In un periodo di crisi economica, sociale e politica come quello attuale, in cui si sente parlare di recessione, lo spauracchio della politica che “interviene” con tagli propinati come necessari, ma percepiti come arbitrari dalla popolazione, diviene il nostro pane quotidiano. La sensazione di smarrimento nel buio di un tunnel senza via d’uscita fa franare il terreno sotto i nostri piedi. A cosa ancorarci? Puntare su noi stessi in quanto assuefatti da una politica che promette idilli ma nella realtà dei fatti non sa nemmeno adempiere a quelli che sono i doveri principe di uno Stato che si dice equo e democratico?
A detta del sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman (1925) siamo una società “liquida”. Egli fa una chiara analisi della società moderna europea, della crisi economica che riecheggia quella del ’29 e che sgretola ogni certezza nelle persone, trasfondendo loro lo spettro della precarietà e provvisorietà. Siamo fragili, disuniti, approssimativi nell’affrontare la gestione dei nostri “affaires”. Siamo il frutto della globalizzazione, ci mischiamo agli altri ma in realtà non formiamo un amalgama. L’individualismo che ci connota ci fa essere come la goccia d’olio che vuole, invano, mischiarsi all’acqua. La nostra è una vita “liquida” che non ha più punti saldi cui affidarsi: si sgretolano le istituzioni (ecclesiastiche, politiche, familiari), naufraghe in un marasma di paradossi e contraddizioni che hanno annientato le regole forti che tenevano in piedi i valori della nostra società e reso labile ed offuscata la lucidità che sapeva farci distinguere il vero dal falso.
Davanti a noi tutto cambia velocemente, sorpassandoci e sormontandoci. Rimaniamo sempre indietro, come sbandati, disorientati, senza regole che ci guidino verso la meta, “senza nemmeno sapere quanto durerà il viaggio” (cit. Bauman).
E quando si fa parte di uno stato che non sa garantire il diritto allo studio e al lavoro ai propri cittadini, che umilia l’istruzione pubblica e annichilisce il concetto di meritocrazia, davvero, si è dinnanzi al fallimento di una società e della politica che dovrebbe darle un assetto.
Esiste un modo per evitare la nostra totale liquefazione? Diventare “solidi” - dice Bauman - e razionalizzare il funzionamento dei nostri apparati burocratici, giudiziari, fiscali, di pubblica amministrazione e istruzione, divenendo competitivi rispetto, ad esempio, a una grande potenza economica come la Cina che va progressivamente fagocitandoci.
Bauman, ricalcando la letteratura ottocentesca francese, considera l’uomo moderno come un flaneur, colui che vaga senza meta né progetto, ora che i vecchi riferimenti culturali che un tempo ci davano la rotta da seguire, alla stregua di carte nautiche, si sono persi.
Sarà forse che navigare ha da sempre avuto un indiscusso fascino e che l’idea del “mettersi in viaggio affrontando l’imprevisto” è speculare alla vita stessa - “il viaggio” per antonomasia -, sta di fatto, comunque, che la metafora della navigazione ed i concetti ad essa annessi quali uscire dal porto (luogo sicuro, di ancoraggio), imbattersi nel mare aperto e affrontare i flutti imprevisti delle onde, sono stati elementi sempre presenti nella tradizione letteraria occidentale; hanno dato corpo al topos letterario della “metafora della nave”, l’immagine - simbolo di una nave (lo Stato) rappresentata in balìa di un mare in tempesta (crisi politica).
Dagli autori classici in poi ricorrere a questo artificio letterario fu cosa assai frequente, giacché la figura retorica in questione (la metafora) si prestava benissimo ad esemplificare una situazione quanto mai sentita e vissuta, in ognuno di quei periodi storici di cui l’autore faceva parte, dilaniati da lotte intestine e crisi socio-politiche.
Ciò comprova che la storia si ripete, purtroppo, sempre uguale. Cambiano solo gli attori protagonisti (che sembra non imparino dagli errori del passato) e il teatro. Ma in scena c’è sempre la stessa, claudicante, natura umana.
Presso i greci fu il “tragico” Eschilo ne I sette contro Tebe (467 a.C.) a utilizzare questo motivo retorico, ed emblematica è l’ode del poeta greco di Mitilene Alceo (V sec. a. C.) che, immerso nella vita politica della sua città in preda alle lotte tra fazioni, trasferisce la sua passione e il vivo coinvolgimento nei suoi versi: “non comprendo la lotta dei venti: di qua rotola un flutto, di là un altro, noi siam portati con la nera nave per l’alto mare, molto fiaccati da una grande tempesta …”.
