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Tra gli esseri umani di Klaus-Peter Wolf
traduzione di Serena Gobbo
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I
Sembro uno di loro.
Fino a poco tempo fa, io stesso pensavo di essere uno di loro. Ma ora so tutto.
Ho solo adottato il loro modo di comportarsi. Mangio come loro con coltello, cucchiaio e forchetta. Mi pettino i capelli, mi lavo i denti, mi vesto come loro. Ma tutto ciò per me è senza significato. È importante solo ai fini del travestimento. Tutti i loro insignificanti sentimenti – li imito alla perfezione.
Tutte queste lagne quando muore qualcuno! Siedo accanto a loro ai funerali, mi lamento, sì, a volte persino piango, solo che… non sono veramente triste. Vedo come fanno e li scimmiotto per non dare nell’occhio.
Queste smancerie sull’amore e la gelosia! Questa paura della solitudine! Imito tutto ciò senza sentire niente. Forse neanche loro provano nulla e adempiono solo vecchi rituali.
Ho capito che non appartengo alla loro razza quando Evi mi lasciò. Non ne soffrii. Neanche vedendola con un altro. Non provai niente. E ne ebbi paura.
Avrei dovuto essere geloso. Invece ero solo annoiato, come con quegli stupidi film che divertono la gente alla sera.
Ora capisco: io non appartengo a tutto ciò. Io non sono uno di loro.
Ma a che cosa appartengo io? Dov’è la mia gente? Perché mi hanno abbandonato su questo pianeta? Mi hanno dimenticato qui quando ero un bambino? Devo venirne fuori…
Di sicuro ce ne sono altri come me in giro. Ben camuffati. Irriconoscibili. Forse siamo androidi? Che gli uomini mi abbiano costruito e ora verifichino se passo inosservato… se mi confondo tra loro?
Forse sotto la mia pelle non ci sono organi. Né ossa, né carne. Così come in me non ci sono veri sentimenti.
Io sono un falso.
Un uomo finto, e nessuno me l’ha mai detto.
Mi sono già ferito diverse volte. E ogni volta ho sanguinato. Ma… queste ferite non erano mai profonde. E si rimarginavano in fretta. Forse i miei fili, i dispositivi e i cavi sono avvolti da uno o due centimetri di fluido rosso, in modo che io non saltino fuori al primo taglietto. Non mi sono mai ammalato o ferito seriamente.
Eppure, si potrebbe verificare con facilità. Basterebbe che mi tagliassi un dito – o meglio, che mi aprissi l’involucro al livello dei polsi. Là devono esserci le cerniere e i cavi per le dita. Sì, darò un’occhiata dentro il mio polso. Metterò tutto alla luce del sole.
II
No, non sono un androide.
Non ho trovato nessun cavo né corde, solo ossa, cartilagini e tendini poco elastici. All’interno sono simile a un ratto tagliuzzato. Non ho mai guardato sotto la pelle di un altro uomo, ma penso che sia la stessa cosa.
Ad ogni modo, non sono una macchina. Potrebbe essere che i fili si trovino nelle ossa… ma certo, perché non ci sono arrivato prima! Hanno messo i cavi nelle ossa. Raffinato!
Qualcosa mi ha impedito di spezzarmi le ossa. Forse mi hanno innestato un sistema di sicurezza proprio per questo. Mi hanno programmato in modo che io non riesca a tagliare in due i cavi con cui loro mi…
Ma allora mi controllano! Di sicuro. Tutto questo lavoro per niente? Sono oggetto di un esperimento. Registrano ogni mio movimento.
E se Evi fosse stata una di loro? Ovvio.
Quelle sue fastidiose domande: “Dove eri ieri notte? Dove te ne sei andato a zonzo? Di’ la verità! Dove?”
Si disperava se non riusciva a scoprire i miei precisi spostamenti. Chiaro. Doveva rendere conto a qualcuno. Alla fine la sua gente deve averla richiamata perché non ci riusciva.
Altro che mollarmi per un altro! L’hanno scartata, ecco il motivo.
Ora avrai dei problemini, carina! Che cosa fanno i tuoi simili a chi fallisce? Ti danno un altro compito più leggero o ti spengono come le luci di natale dopo le feste?
Secondo te prendevo troppe pastiglie quando non ce la facevo più dal mal di testa, tra l’altro dovuto alla vostra precipitosa messa in funzione… ora capisco perché diventavi così isterica! Avevi paura che la tua gente ti facesse fuori se si rovinava la loro preziosa macchina. Perché tu eri responsabile per me. Tu, tutta da sola. Potrei crepare dalle risate, ora!
Quanta paura devi aver avuto quando prendevo le aspirine. E come eri gentile, dopo, con me. Ero servito e riverito. Per un po’ mi è pure piaciuto. Ma era terribile essere controllato da te. Ora ne capisco il motivo.
