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Il vecchio della montagna
Capitolo 05
di Grazia Deledda
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Capitolo 05

Affrettarono il passo per paura che Melchiorre fosse già ritornato. Ma solo il cane vigilava le capre dall'alto d'una roccia, e vedendoli volse la testa, ma non si mosse. Il gatto invece, che aveva fame, venne fuori dalla mangiatoia coi baffi impigliati in una ragnatela e alcuni fuscelli di paglia tra il pelo arruffato, e si sfregò sbadigliando sui piedi di zio Pietro; poi lo precedette a piccoli passi, facendolo ogni tanto inciampare.

Basilio s'assicurò che nessuno era venuto in loro assenza; contò le capre che pascolavano tranquillamente sui dirupi, brucando i cespugli ancor lucenti di rugiada; e appena poté scese a cercar la lepre nel cavo del tronco. Pensava con insistenza a Paska, al bimbo, al cagnolino dal collare d'oro: ricordava con ammirazione la prima, con odio il secondo, e desiderava con stizza il cagnolino (o almeno il collare!) e nell'irritante profumo umido del bosco sentiva ancora il gusto della menta. E una fiamma di passione gli ardeva negli occhi; ma tornò di botto alla solita realtà, e dimenticò ogni altra cosa, quando nel cavo del tronco, donde sbucavano frettolose grosse termiti nere, non trovò la lepre. Si curvò a guardare di qua e di là, stupito e addolorato; frugò entro il cavo, e trovò solo un pezzo della cordicella rosicchiata. Allora cominciò a imprecare, a commentare il fatto ad alta voce, curvandosi, strisciando pancia a terra sotto le macchie, rotolando le pietre, guardando su e giù senza trovare la lepre.

«E pareva addomesticata, che il diavolo t'addomestichi, animale scellerato! Ma che l'abbiano rubata? Chi l'ha rubata? Dove sei, tu, ladro? Esci fuori che ti piglio a schiaffi e a pedate. Così si tocca la roba altrui, ladro?»

Se egli dunque riusciva a rubare il cagnolino, o almeno il collare, il bimbo gialliccio dagli occhietti che sembravano due foglioline di pervinca, avrebbe provato il dispiacere che provava lui? E quell'altra cosa che aveva in tasca? La trasse fuori: era una rosa di carta, esageratamente grande e scarlatta; ne accomodò un po' con l'indice le foglie sgualcite e la ficcò in un cespuglio, allontanandosi per vederne l'effetto. Sul verde cinereo e vellutato del tassobarbasso la rosa parve un grosso papavero; ma nell'affanno per la scomparsa della lepre Basilio non poté godere a lungo il piacere di ammirare l'improvvisa fioritura del cespuglio, e lasciò la rosa e tornò all'ansiosa ricerca, allontanandosi mano mano dal tronco vuoto.

Nulla, in nessun posto. Dovevano aver rubato la lepre; forse perché Dio voleva castigarlo di aver «preso» una rosa dall'altare? Macché! «prendere» una rosa di carta era altra cosa che rubar una lepre!

«Animale vile, chi sei tu che hai toccato la roba mia?», diceva stringendo i denti e i pugni. «Perché l'hai toccata? Altro bene tu non abbi! Esci fuori! esci fuori, se hai fegato, esci fuori!»

«...Fuori...», rispose l'eco; ed egli trasalì.

Poco dopo si udì il fischio di Melchiorre che lo chiamava a colazione, e salì mogio mogio, silenzioso, curvo, guardando per terra con occhi affascinati. Dimenticò la rosa nel cespuglio.

«Cos'hai?», gli chiese il padrone.

«M'hanno rubato la lepre.»

«La lepre t'hanno rubato? Allora avranno rubato anche altre cose. Ti sei allontanato, vuol dire!»

«Sarà fuggita!», disse zio Pietro trepidando, e volse il viso verso Basilio come per supplicarlo di tacere.

«Sarà fuggita, sì!»

Melchiorre s'accorse che c'era qualche cosa di nuovo, e guardò il padre, guardò Basilio, poi fissò lontano lo sguardo cupo e tacque.

