Peccaminosa…
E’ un termine che, a tutta prima, evoca sensazioni forti come la tentazione, il dolore e la sofferenza. Che richiama pulsioni indomite quali la passione o il desiderio, che imbarazza perché proietta immediatamente l’immaginazione verso un universo di primitiva fisicità… e proprio PECCAMINOSA è il titolo della terza fatica letteraria di Sandro Capodiferro.
Il peccato è l’indiscusso protagonista del romanzo. Il peccato raccontato nelle sue mille sfaccettature, analizzato in ogni sua più piccola componente, fermato nella sue molteplici manifestazioni, sezionato come su un tavolo anatomico.
Posso garantirvi che anche in questo romanzo, come nei precedenti, l’autore non delude le aspettative dei lettori, anzi, li gratifica con una serie di storie coinvolgenti dai contorni psicologici profondi e la libertà di trarne ognuno una propria morale senza, però, ergersi a censori perché farlo significherebbe precludere alla speranza la possibilità di concedere una via di riscatto o un’opportunità di rinascita. Capitolo dopo capitolo si scoprirà che l’autore offre il ruolo di moderatrice tra razionalità e istinto all’indulgenza, poiché se è vero che “l’occasione fa l’uomo ladro” nessuno è escluso e chiunque, all’occorrenza, può diventare peccatore o trasformarsi in vizioso. Pertanto, l’indulgenza è dovuta all’essere umano per la sua congenita “imperfezione” spirituale e la sua comprovata fallibilità etico/morale.
La trama è sapientemente costruita attorno ad un gioiello di squisita fattura. Un’antica spilla che riproduce dei piccoli fiori sostenuti da esili gambi in oro.
Sandro non lascia nulla al caso e per il suo libro ha voluto un “deus ex machina” e la sua scelta è caduta su una protagonista inanimata che riesce a tenere la regia dei sette racconti al pari dei personaggi principali in carne ed ossa. E nemmeno la scelta della pietra preziosa di cui sono costituiti i fiori del monile è fortuita.
PECCAMINOSA racconta delle colpe e delle umane mancanze, di travagliati pentimenti e dolorose rinunce, di rassegnate accettazioni, e quale tonalità si addice di più a tali tzunami emotivi e spirituali se non il rosso? E quale pietra, se non la luce calda e ardente del rubino, potrebbe rappresentarli al meglio?
Il “rubeus” è conosciuto da molti come la pietra del Sole perché, al pari dell’astro, che nel suo eterno avvampare accende il nostro universo, così il rubino, dotato di una propria, inesauribile, fiamma interiore, bruciando, dona forza decisionale e vigore fisico. E’ uno tra i cristalli più rari e preziosi e quindi, insieme al diamante, uno dei più pregiati ma, al contempo, è anche una pietra carica di forti simbolismi. E, proprio per questa sua caratteristica, nell’antichità gli venivano attribuiti chiari e precisi significati allegorici e cultuali tanto da essere venerato in molte culture. Poteva essere sfoggiato come simbolo del proprio potere o del proprio valore o, trasformato in un amuleto, si riteneva fosse in grado di garantire salute, passione e ricchezza. Un talismano, dunque, che serviva ad alimentare la propria autostima, a rinforzare la determinazione e il coraggio e ad animare il piacere sensuale.
Le sue qualità non finiscono qui, addirittura si spingono oltre il valore estetico e si sublimano fino ad assumere proprietà terapeutiche. Nei tempi passati era credenza comune, infatti, che il raggio rosso puro emesso dal suo brillìo stimolasse il cuore facilitando la circolazione e depurasse il sangue dall’anidride carbonica rigenerando l’ossigeno consumato…
Nel romanzo di Sandro Capodiferro, la spilla di rubini induce, chi la possiede, a fare i conti con la propria coscienza, a riflettere sul significato della propria esistenza, a cercare di portare in pareggio il bilancio di una vita “squadrata”, a porsi domande mai prese in considerazione. Ed è in questo contesto, così profondamente umano, così spiritualmente movimentato, che prendono vita i racconti delle sette rappresentanti scelte dall’autore per i sette racconti che costituiscono “il corpus” di PECCAMINOSA.
