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Sebastian
di Cesare Picco
Pubblicato su SITO


Rizzoli
Prezzo € 18,00- 208pp.
ISBN 9788817140935

Una recensione di Massimo Crispi
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 Sebastian

Sebastian e Georg sono due goffi adolescenti, entrambi studenti del liceo nella maleodorante (per via delle concerie) cittadina di Ohrdruf che, però, ha una corale strepitosa di cui entrambi i giovani fanno parte. Il coro condivide una pratica occulta legata a una misteriosa Mappa dei suoni segreti di Ohrdruf, ritrovata arrotolata in un vano invisibile e il cui autore è sconosciuto: a ogni riunione ogni corista deve arricchire la mappa delle tonalità dei vari luoghi della città. Sebastian è il più brillante di tutti e trova immediatamente ogni suono della natura e delle pietre e financo delle persone perché secondo lui tutto si traduce in suoni. Così scopre che il viale tra il fiume e il monastero, con sette alberi per lato a distanza di sette passi ciascuno, attraversati dal vento, producono dei flussi di note riconducibili alla triade re-fa-la, in pratica un re minore. E così via, ogni luogo intorno ai ragazzi canta o risuona secondo il codice musicale dell’universo. Il codice musicale universale Sebastian lo scoprirà a poco a poco, attraverso un viaggio ermetico che lo condurrà da Ohrdruf a Lüneburg, grazie all’intervento del maestro del corodel liceo, il Kantor Elias Herda, e grazie all’amico Georg, incaricato dell’accompagnamento dal Kantor, ossia dal primo che si accorge dell’immensità messianica di Johann Sebastian Bach e che cerca in tutti i modi di facilitargli la strada perché possa inondare il mondo colle sue note.

Cesare Picco affronta così il percorso iniziatico di Sebastian e dell’amico Georg Erdmann, molto meno dotato di lui ma di grande supporto psicologico ed emotivo per il più giovane compagno, che è uno dei due narratori in prima persona in questo romanzo deliziosamente fuori del tempo. Sebastian è un cammino sonoro, la musica si respira in ogni parola, ogni frase ha un suo ritmo interno. È come se il romanzo avesse diverse colonne sonore di sottofondo che poi sottofondo non sono, perché la musica entra ed esce di continuo nei vari piani di azione, così come entrano ed escono i punti di vista dei due narratori principali, con ritmi assolutamente facenti parte di quel codice universale che Picco, senza alcun dubbio, domina perfettamente, sia come pianista, sia come compositore, sia come scrittore. La sua prosa è la traduzione in parole delle sue magnifiche composizioni, che suona sempre con tutti i colori del mondo, allargando la Mappa dei suoni segreti di Ohrdruf a Mappa dei suoni segreti della Terra intera. Non c’è una parola fuori posto, tutto scorre come se Anna Magdalena, la seconda amatissima moglie di Bach e secondo narratore, e l’amico Georg fossero lì, descrivendo, in momenti diversi della sua vita, questa strana creatura che possedeva la chiave sonora per capire la realtà. E, comprendendola e traducendola in suoni per tutti, fosse la persona più preziosa da preservare, quasi un patrimonio dell’UNESCO.

C’è anche un terzo narratore, in terza persona, che spiega l’arrivo dell’affettuosa e dolente figura del Kantor Elias Herda alla puzzolente Ohrdruf, che a lui, all’inizio, sembrò il buco del culo del mondo. Ma, quando scoprì il talento di Sebastian, capì la propria funzione di essere stato incaricato dal cielo, forse, per proteggerlo, per spianargli la strada e preparargliela in modo da metterlo in grado di creare tutte le meraviglie che avrebbe composto nel futuro. Una figura paterna positiva, molto più del grezzo fratello tutore, Johann Christoph Bach, assai ordinario organista della chiesa di San Michele - che manco si accorge dello smisurato talento del fratello minore - a cui Sebastian sottrae le partiture dei grandi compositori barocchi per ricopiarle durante la notte e così, rifacendo il loro percorso, capire le strade della musica. Aneddoti e buffi ritrovi della famiglia Bach al completo, nelle bachiadi annuali che si svolgevano ogni anno in diverse località della Turingia, sono altri sfondi sonori e coloristici di quest’inizio.

Anna Magdalena offre la visione della colonna sonora dell’amore, fin dall’inizio del loro incontro a Cöthen, molti anni dopo gli studi di Lüneburg, quando lui è Kappelmeister del principe Leopoldo e lei una cantante in cerca della propria strada. Gli anni bachiani di Weimar, in questa ricostruzione romanzesca, non esistono ma non sono importanti ai fini della narrazione, perché il romanzo di Picco non è una biografia. È un po’ come tutta la parte egiziana della vita di Gesù, che nei vangeli sinottici non viene minimamente considerata. Questo romanzo è un incontro tra il genio massimo della musica di tutti i secoli e il genio di un compositore a noi contemporaneo che con Bach e il suo modo di interpretare il mondo ha parecchio in comune. Infatti, un Bach elegantemente rivisitato è stato oggetto del suo album Bach to me, del 2007. E di certo fa parte dell’eclettico e variegato universo in cui Cesare Picco si esprime, mostrando tutti i suoni e i colori del mondo senza risparmiarsi. Anche i misteriosi colori e suoni del buio, che Sebastian scoprì in quel viaggio iniziatico con Georg verso Lüneburg, dove ci sono alcune delle pagine più belle del romanzo, attraverso l’incontro con una strana e sovrannaturale creatura in forma di un vecchio e saggio carrettiere e poi di un corvo che indica loro la strada.

