Anche tu, tormentata dal biasimo di tutti,
anche tu sei chiamata al tuo posto tra i cherubini -
con zampe di leone, con ali di sole,
con venerabile capo umano:
bestia-angelo.
Loro ti urlano: "Impura, impura!"
Perché mai sono stati colpiti da purezza.
Fiamma, raccogli dagli angoli le tue scintille,
la fucina attende, e il martello che ti forgia a lampo
ti insegnerà del lampo la rapida purezza
e il tuo nome tra i cherubini.
Karin Boye (1900-1941) è stata una delle più importanti voci della letteratura svedese del '900. Poetessa, saggista, narratrice, traduttrice, di lei restano oggi il romanzo distopico Kallocain, indagine dei meccanismi del totalitarismo e resa dei conti con l'ideologia comunista, in cui l'autrice inizialmente si riconobbe, e le liriche, in cui, partendo da formule e modi tradizionali e approdando verso uno stile più libero e legato alle contemporanee ricerche del modernismo scandinavo ed europeo, vengono messi inscena i turbamenti di un'anima fragile e lacerata, divisa tra l'avvertito dovere di confrontarsi con le questioni del suo tempo e il desiderio di pace e solitudine, tra un'ossessiva ricerca di purezza e il richiamo dei sensi, tra la nostalgia di un Dio sempre più lontano e l'istinto ad abbandonarsi all'amore saffico. Il suo suicidio segnò un'intera generazione di letterati e artisti, e rimane, nella storia della letteratura, come il triste epilogo di una ricerca esistenziale tesa verso il puro, il giusto, l'assoluto.