Sul tardi, dopo che le capre furono abbeverate, vide sul pallido cespuglio del tassobarbasso battuto dal sole la rosa fiammeggiante: una macchia di sangue cristiano non gli avrebbe causato più ribrezzo e stupore. Si curvò, tolse la rosa fra il dito medio e l'anulare, in modo che gli rimase aperta sulla palma della mano, e l'esaminò a lungo, fischiando intanto per chiamar Basilio ancora in cerca della lepre. Quando lo vide venire incrociò rapidamente le mani sul dorso nascondendo la rosa; e attese fermo, nel sole, con gli occhi lucidi e chiari come quelli del falco irato. Solo il campanaccio di una capra arrampicata su un tronco d'elce, di cui brucava le fronde selvagge, risuonava nel silenzio della china.

«Hai ritrovato la tua lepre?», gridò Melchiorre.

«No.»

«Vuol dire dunque che te l'hanno rubata?»

«Non lo so.»

«Ah, non lo sai! Ma lo so io, volpe di nido, e so che questa mattina hai lasciato le capre sole. Dove sei stato? Parla e di' la verità, altrimenti te la faccio uscir di corpo assieme con l'anima.»

«Ma, zio Melchiorre, io non sono andato in nessun posto, che possiate vedermi con questi occhi fuori...»

«Chi allora è venuto qui, chi? Voglio saperlo. Subito! I signori del Monte forse?»

«Nessuno, zio Melchiorre, nessuno, sull'anima mia, che non mi rivediate più!»

«Scimmiotto mal nato», gridò allora Melchiorre lanciandoglisi sopra, «ti do io le bugie e le imprecazioni e i giuramenti! E questa rosa chi l'ha messa qui, chi l'ha messa? La vedi o non la vedi, viso di forca?»

Gli sbatté sul volto la rosa, e gli tirò forte le orecchie, scuotendolo violentemente. Basilio non l'aveva mai veduto così inferocito: ebbe paura, e disse ogni cosa. Dopo tutto da zio Pietro non aveva nulla da temere.

Melchiorre ascoltava come istupidito; e gli pareva di sognare ancora uno dei brutti sogni della notte prima; e mentre a Basilio le orecchie ardevano per la stretta delle sue dita, le sue s'imporporavano e pulsavano d'ira e di vergogna.

«E mio padre ha fatto questo!», proruppe battendosi le mani sulle ginocchia. «E ha fatto questo? Oh, Gesù, oh Gesù, ma è matto dunque quel vecchio? E ha fatto questo», gridava più forte, parlando a se stesso. «Ma non è possibile, e questo scimmiotto mentisce, mentisce! E lui s'è umiliato, ed ha parlato con quella... e ha bevuto e s'è seduto in casa di quella gente! Oh Gesù, oh Gesù, che accade di me, in che pozzo profondo son caduto? Mi vogliono perdere, mi vogliono assassinare. Aspetta, aspetta! Ah, corvi, ah, volpi che mi divorate le viscere!...».

S'incamminò correndo, con la rosa in mano: e Basilio dietro, spaurito e ansante, pensava:

«L'ho fatta! Ora va ad ammazzare suo padre, poi ammazza me e ci getta in qualche grotta profonda che non ci vedon più. San Lossorio bello, aiutatemi!...».

Più della paura poteva però in lui la curiosità, e correva dietro il padrone non per dare in tutti i casi aiuto al vecchio, ma per vedere e ascoltare, perché, infine, non capiva ancor bene che razza di storia c'era fra i padroni e Paska. Solo a frammenti aveva sorpreso i loro colloqui intorno alla ragazza, ed ora voleva sapere, voleva conoscere ogni cosa. Ma nella corsa Melchiorre parve calmarsi alquanto; giunto presso la siepe dell'orto si fermò, si volse, lo attese e gli disse:

«Basilio, per quanto hai cara la vita, adesso che conosci, quella baldracca, va e torna e cerca di parlare a quattr'occhi, e le dici così, e non cambiare neanche una parola, altrimenti ti cambio gli occhi da un'occhiata all'altra. Le dici così: "Mi manda Melchiorre Carta, tuo cugino, e ti comanda di andartene, capisci, di andartene entro la giornata d'oggi, di tornare a Nuoro, di non provocarlo oltre, perché altrimenti hai finito lo spasso". Non altro, ma dille così. Come le dirai?».

«Le dirò: "Mi manda Melchiorre Carta tuo cugino, e ti comanda di andartene entro la giornata d'oggi, di tornare a Nuoro, di non provocarlo oltre, perché altrimenti hai finito lo spasso"».