Queste pagine hanno il sapore dell’antica mitologia greca, quando le divinità si presentavano agli umani sotto forma di altri uomini o animali per guidarli verso il loro fato. Il vecchio carrettiere Lammer, che ha dato ai giovani viandanti un passaggio sul suo carro, ha ascoltato Sebastian e Georg parlare sui suoni che ogni cosa possiede e, dopo essere stato sempre taciturno anche se gentile dice a Sebastian: «Non è molto, ma sei a un buon inizio, ragazzo». E Sebastian e Georg, pur stupiti e anche un po’ contrariati visto che pensavano di aver capito il codice dell’universo, dando una tonalità a ogni oggetto (anche questo nominare la natura è molto legato alla cultura della Grecia antica), implorano Lammer di dir loro che cosa manca. Lammer apre le cateratte: «Il suono del tuo cuore, di una lacrima che tocca terra, delle palpebre che si chiudono, della mano del figlio che stringe la tua. La rugiada che si posa sull’erba, la luna che sparisce dietro le nuvole, la stella che cade dal cielo, l’acqua che scende dentro di te quando la bevi, il vento tra i capelli di una donna, il battito d’ali di una farfalla, il sibilo del falco in picchiata, il canto del lupo alla luna, la foglia mossa dal vento, il fiume che si fonde col mare, la spada che entra nella carne, il rombo di mille cavalli in battaglia, il suono della paura, la voce di un bimbo mai nato, il suono della solitudine, l’ultimo fruscio della tua anima. Finché non conosci alla perfezione ognuno di questi suoni, non puoi dire di conoscere il mondo». La rivelazione sconvolge i due ragazzi che, dopo la notte passata nel fienile del vecchio, al risveglio non trovano più nessuna casa e nessun vecchio ma solo un bigliettino ripiegato con scritto: «Non dimenticare di seguire il corvo». E loro seguono il corvo, il loro bianconiglio, imparando, in questo percorso nel cupo paese delle meraviglie che separa Ohrdruf da Lüneburg, tutti i suoni elencati dal vecchio. Il viaggio e gli incontri fatti dai due ragazzi sono degni dei racconti gotici dei fratelli Grimm, con un pizzico di Italo Calvino.

A un certo punto, Sebastian raccoglie le foglie di piante diverse lungo il tragitto e, davanti al fuoco, dice a Georg: «Guarda le nervature. Se provi a seguire il loro percorso, ti accorgi di come tutto abbia un disegno perfetto. C’è un punto ideale da cui partono, si espandono in linee speculari tra loro, seguendo la forma della foglia. Diversi disegni per ogni tipo di foglia, ma simili tra loro nell’architettura. Sono giunto alla conclusione che seguono un codice. Ora pensa a quelle nervature come a delle voci: ogni nervatura, una linea di suoni di uno strumento. Come una partitura, canti e controcanti matematicamente ed esteticamente in relazione tra loro. È un canone perfetto, un ricercare infinito.» Ricorda ciò che sono le Variazioni Goldberg, perfette.

Il suono del buio Bach lo capirà nei momenti della cecità finale, stesso destino che colpì più tardi anche Händel, entrambi operati da John Taylor a distanza di otto anni, pagine che trasudano tutto l’amore di Anna Magdalena e la devozione al codice dell’universo. Straziante. E il suono del buio Picco lo ha sperimentato nel suo Blind Date del 2009, un concerto in cui si passa dalla luce alle tenebre totali per poi tornare alla luce, come in un’eclisse solare. Dal punto di vista sensoriale è un’esperienza, e sicuramente anche quella è confluita in Sebastian.

L’altra colonna sonora sono le composizioni di Bach che anticipano ogni capitolo, elencate secondo il Bach Werke Verzeichnis, in disordine, così come in disordine temporale, sebbene progressivi, sono i vari salti dal 1698 al 1750, dal 1700 al 1721, e che arricchiscono la narrazione di un ulteriore movimento musicale. Un invito all’ascolto, ulteriore approfondimento emotivo oltre a quelli che già la lettura fornisce. Potrebbe essere il suggerimento di un commento musicale in vista di una trasposizione cinematografica, perché il soggetto si presta.

Picco ci mostra, in questo romanzo e con una lingua elegantissima e sinuosa, una chiave di lettura della realtà carica di segni e di poesia, cosa rarissima in un mondo editoriale dominato dalla banalità e da minuscoli volatili che vincono premi ostrega. Ad anni luce di distanza.


Una recensione di Massimo Crispi



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