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Vorrei proporre qualche riflessione su alcuni scritti di Arthur Rimbaud. La sua bruciante esperienza continua a parlarci anche a distanza di tanto tempo:
Ci si scotta ancora. E la ferita domanda sempre cura, comprensione. "Voglio essere poeta,e lavoro a rendermi veggente...bisogna esser forti, esser nati poeti,ed io mi sono riconosciuto poeta "-così nella lettera al professore di retorica Izambard del 13 Maggio 1871. In modo più articolato nella lettera del 15 Maggio 1871 all'amico Paul Demeny,scrive :" Io è un altro.Se l'ottone si sveglia tromba non è mica per colpa sua.Questo mi sembra evidente:io assisto allo schiudersi del mio pensiero:io lo guardo l'ascolto: do un colpo d'archetto :la sinfonia fa le sue evoluzioni... ...tanti egoisti si proclamano autori. Io dico che bisogna farsi veggente.Il poeta si fa veggente attraverso un ragionato sregolamento di tutti i sensi ".(in qualche modo spersonalizzandosi deliberatamente.)..."Perchè egli giunge all'ignoto!"
Arthur Rimbaud dunque spende tutto se stesso nel tentativo di costruirsi poeta, un poeta che guarda al futuro, creatore di opere che anticipino il mondo a venire.Vuole essere un veggente,attraverso la poesia potrà arrivare alla conoscenza.Si tratterà di un sapere esoterico? In Parade, una delle Illuminazioni, Rimbaud sembrerà suffragare questa ipotesi : " Solo io ho la chiave di questa parata selvaggia ".
Ma, nelle lettera già citata a Demeny, del Maggio 1871, aveva testimoniato la marginalità del poeta nell'insieme del processo creativo. "Io è un altro",appunto e la canzone è in un certo senso indipendente dal pensiero cantato e compreso dal cantore. Così ha senso ogni tentativo di interpretazione che si attua sulla "canzone" non sul "cantore". E generazioni di interpreti si avvicenderanno per trarre dai testi rimbaldiani insegnamenti,visioni,pensieri.
Delle tre Illuminations intitolate città, due sono al plurale(Villes) e una al singolare (Ville) Perchè? Di fronte a un Rimbaud"mistico selvaggio"(secondo Paul Claudel), la natura, la vita, la storia e tutto ciò che lo circonda, Londra o Parigi appaiono come un turbinio di immagini senza senso e occorre un modo per ordinare e conoscere la propria realtà. I miti rivelano l'ordine profondo che regola la vita e la morte, i successi e le sconfitte, l'estate e l'inverno, tutto ciò che è accaduto e che accadrà. Assistiamo dunque alla elaborazione di un mito? I miti, come le parabole, e le fiabe hanno il compito di far arrivare l'ascoltatore al mondo dei principi attraverso la parola e il coinvolgimento emotivo. Spetterà poi alla razionalità il chiarimento delle presunte contraddizioni e la disposizione degli avvenimenti nella giusta luce. Le due illuminazioni intitolate Villes sembrano solo tentativi di cristallizzare le caratteristiche delle metropoli moderne, falliti per eccesso, (Villes I ) o per difetto di potenza immaginativa. (Villes II)
Leggiamo in Villes I : Sono città! E' per un popolo che sono sorti questi Alleghani e questi Libani di sogno!... Sulle piattaforme in mezzo agli abissi gli Orlandi suonano il loro coraggio....Oltre il livellodelle più alte creste un mare turbato dall'eterna nascita di Venere, carico di flotte canore...Cortei di Mab in abiti rossicci, opalini,salgono dalle forre.Lassù, con le zampe nella cascata e nei rovi, i cervi poppano Diana. Le Baccanti delle periferie singhiozzano e la luna arde e urla.Venere entra nelle caverne dei fabbri e degli eremiti....
"In questa ribalta tutto si recita",ha commentato Gabriele Aldo Bertozzi.Le immagini delle diverse mitologie (Orlandi,Venere,Baccanti,, Mab,Diana) si susseguono con un ritmo mozzafiato.Il loro nesso logico ci sfugge. Quasi nessun elemento ci collega alla realtà.
Invece in Villes II : L'acropoli ufficiale supera le concezioni più colossali della barbarie moderna....Assisto a esposizioni di pittura in locali venti volte più vasti di Hampton Court.E che pittura! Un Nabucodonosor norvegese ha fatto costruire le scale dei ministeri....I parchi rappresentano la natura primitiva modellata da un'arte superba.Il quartiere alto ha parti inesplicabili...Un corto ponte conduce a una postierla proprio sotto la cupola della Santa Cappella.Questa cupola è un'artistica armatura d'acciaio di circa quindicimila piedi di diametro...Il quartiere commerciale è un anfiteatro di uno stesso stile...qualche nababbo raro come chi va a spasso di domenica mattina a Londra, si dirige verso una diligenza di diamanti....Il sobborgo,elegante quanto una bella via di Parigi ha la fortuna di avere un aspetto luminoso...
