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Linguaggi Paralleli:
L’EDIPO RE per Sofocle e per Pasolini
di Mirko Cantale
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Linguaggi Paralleli: <BR>L’EDIPO RE per Sofocle e per Pasolini Premessa

Il primo dato che emerge nel comparare un’opera letteraria con la sua relativa trasposizione cinematografica, sono le differenze. Di questi cambiamenti alcuni sono fisiologici e riguardano la diversa natura dei due linguaggi, altri, invece, sono voluti e su questi ci si deve soffermare per capire cosa è diventata l’opera nel “passaggio” ad un altro linguaggio.
La trasposizione che prendiamo in esame riguarda l’Edipo re di Sofocle da cui nel 1967 Pasolini trasse l’omonimo film, è una trasposizione anomala e ardua nella quale i temi e la filosofia di Sofocle sono inquadrati (è il caso di dirlo) da Pasolini in modo che possano, ancora oggi, comunicare.
In questo caso non so quanto sia corretto parlare di trasposizione, infatti più che “trasportare” il mito di Edipo, Pasolini sembra partire dal mito di Edipo per arrivare ad altro.


EDIPO RE Sofocle

Autore: Sofocle
Titolo originale: Οlδίπoυς τύραννoς
Anno: 530 a.C. circa


EDIPO RE Pasolini

Regia: Pier Paolo Pasolini
Titolo originale: Edipo Re
Paese: Italia, Marocco
Anno: 1967
Soggetto: Edipo re di Sofocle
Sceneggiatura: P.P.Pasolini