«Va bene. Aggiungi questo: "Che non creda sia stato io a mandar quel vecchio da lei e dai suoi padroni, che il diavolo li scortichi. Che non ho paura di nessuno. Che dei suoi padroni me ne infischio altamente, e che con lei non abbiamo ancora aggiustato i conti". Ora va, corri.»

Basilio si incamminò a malincuore; provava tuttavia un certo piacere al pensiero di rivedere Paska e di aver forse sottomano il cagnolino; ma non aveva fatto un centinaio di passi che il padrone lo richiamò.

«Cosa volete ancora?»

«Oh, di', non alzar la voce, bada che anche con te abbiamo da aggiustare i conti! Prendi questa e rimettila dove l'hai presa.»

«Cercatemi la lepre», raccomandò il mandriano, prendendo a volo la rosa. «Dite un Credo a Sant'Antonio per ritrovarla.»

Melchiorre andò in cerca del padre.

Zio Pietro, curvo davanti alla capanna, si pettinava con uno sdentato pettinino di legno giallo: i capelli divisi sulla nuca da una larga scriminatura, tirati in avanti sul collo, lucevano al sole; e un fazzoletto turchiniccio che egli aveva steso sugli omeri biancheggiava di forfora.

Melchiorre stette a guardare un po', e non sapeva come cominciare. Che dire? Che Basilio aveva tradito il segreto? E perché dare questo dolore al vecchio che, costretto a passar tante ore solo col mandriano, riponeva in questi tutta la sua fiducia? Dirgli d'aver appreso il fatto da persone solite ad ascoltar la messa nella chiesetta? Ma non poteva Basilio, che gli aveva riferito ogni cosa, far altrettanto col vecchio? E questo, cui ripugnava soprattutto la menzogna, sarebbe poi entrato in diffidenza con entrambi. Stando Melchiorre in questi pensieri, zio Pietro finì di pettinarsi; rigettò indietro sulla nuca i riccioli dei suoi capelli bianchi, e levandosi dalle spalle il fazzoletto lo scosse al suolo più volte; con un lembo poi pulì il pettine fra i cui denti eran rimasti molti peli candidi, e disse:

«Melchiorre, guarda un po' questo fazzoletto se c'è qualche cosa...».

Melchiorre prese il fazzoletto, lo guardò attentamente da una parte e dall'altra, ed esaminò bene le spalle, gli omeri e il collo di zio Pietro, ma per fortuna non trovò nulla.

«Siete pulito come l'oro», disse; e intanto pensava: «Che dirgli? Perché affliggerlo, poveretto? È vecchio e debole come quel pezzetto di legno con cui s'è pulito la testa; ma è utile ancora come il vecchio pettine. S'egli stamattina si è mosso, l'ha fatto a scopo di bene, e l'umiliazione ricevuta gli parrà un castigo».

Tacque dunque, e ritornò verso le capre; ma cominciò a seguir Basilio col pensiero agitato da un'ansiosa inquietudine.

Con le sue agili gambe di cerbiatto a quell'ora il mandriano doveva esser giunto alla chiesa: forse incontrava Paska al pozzo e già le riferiva la poco benigna ambasciata. E forse ella ne rideva con quel suo riso di uccellino canoro, - se pure aveva voglia di ridere dopo la lezione della notte scorsa. Ripensando alla sua avventura, Melchiorre si stupiva del suo ardire, e del modo con cui se l'era facilmente scampata; e sentiva ancora la sua giacca di cuoio risuonar per le percosse, e le morbide guance di Paska ardere sotto il dorso della sua mano. E imprecava e sogghignava, mentre senza averne la precisa coscienza cercava la lepre frugando e scotendo i cespugli con un bastone, e mormorando a fior di labbro:

«Io credo in Dio Padre onnipotente...».

Basilio ritornò all'ora del pranzo, e domandò subito della lepre; ma la lepre non era stata trovata.

«Ho recitato una cinquantina di Credo», disse Melchiorre, «e ho perduto tutta la mattinata, che vi disperda un turbine, te e la tua lepre. Non uscirà più al mio cospetto, ma se esce, in verità che ha finito lo spasso.»

«Anch'essa?», disse Basilio ridendo.

Il padrone lo fissò torvo, accennandogli di tacere, poiché c'era zio Pietro; e Basilio cominciò a muover le mani e le labbra e chiuse maliziosamente un occhio per far capire che la sua missione era riuscita bene.