Quì al contrario una autorevole interprete, Enid Starkie, ha creduto di leggere la descrizione sistematica e precisa di Londra (West End,Piccadilly). Quasi che Rimbaud sia stato spinto da un esigenza dialettica,dopo la selvaggia cavalcata fantastica di Villes I a fissare sulla carta immagini assai concrete, quasi quotidiane. Per "L'acropole officielle" si è pensato al Crystal Palace dell'Esposizione Universale di Londra del 1851;Per quanto riguarda l'allusione al re di Babilonia si può ricordare che l'urbanista J.Martin aveva progettato e costruito in Londra edifici in stile "babilonese".
La sintesi sembra realizzarsi proprio in Ville,è quì che il poeta sembra esprimere la quintessenza delle sue esperienze. E' in Ville che sembra aversi la manifestazione di quel " luogo unico" di cui ha scritto, in pagine assai acute, Cesare Pavese. Per Pavese, il carattere della fiaba mitica è la consacrazione dei luoghi unici....A un luogo tra tutti si da un significato assoluto isolandolo dal mondo.Il paragone con l'infanzia chiarisce come il luogo mitico non sia tanto singolo,il santuario,quanto quello di nome comune, universale,il prato,la selva,...che nella sua indeterminatezza evoca tutti i prati, le seve..Nel nostro caso La Città, santuario della modernità che fatta in sostanza di meccanicità, di banalità, evoca tutte le città future.
Seguiamo Rimbaud:
Sono un effimero e non troppo scontento abitante di una metropoli ritenuta moderna perchè ogni gusto conosciuto è stato eluso nell'arredamento e nell'esterno delle case come nella pianta della città.Qui non potreste segnalare tracce di alcun monumento di superstizione.Morale e lingua sono ridotte alla loro più semplice espressione, finalmente! Questi milioni di persone che non hanno bisogno di conoscersi conducono nello stesso modo educazione,mestiere e vecchiaia,tanto che il corso della vita deve essere parecchie volte meno lungo di quel che una statistica folle non riscontri per i popoli del continente.E perciò come,dalla mia finestra, vedo spettri nuovi che rotolano attraverso lo spesso ed eterno fumo di carbone,-nostra ombra dei boschi,nostra notte d'estate-nuove Erinni, davanti al mio cottage che è la mia patria e tutto il mio cuore poichè tutto qui assomiglia a questo,-la Morte senza pianti, nostra attiva figlia e serva,e un Amore disperato,e un piacevole Crimine che geme nel fango della strada.
Con Ville siamo davanti all'aspetto fondamentale della metropoli in quanto Rimbaud pone al centro del testo, proprio il modo in cui è vissuto il tempo dai milioni di abitanti della grande città : "Morale e lingua sono ridotte alla loro più semplice espressione, finalmente! Questi milioni di persone che non hanno bisogno di conoscersi conducono nello stesso modo educazione,mestiere e vecchiaia,tanto che il corso della vita deve essere parecchie volte meno lungo di quel che una statistica folle non riscontri per i popoli del continente". L'inquietudine e la perplessità di fronte alla vita, nelle prime grandi città industrializzate, non poteva naturalmente essere del solo Rimbaud.Una testimonianza molto significativa ci è stata offerta da Friedrich Engels nel suo libro del 1845 "La situazione della classe operaia in Inghilterra". Scrivendo di Manchester egli rileva :.."Queste persone di tutti i ceti e di tutte leclassi. ..non devono forse tutti quanti ricercare la felicità per le stesse vie e con gli stessi mezzi ? Eppure si passano davanti in fretta, come se non avessero nulla in comune...
In questa" illuminazione" pare che Rimbaud sia proprio riuscito ad intuire l'essenza della città moderna :una macchina gigantesca dove ogni ingranaggio si trova ripetere le stesse azioni, e dove predomina l'indifferenza. La giornata scorre tra ore che non passano mai e, paradossalmente, orari da rispettare in modo ferreo. E' forse per quest'ultimo motivo il linguaggio e la morale sono ridotti ai minimi termini? "Morale e lingua sono ridotte alla loro più semplice espressione, finalmente! " Scrive Rimbaud.