Partiamo dal titolo: L’Edipo re per Sofocle e per Pasolini. Per e no di Sofocle; perché quella di Sofocle è già una trasposizione in senso lato, infatti, il mito di Edipo già esiste quando Sofocle decide di metterlo in scena introno al 530 A.C.
Ricordiamo brevemente la vicenda trattata nella tragedia:
A Tebe, di cui Edipo è Re, si abbatte un’epidemia di peste, Edipo decide di indagare sui motivi di questo castigo, la ricerca sarà scandita da una serie di indizi che porteranno al quadro completo. La colpa sembra risiedere in Edipo, il quale, inconsapevole, ha ucciso Laio (precedente re di Tebe) e ne ha sposato la moglie, Giocasta, ma Laio altro non è che il vero padre di Edipo e Giocata la madre, incesto e parricidio due colpe che vanno espiate. Giocasta davanti all’atroce scoperta si toglie la vita, mentre Edipo si toglie la vista divenendo un uomo indifeso in balia del mondo. In realtà Edipo si assume la responsabilità di una colpa originata da Laio, che, trasgredendo all’oracolo che gli predisse la morte per mano di suo figlio, incaricò un servo di eliminare il piccolo Edipo, ma il servo spinto da compassione decise di abbandonarlo, lasciando in vita il futuro assassino del re.
Sofocle punta alla rappresentazione del processo per individuare la colpa che genera l’epidemia, gli ateniesi conoscevano il mito di Edipo, ma gli avvenimenti che lo portarono alla verità l’ignoravano. Quindi la colpa non è imputabile direttamente a Edipo, ma risiede nell’antefatto della vicenda almeno dal punto di vista dell’opera sofoclea. Tutto ciò che accade è per l’autore segno del destino che Edipo stesso conferma con le proprie azioni, non c’è una colpa superiore, attribuibile agli dei, che ha determinato il fato dell’eroe; Sofocle lascia intendere che le sofferenze in cui incorre Edipo, quindi gli uomini, sono inevitabili: sulla terra risiedono dolore e sofferenza e gli uomini devono saperle affrontare con dignità poiché non è possibile fuggirne.
Nel v secolo a. C. il tema della colpa e della sua espiazione ricorreva sovente nelle tragedie ( ricordiamo che il teatro aveva un fine educativo per i cittadini); di tutto questo, cosa è rimasto nell’opera di Pier Paolo Pasolini?
Forse poco.
Tra Sofocle e Pasolini c’è Freud, e se parliamo di Edipo la ovvia precisazione non è così banale.
Pasolini stesso dichiara: "In Edipo racconto la storia del mio complesso di Edipo" , quindi è subito chiaro che l’attenzione di Pasolini rispetto all’opera di Sofocle riguarda un aspetto ignoto a Sofocle stesso.
Il film si apre negli anni ’30 del 1900. In una bella casa borghese una donna mette al mondo un bambino. Il piccolo cresce con le cure e le attenzioni della madre nella confortante villa e nel verde parco di pioppi. Il padre, un ufficiale di fanteria, matura in se un pericoloso pensiero: quel bambino toglierà a lui le attenzioni, l’affetto e l’amore della sua sposa.
Il pensiero matura finché una notte l’uomo, mosso da gelosia, prende il bambino per i piedi e glieli stringe, quindi uno stacco ci porta sul monte Citerone un ambiente arcaico dove un uomo, servo di Laio, porta appeso ad un bastone un bambino, l’ordine è di ucciderlo, ma il vecchio servo decide di abbandonarlo, un gesto di pietà che, come abbiamo ricordato prima, sarà decisivo.
Le prime differenze evidenti riguardano il prologo moderno e la ripresa da parte di Pasolini del mito. Pasolini ci racconta la storia di Edipo da quando, neonato, viene portato a Corinto dal re Polibo che lo alleverà come suo figlio. Mentre Sofocle ci mostra, come abbiamo già detto, Edipo già Re di Tebe.
E poi il bellissimo prologo in cui l’autobiografismo di Pasolini risulta subito evidente, ma a conferma ci sono le parole dell’autore stesso: " il bambino del prologo sono io, suo padre è mio padre, ufficiale di fanteria, e la madre, una maestra è mia madre. Racconto la mia vita, mitizzata naturalmente, resa epica dalla leggenda di Edipo." .
Altre varianti del mito sono: il coro, sostituito nel film da canti rumeni registrati dal vivo " ho deferito a questo canto incessante, continuo e lontano di popolo, la funzione sia pure embrionale del coro", la figlia di Edipo sostituita da Angelo, che l’ accompagnerà una volta cieco. E poi la sfinge.
La sfinge nel mito è la chiave d’accesso verso il terribile destino di Edipo.
Questo la incontra a Tebe. Edipo giunge nella città dopo l’infausta previsione rivelatagli dall’oracolo (l’uccisione del padre e il rapporto incestuoso con la madre). Edipo scappa da Corinto e dai suoi presunti genitori e vaga finché a un trivio incontra degli uomini che l’ostacolano, nasce una lotta e gli uccide, tra questi c’è Laio re di tebe e padre di Edipo. Si compie, inconsapevolmente per Edipo, parte della previsione. Dopo poco Edipo giunge a tebe e scopre la città sotto la morsa della sfinge che pone un indovinello a chiunque passi nei suoi pressi e chi non risponde correttamente viene ucciso.
Ma Edipo riesce a battere la sfinge, così si arreca il diritto di sposare la regina Giocasta e divenire re di Tebe. In questo modo si compie totalmente l’ anticipazione dell’oracolo.
La sfinge è importante per la dimensione freudiana del film, infatti, quando si troverà davanti a Edipo non gli proporrà l’indovinello, ormai celebre: "Chi all’alba cammina a quattro zampe a mezzogiorno a due e la sera a tre?" Nella mitologia Edipo saprà rispondere: "L’ uomo" e la sfinge abbandonerà la città.
L’enigma di Pasolini è tutto interiore.

SFINGE: "c’è un enigma nella tua vita, qual è?"
EDIPO: "non lo so e non voglio saperlo"
SFINGE:"è inutile. L’abisso i cui mi spingi è dentro di te"

Quindi siamo nell’inconscio dell’uomo, siamo nelle mani di Freud.
E’ chiaro che ai fini della trasposizione di Pasolini ciò che ne viene fuori è un’opera personale, quindi la trasposizione diventa un veicolo e non un fine. Veicolo per un nuovo discorso, differente dalla ricerca della verità e della conoscenza drammatica che è l’essenza del mito di Edipo, nonostante Pasolini sostenne che l’aspetto che più lo interessò dell’opera di Sofocle era proprio "il contrasto tra la totale innocenza e l’obbligo del sapere" questo aspetto non sembra approfondito nel film.