Dopo pranzo, mentre il vecchio faceva la siesta sotto l'elce e la solita macchia di sole gli percorreva lentamente tutta la persona, Melchiorre e Basilio confabularono davanti alla capanna. Il cane e il gatto dormivano assieme, il cavallo ruminava sotto la corta ombra dell'elce. Dal mare salivano lentamente nuvole argentee che si fermavano sul cielo come una scalinata luminosa.

«Quando sono arrivato», raccontò Basilio, «ho sentito che ridevano e giocavano sotto gli alberi: mi avvicinai, ma essa non c'era, perché naturalmente i padroni non le permettono di divertirsi sin dalla mattina. C'erano signori e signore che giocavano alle carte; altri erano sdraiati su cuscini e piccoli materassi stesi al suolo, e dicevano mille sciocchezze. Uno si dondolava entro una rete legata a due alberi.»

«Basta. Va avanti. Cosa m'importa di tutto questo?»

«No, sentite una cosa curiosa. Quello che stava nella rete prese un fuscello e lo gettò sul collo d'una di quelle signore che giocavano: questa prese un sassolino e lo gettò a uno di quelli che stavano sdraiati: così cominciò una guerricciuola segreta di fuscelli e sassolini.»

«Già!», disse Melchiorre con disprezzo, «hanno bel tempo coloro! È la stessa storia del fazzoletto d'iersera. Ma», gridò poi, «cosa mi importa di tutto questo?»

«No, sentite, sentite che matti! Dopo i sassolini e i fuscelli si sono lanciati le carte, i cappelli, e poi manate di fieno e di foglie, e poi i cuscini, e poi i materassi. E ridevano, ridevano, tanto che molti si gettavano pancia a terra per non scoppiare: e tutti coperti di polvere e di foglie secche si rotolavano al suolo, e le donne scappavano gridando. Allora io vidi quel ragazzino col quale, come vi dissi, ci siamo bisticciati, e per evitarlo passai dall'altra parte della chiesa. Subito cosa vedo? Paska a testa nuda, con le maniche rimboccate: all'aperto, davanti a una capanna di rami.»

«E che disse vedendoti?»

«Non mi vide subito perché chiacchierava e rideva con un giovinotto che fumava appoggiato al muro e che le diceva molte cose allegre.»

«Cosa le diceva? Com'era?»

«Bassotto, secco, con la barba in color coda di volpe.»

«E le orecchie grandi?»

«Le orecchie, non so, non ci ho badato.»

«È lui, quello che suonava, maledetto boia! Dev'esser il suo preferito, quell'animale rossiccio. Almeno per chi, almeno per chi, mi fa girar la scatola!... E cosa diceva?»

«Non lo so, ma doveva dir cose allegre, perché essa era lieta e ridente. Egli però, maligno, mi vide subito e strizzò gli occhi per accennarle di non parlar forte. Allora ella si volse e mi vide»

"Siete ancora qui?", mi gridò.

"No," dico io. "Sono ritornato perché ho trovato questo fiore che deve esser della chiesa, e voglio rimetterlo. Anzi vieni che mi aiuti."

Forse ella capì che avevo da parlarle; fatto sta che mise la testa contro la porta della stanzetta, disse qualche cosa alla padrona, disse all'amante: "ritorno subito", e mi seguì. Quando fummo entro la chiesa io subito le dissi:

"Il fiore è una scusa. Sono venuto perché mi manda Melchiorre Carta tuo cugino e ti dice di andartene oggi da qui, di ritornare immediatamente a Nuoro, di non provocarlo oltre, ché altrimenti hai finito lo spasso".»

«E lei, e lei?»

«Morta! Le si è fatto il viso bianco come la tela, e non ebbe il coraggio di rispondere una parola.»

«E tu? e tu?...»

«E io aggiunsi: £" ...e di non credere che sia stato lui a mandar quel povero vecchio ad umiliarsi davanti a te. Che egli non ha paura né di te, né dei tuoi padroni; che dei tuoi padroni se ne infischia altamente, e che con te i conti non li ha ancora aggiustati".»

«Va bene. Bravo! E lei, poi?...»

«Zitta come una chioccola. Allora io le lascio il fiore e me la svigno; ma da lontano, spiando, la vedo uscire, tornar presso il giovinotto e mettersi a gesticolare, a far croci e mille altri gesti. Doveva raccontargli il fatto.»