Pochi anni prima,in tutt'altro contesto, nei "Parerga e Paralipomena" Arthur Schopenhauer polemizzava aspramente contro chi contribuiva ad impoverire sempre di più il linguaggio e con esso il pensiero stesso:" La genuina concisione dell'espressione consiste nel saper dire in ogni caso soltanto ciò che è degno di essere detto. ..Invece non bisogna sacrificare la chiarezza e tantomeno la grammatica alla concisione.E' una deplorevole dissennatezza indebolire l'espressione di un pensiero...per riuscire ad adoperare qualche parola in meno.Ma proprio questa è la tendenza alla falsa concisione che oggidì è talmente di moda...
E al nostri tempi, non v'è chi non sia in grado di rilevare come, nelle grandi città, si stia assistendo al crescere dell'indifferenza,al crescere di quella che è stata considerata la specifica povertà dei paesi ricchi,la solitudine;e, su un piano nettamente diverso, alimentato dalle nuove tecnologie, ad un ulteriore impoverimento del linguaggio.
Ma la "profezia " di Rimbaud assume una valenza addirittura strutturale. Scriveva Engels, nel 1845, che la società borghese,nella grande città, dissimulava ciò di cui viveva,i quartieri operai dimore di chi costituisce il motore della produzione industriale erano nascosti;può capitare di non incontrare operai in città; operai che nelle industrie che stavano diffondendosi, venivano a svolgere funzioni complementari per la sempre più accentuata divisione del lavoro;ciò costituirà, tra l'altro,la base materiale per il formarsi e per lo sviluppo della solidarietà e della cosiddetta "coscienza di classe".
Oggi, per effetto della rivoluzione informatica,l'organizzazione del lavoro nei moderni centri di produzione è tale da chiudere i lavoratori in una monade che è la produttività individuale, isolandoli, tramite la competizione, dagli altri lavoratori. Così oggi l'essenza della nostra società,perlomeno di quella cosiddetta dei "due terzi", non è più nascosta. Essa si presenta in modo evidente nella vita quotidiana della città, soprattutto in quelli che sono stati definiti "non luoghi" ; " Questi milioni di persone che non hanno bisogno di conoscersi conducono nello stesso modo educazione,mestiere e vecchiaia,tanto che il corso della vita deve essere parecchie volte meno lungo di quel. .." in termini hegeliani potremmo dire che essenza ed esistenza trovano,finalmente, la loro conciliazione..
Di fronte a questa prospettiva per Rimbaud,non c'è che la fuga...
da Una stagione all'inferno: "L'astuzia è lasciare questo continente, dove la follia va in giro per fornire ostaggi a quei miserabili. Si accendano le città nella sera.abbandono l'Europa. ..viaggeremo,andremo a caccia nei deserti, dormiremo sui selciati delle città sconosciute,senza pensieri, senza pene.Eccomi sulla spiaggia armoricana. Le città si accendono nella sera. La mia giornata è fatta; io lascio l'Europa. L'aria marina mi brucerà i polmoni; i climi perduti mi abbronzeranno. Nuotare, pestare l'erba, cacciare, fumare soprattutto; bere liquori forti come metallo bollente, - come facevano quei cari antenati intorno ai fuochi. Quando andremo, oltre le spiagge e i monti, a salutare la nascita del nuovo lavoro, la nuova saggezza, la fuga dei tiranni e dei demoni, la fine della superstizione, ad adorare - i primi! - Natale sulla terra! "
Ma la delusione non mancherà: dal Rapporto sull'Ogaden, 10 Dicembre 1883: "L'occupazione giornaliera è quella di andare ad accovacciarsi a gruppi sotto gli alberi. ..e,armi alla mano, deliberare indefinitamente sui loro vari interessi di pastori.A parte le sedute, il pattugliamento a cavallo durante l'abbeveraggio e le razzie presso i loro vicini,sono completamente inattivi.Ai bambini e alle donne è lasciato il compito del bestiame,della preparazione degli utensili domestici,della costruzione delle capanne, dell'allestimento delle carovane."
E l'alternativa stessa era destinata a svanire...
Ancora da Una stagione all'inferno: "Conosco ancora la natura? mi conosco? - Niente più parole. Seppellisco i morti nel mio ventre. Grida, tamburo, danza, danza, danza, danza! Io non vedo neppure l'ora in cui, sbarcati i bianchi, io cadrò nel nulla. Fame, sete, grida, danza, danza, danza, danza!"
E poi...
" I bianchi sbarcano. Il cannone! Bisogna sottomettersi al battesimo, abbigliarsi, lavorare. Ho ricevuto al cuore il colpo di grazia. Ah! io non l'avevo previsto!"
L'uomo "dalle suole di vento" in realtà l'aveva previsto forse dal giorno stesso in cui si era messo in cammino e aveva deciso di provare a vivere mille vite spese tutte nel tentativo di dare all'esistenza un senso inaudito.
A cura di Alberto Accorsi
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