Perché non mi hai semplicemente detto che ti costringevano? Forse anche tu sei stata costruita da loro… e chi mi controlla ora…
III
L’avete architettata bene la trappola. Siete più scaltri di quello che pensavo. C’è una fitta rete tesa attorno a me. Ma la vostra creatura è furba! Eh già, non avete costruito una marionetta appesa a dei fili, ma una unità intelligente e autonoma.
So tutto delle vostre furbizie.
Il capo mi ha mandato dal dottore. Il dottore voleva sapere cosa è successo.
“Cosa avete fatto, signor Kowalski? Sembra una ferita autoindotta…”
Voleva sapere quanto in là mi ero spinto. Se avevo scoperto i fili. Se il meccanismo di sicurezza nella mia testa si era fuso… se avevo aperto le ossa.
No, non l’ho fatto. Ma so tutto lo stesso. Non sono stupido.
Visita dal neurologo. Ah! Per un taglio sulla mano – ma quanto stupido credete che sia? Volete disattivarmi. Inserire un nuovo meccanismo di sicurezza. Cancellare i miei ricordi. Farmi star buono. Conosco i vostri trucchetti.
Non andrò da questo neurologo. Chiamate così i vostri specialisti in cervelli artificiali, vero? Non se ne parla prima che io scopra cosa avete in serbo per me. E di pastiglie, intanto, non ne prendo più.
IV
Ora so come mi sorvegliate. Alla fine ci sono arrivato.
Da quando Evi se ne è andata, vi inserite abusivamente nei miei apparecchi elettrici. Il televisore lo usate come occhio – lo avevo notato da tempo. Ma anche il tostapane, il boiler dell’acqua calda. Le lampadine nelle stanze. Il telefono. Le casse dell’impianto stereo. Orecchie giganti! L’intero appartamento è un gigantesco dispositivo per l’intercettazione telefonica. Perfetto. Perfino nell’acquario.
Se Evi mi avesse raggirato ancora con alcune paroline gentili, forse non me ne sarei accorto. Invece ha cercato di aiutarmi – e proprio prima di andarsene.
“Senza di me ti calmerai. Ti farà bene ai nervi. Meglio della televisione sempre accesa.”
Avrete notato che sapevo del vostro occhio televisivo. Non ho mai mostrato alcun punto debole davanti a quella scatola. La guardavo solo ogni tanto, come se niente fosse.
Poi avete installato l’acquario. Cimici nella pompa e nell’impianto termico. Telecamere nelle luci al neon. Questa luce – come in uno studio televisivo. Primitivo. Non potevo non accorgermene. Sottovalutate la vostra stessa creatura.
Ho distrutto i vostri apparecchi. Hahaha. Sì. È stato facile. Perfino senza martello ho fatto a pezzi le vostre telecamere e ho fracassato i vostri microfoni.
Le prese della corrente le ho tappate con plastilina e ricotta. Alle lampade ho semplicemente strappato il filo. È stato uno spasso!
La cimice del telefono l’ho buttata nell’acquario. Almeno a qualcosa è servito.
Da quando ho sprangato le finestre, non vedete più nulla. Sono sicuro che ora manderete qualcuno che cercherà di entrare nelle mie grazie.
Una nuova Evi – o forse addirittura quella vecchia? Una creatura a voi sottomessa come uno schiavo. Una nuova macchina…
E va bene così. Ho preparato tutto per ricevervi. Voglio conoscere il meccanismo che mi fa funzionare. Mi avete installato una sicurezza che mi impedisca di guardarmi nelle ossa e nella testa.
Ma avete dimenticato qualcosa. E sì! Non ho nessun tipo di blocco per fare a pezzi il corpo e le ossa di qualcun altro. Manderete Evi. Ne sono sicuro. Verrà con la scusa che deve prendersi le sue cose. I vestiti estivi e le scarpe col tacco.
Ma tutto questo non le servirà più, è tutto pronto – per l’operazione.
Klaus-Peter Wolf è nato il 12 gennaio 1954. Scrittore e sceneggiatore, ha venduto più di 8 milioni di libri, che sono stati tradotti in 22 lingue. Per la sceneggiatura del film “Svens Geheimnis” ha ricevuto nel 1996 il Rocky Award for best made TV-Movies (Canada) e il premio Erich-Kästner, nonché il Magnolia Award Shanghai nel 1998 per la migliore sceneggiatura internazionale. Nel 1985 ha vinto il premio Anna Frank per il libro e per la sceneggiatura de “Die Abschiebung” (Amsterdam).
In Italia ha pubblicato “Stefano e il dinosauro” (Piemme).
Insieme alla sua compagna Bettina Göschl e a sua figlia Maxi Wolf si dedica ora anche alla produzione di CD per bambini.
Per saperne di più: www.klauspeterwolf.de
© Klaus-Peter Wolf
Traduzione a cura di Serena Gobbo
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