Il film è possibile dividerlo in questo modo:

MITO

MITOLOGIA TRAGEDIA

PROLOGO SOFOCLEA EPILOGO

La parte che fa riferimento al mito, la più lunga, è suddivisibile in altre due sottocategorie: una prima che tratta la vita di Edipo prima che questi diventi re di Tebe (mitologia), la seconda, sofoclea, in cui si narra l’indagine che porta Edipo alla “conoscenza” (trasposizione vera e propria della tragedia).
In questa ultima, in cui è ripresa la tragedia, un importante cambiamento risiede nella presenza di Angelo interpretato da Ninetto Davoli, che nel film lo vediamo la prima volta all’arrivo di Edipo a tebe, poi lo incontriamo come accompagnatore di Tiresia, il veggente cieco, e poi, ancora, come accompagnatore di Edipo quando si toglierà la vista, in Sofocle saranno i figli (nell’Edipo a colono Antigone) di Edipo a stargli vicino nelle tenebre in cui è calato mentre nel film sarà Angelo, in questa variante si può riscontrare un altro riferimento autobiografico: più di una volta si è parlato del rapporto paterno di Pier Paolo nei confronti di Ninetto, ma forse si rischia di esagerare.
Poi L’epilogo. Nuovamente in ambiente moderno, Edipo cieco cammina supportato da Angelo per i portici di Bologna, dopo un lungo peregrinare, trovano il “Luogo” dove fermarsi, forse per sempre, il luogo è il parco di pioppi dove il piccolo del prologo era allattato dalla madre; questo finale suggerisce una vittoria di Freud su Sofocle, ma Pasolini lo smentisce e fa notare che il finale del film sembra ispirato dall’Edipo a Colono, quindi: "nell’arbitrario impasto fra il suggerimento freudiano e quello sofocleo, la vince quest’ ultimo"1

Ma quest’epilogo è, soprattutto, sintesi del percorso di Pasolini da poeta decadente a poeta per la borghesia e ancora poeta civile, fino alla ricerca dell’origine, della propria madre, della vita, e qui il cerchio si chiude, della morte.
In questa ricerca dell’origine c’è anche la poetica di Pasolini tesa verso il puro, verso ciò che è ancora umanamente puro, un precorso che va dal dialetto friulano alle borgate romane, per poi allontanarsi nel mito, nella fantasia, fino al corpo luogo incontaminato e quindi elogiato nella trilogia della vita (Decameron, I racconti di Canterbury e Il fiore delle mille e una notte) ma anche il corpo sarà sopraffatto dal potere e Salò o le 120 giornate di Sodoma ne sono una prova inconfutabile.
Torniamo alla trasposizione. Si era posto in forse che la dimensione dell’inconsapevolezza e della colpa, che portano Edipo a diventare cieco, nel film di Pasolini siano marginali rispetto all’aspetto freudiano, ma se consideriamo i film precedenti, in particolare i film sul sottoproletariato per intenderci, notiamo che l’ingenuità e l’inconsapevolezza di Edipo riportano all’ingenuità di Accattone, che ha sempre il volto di Citti, ad esempio. Uomini che sono vittime di una vita che non comprendono e che attraversano ignari, parlando di Edipo Pasolini dice: " è uno che non vuole guardare dentro le cose, come tutti gli ingenui, gli innocenti che vivono la loro vita quali prede della vita e delle proprie emozioni" . A questo punto il tema sofocleo dell’inconsapevolezza e della colpa è chiaro anche nell’opera di Pasolini, ovviamente riletto in chiave moderna; dovremmo, quindi, rivedere tutto sotto questo aspetto, ripartire da capo, tornare, in sostanza, all’origine.

Note: 1) Perché quella di Edipo è una storia in Edipo Re, garzanti, Milano, 1967

A cura di Mirko Cantale



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