentemente da tutti, visto che si tende, per un arcano motivo, a rimanere appiccicati e non a sparpagliarsi, come sarebbe logico attendersi. L’automezzo riprende la sua marcia.” La natura ha programmato alla perfezione il momento in cui entrare in scena e sarà un’esibizione trionfale mentre agli uomini non resterà che prenderne atto e comportarsi come attori debuttanti in un teatrino di periferia. Sarà il nubifragio a dettare le note su cui farli ballare ed essi, consci della loro impotenza tenteranno di afferrare la salvezza che… è lì, a portata di mano, ma guidata da una volontà superiore, sfugge ogni volta che sta per essere raggiunta. La noia, la paura, la frustrazione che, alla lunga, appannano anche lo spirito più ottimista sono palpabili, rese tangibili dalle frasi, dalle espressioni, dai movimenti ossessivamente ripetuti, che l’autore, a completo beneficio dei lettori, ha fermato nei paragrafi del romanzo. Tutto il racconto è scandito non solo dal tempo meteorologico ma anche da quello delle fermate dell’autobus che, come in una moderna via crucis, al posto delle stazioni del doloroso calvario, cerca di raggiungere le paline delle fermate. In quella scatola di metallo le varie esistenze che, per puro caso e loro malgrado, ad un certo punto della loro vita si sono incrociate: la madre col bambino annoiato e molesto, l’uomo tozzo e il giovane occhialuto, l’anziano obeso e diabetico, il borseggiatore con la sua preda, il rappresentante di gioielli, la casalinga annoiata, la donna in carriera, l’autista prossimo alla pensione, una giovane coppia che insegue i suoi sogni ed un’altra più navigata e disillusa, iniziano una lenta e graduale metamorfosi. Nella manciata di ore trascorse tutti insieme, dove gli aliti, come i discorsi, si mescolano e si riscompongono prima di evaporare in minuscole bolle di vapore acqueo, in quei minuti in cui tutti sono strettamente avvinti l’uno alla’altro, in un corpo a corpo dove ognuno è al contempo il dottor Jekyl e Mr Hyde, nessuno riconosce più se stesso né sa se il suo ruolo sia quello di vittima o di carnefice. L’aria rarefatta all’interno della vettura, nonostante il condizionatore acceso, la calca inferocita dei viaggiatori che si infiamma al pari di una pustola infetta e purulenta, i discorsi che implodono in parole senza senso, il mondo che sembra disintegrarsi e fluire via insieme al fiume di pioggia e detriti che scorre oltre i finestrini, preparano il lettore al dramma finale che deflagrerà all’interno del mezzo pubblico. Il pathos che Salvatore Scalisi ha eletto a colonna sonora del romanzo, dopo un timido inizio in sordina, scioglie lentamente il suo ritmo fino ad arrivare ad un tambureggiamento ossessivo ed esasperante… Deve accadere qualcosa! L’attesa deve essere colmata. E così sarà! “– C’è un medico qui? – domanda a voce alta un passeggero. Il responso è dato dal silenzio totale. – Viviamo in un mondo strapieno di medici e avvocati e quando si ha necessità di un dottore, niente da fare – commenta con sarcasmo il conducente, mentre osserva dallo specchietto retrovisore gli sguardi del suo carico umano, sempre più disperati, rassegnati al loro destino.” A nulla è valso il fugace momento di coesione sociale dettato dalla paura della catastrofe imminente. Cessato l’allarme, tornato il sole a splendere nel cielo, dimenticato l’acre sapore dell’angoscia e della disperazione, ecco riaffiorare negli esseri umani l’egoismo più malsano, l’aggressività più sfrontata, la loro eterna insoddisfazione che mescolati ad una perenne irrequietudine, all’atavica insofferenza, alla congenita insicurezza dettata dalle proprie debolezze, per combustione spontanea, li consumano tra le vampe della loro superbia e intolleranza. ... Uscir di pena È diletto fra noi. Pene tu spargi a larga mano; il duolo Spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto Che per mostro e miracolo talvolta Nasce d’affanno, è gran guadagno. Non a caso cito i versi della lirica "La quiete dopo la tempesta" del Leopardi, perché proprio la lettura del romanzo LINEA 429 di Salvatore Scalisi me li ha riportati alla memoria. Nella storia di una mattinata di tranquilla e ordinaria follia che l’autore attraverso le situazioni narrate, la caratterizzazione dei personaggi, il comportamento della natura, al contempo, madre e matrigna, la quiete effimera e bugiarda dopo la tempesta meteorologica e la “temperie spirituale”, ha così magistralmente raccontato, ho riassaporato il pessimismo innato del grande poeta recanatese espresso in prosa e perfettamente riadattato ai giorni nostri. Ovviamente quello di Scalisi non è un pessimismo cosmico, né così infelicemente interiorizzato come quello del Leopardi. È più razionale. È un pessimismo metabolizzato in maniera matura, frutto di un’acuta osservazione del mondo che ci circonda e degli uomini che lo abitano, per questo LINEA 429 è un libro diverso dal solito, una vicenda niente affatto scontata, una tematica profonda riproposta con semplicità ed intelligenza dall’ottima penna di un eccellente autore.