Cosa sarà mai questo romanzo? Un libro di fantasia o una storia vera?
Lo stesso Kaminski, alla fine del libro, spiega di aver scritto questa storia basandosi su ricordi di parenti "sparsi ovunque", volendo mettere assieme una sorta di saga famigliare; ma suggerisce anche di non prendere proprio tutto alla lettera...
"Diciamo e scriviamo la verità soltanto quando non ci resta altro da fare".
Kaminski ci racconta la storia di due famiglie ebree: quella del padre Herschele, e quella della madre Malwa nel periodo a cavallo della prima guerra mondiale. I Kaminski, sono di Varsavia, mentre i Rosenbach, sono di Stanislav.
I personaggi sono descritti in modo vivace e colorato, difetti e progetti si succedono in modo simpatico e divertente; nonostante si sia in guerra, nonostante la persecuzione alla quale gli ebrei sono da sempre destinati.
La famiglia Kaminski ha come capostipite Janckl, padre di undici maschi e cinque femmine. Herschele è il più piccolo dei maschi. Ripudiati dal padre perché rivoluzionari, i fratelli riescono a fuggire in America, dopo essere stati mandati in esilio in Siberia. A New York uno zio investe su di loro, cercando di farli diventare una meravigliosa squadra di calcio.
La famiglia di Malwa, invece, vede un padre affetto da nanismo, sposato a una donna che non lo ama; con uno zio che prevede chissà quali fortune per un suo progetto di fotografia a colori, che mai riuscirà a realizzare. Malwa è una ragazza forte, che lotta per l'emancipazione femminile.
I due si incontreranno a Vienna, dopo molte vicissitudini e sarà amore a prima vista.
Ma il loro peregrinare ancora non ha fine: Malwa, in attesa del primo figlio (Andrè), andrà in Svizzera in cerca di lavoro. Herschele, ancora tenterà la via della rivoluzione fino a quando si riuniranno a Ginevra. E non solo loro, ma tutte e due le loro famiglie.
C'è tanto in questo libro: c'è storia, psicologia, humour, una religione diversa. Affetto e scontri.
Vi starete chiedendo il perché del titolo: per il popolo ebraico, dire "l'anno prossimo a Gerusalemme" è un saluto, un augurio. Anche (e soprattutto) quando sanno benissimo che non sarà mai così.