L’evoluzione stilistica della scrittura
La prima espressione letteraria per Paolo Volponi, fu quella poetica. L’argomento della mitopoiesi sociale nel romanzo volponiano e dall’approdo alla narrativa partendo dalla poesia è stato ampliamente affrontato in molti miei saggi, tra i quali in questa sede ricordo, Mitopoiesi sociale nel romanzo volponiano. Quando i temi della lirica giovanile diventano il sostrato di una vita da scrittore, in Riscontri[1] e La narrativa in Paolo Volponi, in Avanguardia[2], meno frequentato invece è stato il suo approccio poetico.
Paolo Volponi si affacciò con prepotenza nel panorama letterario italiano di fine prima metà del Novecento a soli 24 anni, con la raccolta Il ramarro (1948)[3]. Si tratta di quaranta componimenti scritti nell’immediato dopoguerra seguendo la moda ermetica del frammento lirico paratattico[4]. Lo spazio poetico delineato per successivi bozzetti e frammenti è un microcosmo naturale che si confonde, specchio del macrocosmo dell’io poetico. A tal proposito estremamente interessanti risultano essere le parole del Volponi sulla genesi della sua poesia in A lezione da Paolo Volponi:
Perché scrivevo poesie allora, non ancora ventenne? Perché ero incerto, perché avevo paura. Ero folgorato da certe immagini, da certe visioni, filtrate attraverso il ricordo delle letture incerte e frammentarie della scuola, che mi portavano ad avere un rapporto con fatti lontani magici perenni quali gli astri, il paesaggio, le stagioni, le tempeste o le ragazze; o certe durezze della vita di allora, anche se già toccata dalle grandi speranze della libertà e poco dopo esaltata dagli effetti della liberazione[5].
La poesia per Volponi fu il mezzo tramite il quale riuscì a dare una forma alle sue irrefrenabili pulsioni, si trae dunque una forma da un magma cosmico di sensazioni giovanili. È infatti notevole, e non privo delle ingenuità e della meccanicità dell’apprendistato letterario, lo sforzo di appropriarsi di alcune costanti stilistiche e linguistiche tipiche dell’usus dei poeti più maturi. Nella poesia giovanile volponiana domina il sostantivo assoluto, con sospensione dell’articolo (il tipo: «Vastità che soffro», R, 59), l’analogismo sviluppato mediante coppie inconsuete di aggettivo e sostantivo ed epiteti di tipo sinestetico.
La poesia fu per Volponi cosa naturale, approccio ordinario d’espressione, prima forma letteraria. Egli stesso ha sempre affermato di averla sentita come ordinarietà linguistica, mentre l’approdo alla narrativa fu evoluzione stilistica e tecnica. La poesia per il giovane Volponi però è anche un rifugio sicuro. «Nello stesso Liceo “Raffaello”, dove Giovanni Pascoli studiò ed eccelse, suscitando il vivo entusiasmo dei suoi docenti, Volponi si sente estraneo, oppresso da un senso di claustrofobia»[6]. E ancora dallo stesso Volponi: «Ho passato anni di terrore in quel ginnasio, di vero dolore; anche perché non capivo nulla e nulla diventava mio»[7]. Volponi è proprio in quegli anni che inizia ad affidarsi ad un’altra scuola, quella della strada, quella della vita, fatta di piazze, mercati, botteghe, caffè, fabbriche, macellerie, ecc. Divine così un acuto osservatore della realtà, diviene così un poeta. La poesia, come già detto, costituì il suo primo approdo alla letteratura, ma fu anche un intermezzo alla narrativa che lo accompagnò per tutta la vita. Parentesi liriche squarciano gli ampi scenari narrativi dei romanzi; e una pellicola narrativa si dispiega, a sua volta, nei versi che prendono una forma poematica sin dalle Porte dell’Appennino. Proprio di questa raccolta fanno parte i tre componimenti che seguono, dove chiaramente emerge l’occhio da osservatore dell’urbinate e tutto il suo legame e attaccamento alla sua terra, che ancor più forte ritornerà in La strada per Roma:
D’autunno è con noi
D’autunno è con noi
ogni foglia e ghianda
ed è raggiunto il cielo.
Fra le avellane svolazza
la palomba ferita,
freme il sottobosco
agli scoppi
dei ricci di castagna.
Dolcissima è l’ultima uva
celata fra i pampini rossi,
sul fianco dei monti sale
il fumo delle carbonaie.
A sera
io provo il caldo smemorato
delle castagne,
del torbido vino,
il più nudo corpo
della mia donna.
La vergine
I sassi bianchi
sono le tue spalle
gli alberi la tua statura;
è la tua gola che batte
se una rosa si muove
non vista nel giardino.
Dì pure al vento
di perdere il tuo canto
nella voce dei fossi,
al rosmarino
di chiudere i sentieri.
L’innocente starna
si leva alta sul bosco
e m’indica il tuo cammino.
Ramarro
Nelle vastissime notti
io sento
U rumore dellessatura delle cose
gli alberi che battono sulle strade.
La terra tesa con spasimo
che potrehbe schiantarsi
come u ghiaccio di un lago.
lo debbo reagire
per non farmi sovrastare
dal rumore del mio corpo
per non farmi tendere
come la pche della terra.
Cerco di spezzare le corde
che stirane ogni cosa.
Note:
[1] R. Renzi – L. Berdini, Mitopoiesi sociale nel romanzo volponiano. Quando i temi della lirica giovanile diventano il sostrato di una vita da scrittore, in Riscontri, n. 3, anno XLIV, 2022, pp. 83-90.
[2] R. Renzi, La narrativa in Paolo Volponi, in Avanguardia, n. 79, 2022, pp. 123-130.
[3] P. Volponi, Il ramarro, con una presentazione di Carlo Bo, Urbino, Istituto D'arte, 1948.
[4] La moda del nuovo patriottismo post-bellico è dettata dalla contrapposizione con il vecchio patriottismo fascista, il nuovo però bypassa quello fascista e attinge direttamente a quello risorgimentale, più vicino alle esigenze della neonata Repubblica.
[5] P. Volponi, A lezione da Paolo Volponi, in «Poesia», n. 2, 1988, p. 47.
[6] S. Ritrovato, All’ombra della memoria. Studi su Paolo Volponi, Pesaro, Metauro Edizioni, 2013, p. 10.
[7] P. Volponi, Introduzione a I. Di Martino, Enciclopedia della gestione della scuola, Milano, Teti, 1977, pp. 4-5.