«Lo racconti pure, lo racconti! Le assicuro io che non lo racconterà tutto. Ora stiamo a vedere cosa fa.»

«Io dico che non obbedirà.»

«Non obbedirà? Lo dici tu, scimmiotto? Chi la difenderà? Quella faccia di volpe, forse?»

«Quello lì?», gridò Basilio con disprezzo, sputando sopra una pietra. «Quello non è buono a sollevare un dito.»

E aggiunse quasi parlando fra sé:

«È brutto come un cane. Essa è bella come una rosa. Come mai può guardare quegli uomini lì?».

«Lo vedi?», proruppe Melchiorre. «Per cento mila diavoli, almeno avesse guardato un uomo bello! Io non lo scambierei col mio scarpone. E il padrone, hai visto il padrone?»

«Un otre, col viso che sembra un lievito!», disse Basilio ridendo.

Ma un'ombra gli velava i begli occhi, e per l'inquietudine di ciò che poteva capitargli dopo la sua pericolosa ambasciata a Paska, provava un'insolita oppressione, contro la gente del Monte e contro se stesso. Se la prese con le capre, aizzandole, caricandole d'improperi, di nomi vituperosi, rincorrendole, facendole saltare e cozzare l'una contro l'altra. Poi si rimise a cercar la lepre, correndo qua e là nel sole del pomeriggio, curvandosi a guardare con un solo occhio entro le frane, mettendo la testa fra i cespugli, strisciando sul muschio i cui fili verdi gli rimanevano fra i capelli e sulle vesti. Nulla, nulla. Melchiorre zappava nell'orto e irrigava i piccoli solchi. Tutto era pace e serenità davanti a quel solenne orizzonte ove la scalinata di nuvole s'era stesa, assottigliandosi in lunghe strisce lattee che, sul fondo azzurro del cielo, davano l'illusione di onde spumanti. Zio Pietro, seduto sull'apertura della capanna, tagliava col suo affilato coltello grossi gambi di ferula, per formarne uno sgabello: curva la testa, quasi gli occhi seguissero l'opera delle mani, pareva che sotto la sua fronte serena solo tranquilli pensieri ondeggiassero quietamente, come le bianche nuvole dell'orizzonte.

Il sole calava sui boschi, vibravano le campanelle delle capre, i gridi selvaggi di Basilio, i richiami delle gazze, il rumore della zappa: null'altro udivasi, neppure il solito mormorar della selva, perché la quiete pomeridiana era così profonda che non si movevano neanche le estreme foglioline tenere dei rami giovani, né le campanelle di corallo dei fiorellini pendenti dai fagioli dell'orto. La montagna intera pareva assopita in un sogno di pace, in faccia al mare; e le tre povere creature disperse in quella profonda solitudine parevano anch'esse vinte dal sogno, mentre nei loro cuori turbinava la passione.

Al cader della notte, mentre curvo sul focolare Basilio soffiava sul fuoco, un animaletto con una lunga coda passò rapidamente davanti alla capanna.

«Oh, la lepre, la lepre!»

«Sarà il gatto!»

«No, è la lepre! Aveva la cordicella. È uscita ora che ha fame.»

Si diedero a cercarla, e siccome le capre facevano un insolito chiasso entro la mandria, Basilio vi si cacciò dentro, e Melchiorre fece lume con una fronda accesa. All'incerta luce giallastra le capre si strinsero l'una contro l'altra, in modo che su una massa grigiastra apparve una fitta siepaglia di corna nere, e in un angolo della mandria Basilio ritrovò la lepre accucciata, con le orecchie basse, gli occhi spalancati e il cuoricino palpitante per fame e per paura. Nonostante le minaccie, nessuno osò castigarla; anzi il suo ritorno parve dare un po' d'allegria ai pastori.

L'indomani, all'alba, padrone e servo munsero le capre, che erano già pregne e davano poco latte. Melchiorre le afferrava ad una ad una, cacciandosele fra le gambe, e curvo premeva con le forti dita le mammelle grigie e nere; seduto sui calcagni Basilio reggeva il paiolino di rame, lucente alla luce dell'alba, e il latte gocciolava denso e fumante, mentre i belati delle capre tremolavano nel lucido silenzio dell'ora come un pianto di bimbi abbandonati nel bosco.

Dal mare saliva l'aurora aranciata e i gridi delle gazze attraversavano l'aria quieta.