E l’emulazione che ne fa il poeta latino Orazio (65 – 8 a. C.) vede la polis (nave - città) personificata, in pericolo e senza una retta condotta politica, rappresentata come una nave in balìa dei flutti che lui esorta, nel carme, a non avventurarsi nel mare aperto:
“O nave, nuovi flutti ti sospingeranno in mare. O che cosa fai? Arriva presto al porto! Non vedi che il fianco è privo di remi e l'albero danneggiato dal veloce Africo […] Tu attenta a non diventare ludibrio dei venti”.
Facendo un salto cronologico in avanti, è doveroso soffermarsi alla lucida e profetica analisi politica dantesca circa la situazione di Firenze, dell’Italia e dell’Impero, ampiamente scandagliate nel 6° canto politico di ognuna delle tre cantiche della sua “divina” opera.
La sua invettiva contro le lotte che sconvolgono la vita dei popoli, di Firenze, dell’Italia e di tutti i regni della terra, causate dalla cupidigia e violenza dei partiti e fazioni politiche, raggiunge la sua più alta espressione nei vv. 76-78 del Purgatorio:
“Ahi serva Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/non donna di provincie, ma bordello!”.
L’Italia schiava dei tiranni, senza una guida politica è divenuta sede di dolore.
La metafora e l’allegoria sono in questo caso strumenti letterari perfetti per dar voce al genio dantesco. La sua lungimiranza va riconosciuta anche quando ribadisce l’assoluta necessità della attuazione della teoria medioevale “dei due soli”: l’autorità papale, esclusivamente spirituale, brillando di luce propria come il Sole, si vede riconosciuta pari dignità di quella temporale dell’Imperatore che però riceve dalla prima il lume divino per esercitare il suo potere, brillando quindi, come la Luna, di luce riflessa. Entrambe avrebbero dovuto operare senza interferire tra loro, senza ingerenze reciproche. Forse, questa, un’approssimazione profetica ed inconsapevole del concetto di stato laico? Un’utopia allora ed oggi.
Il tema del viaggio, frequente nella tradizione romantica, prese la forma della succitata immagine metaforica anche attraverso la penna del poeta ‘veggente’ Arthur Rimbaud (1854 – 1891), in una lirica composta nel 1871, Le bateau ivre, dove il battello ebbro e solitario, senza equipaggio, che si lascia trasportare da una corrente di “fiumi impassibili” scendendo al mare, è il poeta stesso. Vi è in questo caso una totale immedesimazione dell’autore, fattosi battello, che mette in versi il suo stato d’animo di poeta libero immerso in totale abbandono nel “poema del Mare”.
In passato come oggi si è spesso palesata l’esigenza di attendere la “venuta” di qualcuno che risollevasse le nostre sorti. Siamo sempre stati un popolo allo sbando necessitante di aiuto, di essere “salvato”?
Da un’analisi attenta della nostra letteratura parrebbe proprio di sì.
Immagini evocative al riguardo ricorrono nei versi del poeta latino Virgilio che narra di un’epoca di guerre civili attraverso un genere letterario antitetico rispetto al suo contenuto: la poesia pastorale. I versi della IV Egloga delle Bucoliche (40 a. C.) diedero involontariamente vita, nei secoli a venire, ad un enigma di carattere esegetico: “Tu, casta Lucina, aiuta il fanciullo nascente, con il quale la gente insensibile scomparirà per prima e su tutto il mondo sorgerà una stirpe aurea: il tuo Apollo già regna.”.
Chi è questo puer invocato da Virgilio? Gli esegeti vogliono leggerlo come l’auspicio dell’avvento di una figura rigeneratrice, che fungesse da guida per gli uomini (da non intendersi necessariamente in chiave cristiana come la venuta di Cristo, secondo una posizione ermeneutica che dominò per secoli nella letteratura colta e popolare) ormai perduti dietro a corruzioni e sete di potere.
L’attualità ci dimostra che certe situazioni non sono affatto cambiate, che siamo ancora in attesa di riscattarci da un flagello culturale, sociale ed economico che pare non avere soluzione di continuità.
Che arrivi il comandante della nave italica, che riesca in breve tempo e con estrema sicurezza a portare in salvo la sua (nostra) imbarcazione, stabilendo la direzione da seguire. E che di nome non faccia, ancora, Schettino.
Sperare è un dovere.
Fonti
Z. Bauman, Modernità liquida, Bologna, Il Mulino, 1992.
Z. Bauman, La vita liquida, Editori Laterza, Roma, 2006
P. Romeo, La Metafora della Navigazione, ilmiolibro.it
A. Rimbaud, Le bateau ivre, 1871.
D. Alighieri, La Divina Commedia, Purgatorio, canto VI vv. 76-78
Orazio, Carmina, 1.14
Alceo, Carmi della lotta civile, Fr. 326
Virgilio, Le Bucoliche, IV Egloga vv. 8-9