Davide Barilli è un buon giornalista che sa scrivere romanzi - non è facile che le due cose vadano d’accordo - soprattutto perché riproduce profumi e ambienti di terre conosciute e rende l’ambientazione credibile, tra ricordi di odori, riti, abitudini, piatti tipici e realtà quotidiana. Le cere di Baracoa è un romanzo giallo ambientato a Cuba - una parte per me meno coinvolgente si svolge nella Bassa Padana - e per questo era impossibile che non mi affascinasse. Tra l’altro si svolge in una delle località più selvagge e fantastiche di un’isola meravigliosa, quella Baracoa, città più antica di Cuba, che Cristoforo Colombo definì la terra più bella che mai piede umano abbia calpestato. Baracoa mi fa tornare alla memoria i miei quarant’anni festeggiasti lungo un fiume e d’improvviso sembra un secolo che non vedo le sue palme, gli auras tiñosas che volteggiano nel cielo azzurro intenso, le ceibas frondose della piazza e la chiesa che nasconde i riti dei santeros. Baracoa bella e cadente, selvaggia come una landa d’Africa precipitata a Cuba, che scopre angoli di mare a ogni curva di strada, tra piccole spiagge, capanne di contadini, venditori di caffè e cioccolata, bambini che giocano con carrettini improvvisati.
Il romanzo di Barilli mi ha fatto venire voglia di tornare a Cuba, ma me la devo far passare, non posso che scriverne da lontano come faceva Cabrera Infante, sperando che qualcosa cambi.
Non amo il giallo, pure se mi è toccato scrivere qualcosa di simile nella mia vita, quasi sempre su commissione. Amo, invece, pezzi letterari come quelli che Barilli ci regala sulla più antica città di Cuba e per questo ho letto volentieri un romanzo, scritto senza cadute di stile.
Per viaggiare davvero i viaggiatori non devono avere nulla da perdere. Ma neanche da cercare. Sono queste le idee che ho in testa mentre la guagua svolta sotto le nubi che avvolgono il picco della montagna. La corriera scende lungo i tornanti avvolta da scrosci d’acqua che fumano, per l’umidità, con l’effetto di un bagno turco. Baracoa è laggiù, schiacciata nella mezzaluna della baia, in fondo alla montagna. Un nome che mi fa pensare al tronco di una pianta misteriosa, invisibile e notturna, che galleggia in mezzo a un mare placido e sconosciuto.
Bravo Barilli, che mi hai scatenato la nostalgia per una terra lontana e indimenticata come fosse un ricordo di donna che non potrai più abbracciare. Pennellate di vecchie illusioni, sogni a occhi aperti, immagini di un oriente caldo e misterioso che si lasciano attraversare dalle pedalate stanche del bicicletero Barroso. Lo seguo con il pensiero, tra momenti di vita cubana che vorrei ancora afferrare, mulatte che danzano ritmi di rumba, creole maliziose che accompagnano bambini al mare, ma purtroppo lo so che è soltanto d’una magia del passato che non riuscirò a recuperare…