Più tardi Melchiorre partì, sul suo cavallino, attraverso i sentieri umidi di rugiada. A Nuoro smontò nel vicinato di Sant'Ussula, davanti a una casetta d'apparenza meno miserabile delle altre, ove abitava una donnicciuola benestante e avara che per pochi soldi s'incaricava di vendergli il latte, e gli faceva il pane e gli lavava e rattoppava le vesti. La viuzza era deserta; alcune galline giallastre e nere correvano silenziose, lasciando l'impronta delle zampe sulla polvere e acchiappando a volo qualche mosca. Sulla facciata di granito della casetta s'aprivano due finestre di legno rosso con un piccolo vetro nel mezzo; la porta d'entrata dava in un cortiletto aperto, quasi tutto occupato dal babizone, bizzarro riparo composto di quattro grossi tronchi che ne sostenevano altri sui quali s'ammucchiava una grande quantità di legna da ardere. Questa forte tettoia serviva di riparo al bestiame da tiro quando si doveva farlo pernottare in città.

Melchiorre legò il cavallo ad uno dei tronchi, levò dalla bisaccia il recipiente del latte, entrò nella vasta cucina alle cui pareti color di terra e al tetto di canne il fumo aveva dato uno smalto nero brillante.

Zia Caterina, più conosciuta con nomignolo di zia Bisaccia, forse perché donna che sapeva riporre bene le cose sue, vuotò il latte in una pentola di creta rossa, la coprì con un piatto contenente piccole misure di latta, versò un po' d'acqua nel recipiente, e mentre lo scuoteva in ogni verso per ben risciacquarlo, domandò:

«E così dunque, come va quella storia?».

«Quale storia?»

«Che volevi ammazzare tua cugina, al Monte, avant'ieri sera?»

«Oh, lasciatemi stare la testa!», gridò Melchiorre facendo un molinello sui tacchi.

Zia Bisaccia uscì nel cortile e vuotò l'acqua bianchiccia; poi rientrò col recipiente capovolto e gocciolante, e fissò Melchiorre senza parlare. Anche lui la fissò. Era una donna di media statura, ma agile e svelta come una gatta; e di gatta aveva gli occhi obliqui, d'un grigio chiarissimo, quasi bianchi, maliziosi e acuti sotto le corte palpebre rossastre. Il suo viso maschio, bianco, molle e rugoso, pareva quello d'un vecchietto sbarbato; e non esprimeva mai nulla, ma gli occhi chiari e fissi, e la continua mimica irrequieta di due enormi mani nodose facevano di lei una donna temibile e talvolta anche terribile. Lo sapevano bene i suoi creditori, i suoi dipendenti, i suoi servi (ella era assai benestante, e coi risparmi e le usure aumentava ogni anno il patrimonio), e soprattutto i figliuoli, dei quali tre erano in carcere, condannati per furto, e il marito pastore che, appunto per paura di lei, ritornava solo ogni tre mesi dall'ovile.

Uno dei pochi a cui ella non incuteva paura era Melchiorre. Egli anzi riusciva talvolta ad avere su di lei un certo dominio; e così quella mattina la lasciò lungamente e aspramente commentare il fatto della batosta data a Paska, poi le chiese:

«Ma a voi, dopo tutto, cosa vi importa? Non è vero che io, come voi affermate, volevo ammazzarla; né apersi il coltello, né presi il fucile. Volevo solamente darle una piccola lezione... Ma», domandò poi, «sapete qualche cosa? È ancora lassù, o è ritornata a Nuoro?».

«Cosa ne so io? Cosa ne so io?», gridò zia Bisaccia agitando le dita. «So solamente che tu ti stai rovinando, Melchiorre Carta! A me non importano i fatti tuoi; ma, se tu vieni ad aver dei guai io non voglio seccature in casa mia. Io ti vendo il latte, ti lavo e ti rattoppo, e tu mi paghi e va bene: non è che io abbia bisogno della tua miseria, tu sai bene che la mia casa è piena come un uovo; che in casa mia c'è pane», e contava con la destra le dita della sinistra, «in casa mia vino, in casa mia formaggio, in casa mia lana, in casa mia olio, in casa mia lardo, in casa mia...»

«Accidenti!», completò Melchiorre, che seguiva con gli occhi i movimenti di quelle grosse dita livide.

«...Infine, io non ho bisogno del tuo latte di capra, questo volevo dire, e voglio vivere tranquilla, e se per caso tu caschi in mano della giustizia io non voglio che vengano a seccarmi in casa mia...»

