In
famiglia rappresento la terza generazione di
accaniti lettori dei sopracitati.
Cominciò mio nonno, che per rilassarsi
dalla sua frenetica attività di propinatore
di dolcezze squisite si leggeva le favolose
pagine del Corriere dei Piccoli anni 20, pagine
che nel tempo erano destinate ad essere ricordate
dai collezionisti fanatici come le reliquie
del sancta sanctorum: MioMao (lamericano
Felix), Fortunello e la Checca, Bibì
e Bibò (gli americani Katzenjammer Kids),
lautarchico Arrigo, primo esempio di abbinamento
tra fumetto e pubblicità commerciale
(la mai dimenticata Arrigoni). Tanta è
la preziosità di queste pagine che esse
nelle biblioteche specializzate, tra polverosi
incunaboli, giacciono microfilmate lontane da
occhi profani.
Poi la genovese produttrice di dolciumi Elah
decise il primo abbinamento pubblicitario con
una società straniera e Topolino fu scelto
per immortalare una squisita caramella , era
il vecchio Topolino con le braghette rosse al
ginocchio. Tra laltro mio nonno era il
distributore locale dei prodotti Elah e il mondo
Disney entrò così prepotentemente
in casa nostra negli anni trenta.
Mio padre la pecora nera - era un lettore
quotidiano della Gazzetta dello Sport, ma i
suoi fratelli e sorelle furono subito affascinati
dalle nerbiniane e mondadoriane collane di personaggi
Disney, che cominciarono a raccogliere in volumi
rilegati (ahimè, scomparsi durante la
guerra): tutto ciò che cera di
valido veniva rilegato, riviste di moda, di
cinema.
I
miei giovani zii con nomi fantastici, Elfo ed
Elvezio, erano anche provetti disegnatori, e
si ridisegnarono a colori tutti i personaggi
di Biancaneve e i Sette Nani, nonché
la loro casetta nel bosco, e questi vivaci quadretti
facevano bella vista lungo le pareti della nostra
spaziosa magione.
La guerra, le stupide ed ipocrite sanzioni antiamericane
(il Capoccione era un divoratore
di fumetti ed amico personale di Disney) rallentarono
soltanto per un po londata crescente
: i miei zii, di ritorno dai campi di prigionia,
corsero freneticamente alledicola per
rifornirsi di nuovo materiale, mentre attendevano
limminente sbarco dei film agognati da
più di un lustro (capeggiava tra tutti
il mitico Fantasia; per esso si
organizzarono viaggi in pulmann fino al lontano
capoluogo di provincia).
Il trapasso dalla seconda generazione alla
terza, la mia, fu senza scosse : io , in fasce,
ero già circondato da giornalini a fumetti
di marca disneyana ovunque. La nostra era una
famiglia di stretta ortodossia, e solo poche
eccezioni si facevano al rigore dei personaggi
di oltreoceano, optando per qualche mondadoriano
Albo disegnato da disegnatori italiani (ottimi),
per lo più narranti storie di avventura:
questi ultimi sono ancora, nella loro misera
carta ingiallita e negli scialbi colori , il
mito dei collezionisti: nelle loro menti ossessionate
non cè Modigliani o De Chirico che possano
sostituire un Ispettore Wade del 1946.
Si
sa, la mia fu una generazione fortunata, crescemmo
con il crescere del nostro paese e con il boom
delle produzioni disneyano-mondadoriane. Io
cominciai il primo giorno di scuola tenendo
tra le mani il Topolino libretto (da non
confondere con il Topolino-giornale degli anni
precedenti) numero uno: il suo formato originale
avrebbe condizionato non solo miriadi di concorrenti
ed imitatori, ma anche i di-là-da-venire
diari scolastici. Forse vi ricordate la copertina
rossa , e il simpatico topo nella veste di capo
banda.Ad esso si affiancavano i già
esistenti Albi dOro, con gli impagabili
Almanacchi, e gli Albi Tascabili. Mia zia comprava
il tutto alledicola e poi passavamo lunghe
ore a leggere e commentare, sempre nella più
stretta ortodossia (non devi leggere storie
esaltate mi diceva, e questo significava
che Intrepido, Jim Toro, Capitano Black e altri
erano proibiti nel nostro cenacolo; persino
il confessionale Vittorioso non
faceva capolino, dato il rigido laicismo di
casa mia, per non parlare del rosso Pioniere
che veniva distribuito la domenica mattina alle
famiglie di sicura fede stalinista).
Fu così che entrai di fatto inavvertitamente
in contatto con uno dei più grandi geni
narrativi del ventesimo secolo, il Dickens degli
anni cinquanta, lenorme e sconosciuto
Carl Barks (il contratto capestro con Disney
gli proibì, fino alla fine della collaborazione
a metà degli anni sessanta ,di comparire
in prima persona: Disney era bravo negli affari!).
Barks è già presente nel summenzionato
Topolino-libretto numero uno.
Barks trasforma i paperi disneyani: da macchiette
essi diventano corposi personaggi.
Barks inventa di sana pianta Uncle Scrooge (Zio
Paperone) e la Banda Bassotti.
Barks ci apre una scorciatoia alla società
americana, al calvinismo del lavoro e del dollaro.
Barks ci mostra che nel suo paese si può
anche non avere successo.
E io potrei parlare di Barks per ore.
Ho tutta la collezione, in varie lingue, delle
sue storie (tra brevi e lunghe sono più
di cinquecento).
Barks fu finalmente scoperto dai suoi fanatici
(me compreso) seguaci ,che lo osannarono fino
alla sua morte (centenario, con un perenne sorriso
di felicità sul viso).
Il nostro patto di sangue fu chiaro fin dagli
albori: evangelizzare il mondo su Barks e i
suoi personaggi, a costo di passare per insopportabili
scocciatori.
Ormai anche la quarta generazione di fanatici
disneyani (le mie figlie) si appresta a passare
il testimone alla quinta generazione, e io mi
appresto , come un falco sulla preda, a passare
loro questa eredità che ci lega.
(c) Giorgio Goldoni
>>Progetto Babele
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dal 16/04/07