Sette esistenze femminili che coprono un periodo storico di circa due secoli e un’ampia parte del globo terraqueo, recando con sé il proprio vissuto, le proprie paure, speranze, aspirazioni, gioie e dolori. Sette teste pensanti, quindi, che mostrano uno spaccato delle loro anime, offrono al lettore la chiave per entrare nella profonda intimità dei loro sentimenti e nella svariata gamma di emozioni dalle diverse tinte e sfumature che li accompagnano. Non mancano però, relegati sullo sfondo, altri personaggi minori maschili e femminili che inducono o istigano al peccato o che s’immolano per indicare la via della redenzione e il ristabilimento della virtù.
Ovviamente le sette donne sono l’allegoria dei sette vizi capitali che, Capodiferro, da buon autore classico del XXI secolo, ricalcando le orme di Aristotele o del sommo Alighieri, mantenendo una sua dignità letteraria al cospetto dei due grandi e uscendone a testa alta e soprattutto senza peccare di superbia (per rimanere in tema), ha rivista e riproposta in modo assolutamente personale e originale ma soprattutto adattata ai tempi e all’attuale contesto civile.
L’autore presenta i drammi delle loro esistenze, le fatalità o le colpe che le hanno portate a peccare e le reazioni emotive con cui hanno vissuto e combattuto/soggiaciuto ai vizi, ai peccati, ai rimpianti di ciò che poteva essere e non è stato se solo avessero agito/reagito in maniera differente o con maggior consapevolezza. Dall’altra parte, nel lettore, si attiva una reazione di pietà, di rabbia, di tenerezza o di compassione perché l’autore, oltre le righe, fa capire che tali drammi sono tipicamente umani perché indotti dal peccato e dal suo seguito di intransigenza e contraddizioni.
Bisogna riconoscere a Sandro Capodiferro di aver fatto un lavoro enorme, quasi certosino e, dargli atto, di un’abilità di trasformismo camaleontica, degna del miglior Fregoli.
Non credo sia stato facile mutare gli scenari, i personaggi e le loro caratterizzazioni a distanza di poche pagine, cambiare repentinamente fronte da un capitolo all’altro. Eppure, a lui è riuscito perfettamente e, apparentemente, senza sforzo. Se permettete, non è un merito da poco! C’è da considerare, inoltre, che l’autore ha finemente cesellato la psicologia di ogni sua creatura e, con consumata abilità, è riuscito a smettere i panni da uomo per indossare quelli di ognuna di loro, regalandoci un volume pregno di esistenze compiute e di vita vissuta.
PECCAMINOSA è scritto nello stile personale, pulito, scorrevole, incisivo ed efficace al quale il Capodiferro ci ha abituati. Questa “serenità calligrafica” ci accompagna nella lettura permettendo quel rilassamento psicologico necessario per entrare in sintonia con i personaggi comprenderne e interpretare al meglio quanto narrato ma, soprattutto, coglierne il messaggio subliminale e del tutto personale che l’autore ha lasciato ad ogni lettore.
“Il tempo già proprio lui. Lui che riveste di una coltre pietosa anche il più vile atto di nascondermi, commesso dall’incauto nuovo ospite prima di illuminargli la ragione. Lui mi costringe spesso dietro un sipario di bugiarda apparenza e sempre lui mi desta dal mio sonno per donarmi ancora a chi in me trova una spiegazione. Accidia, Superbia, Invidia, Gola, Ira, Avarizia e Lussuria. Tanti nomi per uno stesso fine. Per giustificare come sono fatti gli uomini, per renderli consapevoli e infelici del proprio essere e per questo non donargli tregua alcuna.”
Non c’è due senza tre…, recita un vecchio adagio, …e il quarto vien da sé!
Lo stiamo aspettando, Sandro e, conoscendo la tua penna, sono sicura che sarà un grande successo.