«Quasi che non sappiate cosa sia la giustizia!», disse l'altro ironicamente, accennando ai tre figli detenuti.

«Appunto perché lo so, appunto perché mi basta il mio grattacapo. Del resto non è per volerti male che ti dico come vanno le cose, Melchiorre, ma bada bene, bada bene...»

E lo minacciava col dito; tanto ch'egli cominciò a provare un vago senso d'inquietudine: forse zia Bisaccia sapeva qualche cosa? Paska minacciava di perseguitarlo? Con l'aiuto dei suoi damerini e dei suoi padroni ella poteva fargli del male. Benché l'ora si facesse tarda egli s'indugiò per saper qualche cosa: ma venivano donne e bimbe, e zia Bisaccia chiacchierava e gridava misurando e vendendo il latte con attenzione ed anche con frode. Melchiorre osservava, e un momento che si trovaron soli disse:

«Ma voi ci guadagnate assai, zia Caterì. Sembra che misurate il vostro sangue!».

«Guadagno un corno! Ti sei piantato qui per osservarmi, stamattina? Vattene, perché ho da uscire, e poi devo recarmi in Conciliazione, ove ho da sbrigare quindici citazioni.»

«Perché non fate andar vostro marito? Non vi vergognate ad andar voi?»

«Andar io? Vergognarmi? e perché? Maledetto il peccato! Vergogna è per chi ci va debitore, non creditore come ci vado io! Mio marito, mio marito? Così sia buono a mangiare come è buono a far il fatto suo! Gli uomini! Siete tante bestie lanose: vattene, vattene! Non siete buoni a nulla! A picchiar le donne solamente, a rincorrerle, a maltrattarle, a volerle ammazzare... come l'amico...»

«Ma chi vi ha raccontato queste sciocchezze? Voglio saperlo. Voglio! Voi sapete qualche cosa e dovete dirmela, subito.»

«Io non so nulla, se non che son queste le vergogne: d'un uomo che invece di far il fatto suo va dietro a una ragazza così così... come se nella vita non ci sieno ben più gravi affari da sbrigare. E poi vieni a dirmi che è vergogna andare dal Conciliatore perché non mi pagano l'orzo, il frumento, l'olio e la lana venduti o prestati.»

«Con l'interesse del duecento per cento!»

«Con le zucche! Con quel che mi pare e piace. Io li sfamo in inverno, che il diavolo li sfami, e poi in estate mi negano il fatto mio, pulciosi, mendicanti!»

«Non saranno certo tutti che vi pagheranno!», disse l'altro, e la traeva su quell'argomento sapendo di farle piacere, per rabbonirla e trarle il segreto.

Ella rise come fra sé, senza muover un muscolo del viso, sicura ed ironica.

«Ho buoni pegni io! Se non pagano ho pegni e cambiali! Perché non devono pagarmi? Non è forse il fatto mio che richiedo? E i miei figli non han diritto di campare?»

«Ma tre non sono al servizio del Re? Non li campa lui?»

«Temo che debba entrarci tu pure, fra poco, al servizio del Re», ella annunziò, staccando da un chiodo una sottana d'orbace grigio orlata di scarlatto. «Lingua mia si dissecchi», aggiunse indossandola e allacciandosi poi il corsetto, «ma vedrai, Melchiorre Carta, se seguiti di questo passo ci andrai tu pure, fra poco, al servizio del Re!»

Chiuse l'uscio che dava sulla scaletta, chiuse la finestruola, coprì il fuoco con la cenere.

Melchiorre le andava dietro, inquieto e triste: e mentr'ella stava curva sul focolare, insisté supplichevole:

«Voi sapete qualche cosa! Ditemelo, zia Caterina, ditemelo: bisogna! Chi è venuto qui, chi vi ha parlato di me? Dite, dite!».

«Io non so nulla, io nulla! Dio ce ne scampi e liberi, io non c'entro! Vattene, ché si fa tardi.»

S'incamminò, e Melchiorre, preso il recipiente del latte, continuò ad andarle appresso sempre supplicandola e incalzandola di domande; ma non ottenne che evasivi «Dio ci scampi e liberi» e gesti fatti come per scacciar ogni sorta di tentazione. E nel mentre ch'egli ricacciava entro la bisaccia il recipiente, la donna chiuse a doppio giro la porta e se n'andò svelta e frettolosa, coi grigi gheroni della sottana ondeggianti e come orlati di sangue.

Egli rimontò a cavallo, comprò vino in una bettola, e riprese la via della montagna.

Una cupa tristezza, un'inquietudine vaga lo assalirono. Egli non era mai stato manesco, né violento, né ladro; nessuno l'avea quindi mai molestato. Doveva perdere la sua fama d'onest'uomo, la sua pace e la sua piccola fortuna per correre dietro uno sciocco amore mascherato d'odio?

Gli schiaffi dati a Paska gli sembravano cosa da niente: oh che un amante abbandonato non può bastonare la sua bella?

«No, io non ho paura!», disse fra sé stringendo i pugni sull'arcione e sollevando gli occhi verso le rupi dell'Orthobene. «Paura di chi? Dei padroni e dei vagheggini di Paska?»

Essi, uniti tutti assieme contro uno, potevano battere qualche pugno sul cuoio della sua mastrucca, e gridargli vile con voce tremante; ma che altro potevano fargli? Non accusarlo ai giudici, perché egli non aveva mai né rubato né ucciso né detto il falso. Che doveva dunque temere? Nulla; eppure la sua inquietudine non cessava; si sentiva debole davanti ad una forza occulta, e paventava misteriose insidie, nascoste come una invisibile rete d'agguato tra le foglie sparse del bosco.

Un sentimento d'arcano timore, simile a quello che zio Pietro provava nelle ore di solitudine, lo opprimeva: i suoi occhi di falco distinguevano foglia per foglia gli elci e le macchie, i sassolini del sentiero, le scintille nere del granito; ma e al di là? e dove l'occhio non giungeva? che c'era dietro gli alberi, dietro le macchie, fra i crepacci delle rupi? Venissero fuori i nemici occulti, si mostrassero alla luce, ed egli non avrebbe paura di loro: gli puntassero il fucile in pieno petto, ed egli non si smarrirebbe. Ma temeva l'insidia, l'ombra, il laccio, la sottile rete del tradimento, e ricordava le parole di suo padre:

«L'uccello può salire fino alle nubi, ma basta un po' di vischio per imprigionarlo».

Avvicinandosi all'ovile cercò di scuotersi e di sorridere di quel suo stolto terrore; ma col grido delle gazze gli giungeva come l'eco insistente della voce di zia Bisaccia, e una triste luce si faceva nel suo pensiero. Si, capiva: Paska voleva liberarsi di lui, e gli tramava qualche insidia: con l'aiuto dei suoi adoratori ella poteva farlo cacciare in prigione come un volgare malfattore.

E la vista di suo padre, che al solito stava in attesa e sorrideva nel sentire il passo del cavallo, acuì la sua tristezza.

Il vecchio s'avanzava nella radura, e il gatto e il cane gli venivano ai fianchi.

Melchiorre trasse dalla bisaccia la zucca gialla incisa, levò con due dita il tappo, e la porse a zio Pietro.

«Bevete, padre, ho portato del vino.»

Zio Pietro la prese fra le mani e accostandola alle labbra rovesciò lentamente la testa all'indietro. Il sole gli batté sul viso, sul petto, sui candidi riccioli della gola.

«Bevete, bevete!», incalzava Melchiorre, e lo guardava con tenerezza; una tenerezza così triste ed amara che pareva dispetto. S'accorgeva che se un sentimento simile alla paura lo aveva avvilito dopo le oscure parole di zia Bisaccia, era per quel vecchio dagli occhi morti, che vedeva con gli occhi del figlio e viveva della vita, della libertà e del lavoro del figlio.

«Oh, se non era per lui!», pensò, morsicandosi i pugni.

Zio Pietro beveva a lunghi sorsi; e il vino spandeva una calda serenità entro il suo vecchio cuore. Si tolse di bocca la zucca, e col viso ancor sollevato e le labbra bagnate e rosse di vino, la restituì a Melchiorre.

«Il Signore ti ricompensi, figlio mio.»

Allora anche Melchiorre bevette, con rabbia, con avidità. Sì, bisognava dimenticare, mandar giù così i sorsi amari della gelosia e delle offese.

«Per lui, per quel povero vecchio!»

E dopo averla vuotata scaraventò la zucca contro una pietra, come avrebbe voluto fare coi suoi nemici.

1Implora (per noi), Regina del Monte, l'eterna vita.

© Grazia Deledda







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