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Il clima finalmente è mite. Passeggiando lungo la mia strada preferita posso ora slacciare il giaccone e togliere la sciarpa che mi ha protetto tutto l’inverno e respirare a pieni polmoni. Quella strada che percorro spesso anche in bicicletta è immersa tra campi coltivati e immensi boschi che si perdono a vista d’occhio lungo tutta la pianura verso sud; questa parte della città mi è sempre piaciuta perché qui anche in piena estate posso stare al fresco delle piante o tuffarmi nell’acqua per un rilassante bagno. Questa non è la mia città natale ma ci sono pian piano innamorato, un po’ per il contrasto tra la bella natura ancora selvaggia e le case che si costruiscono velocemente, un po’ per la sua gente sempre così intraprendente, un po’ per la sua arte e per la sua cultura. E’ una città che ti entra dentro con dolcezza e che ti affascina nei tanti piccoli dettagli; non so come sarà domani, non riesco proprio ad immaginarla con l’evoluzione del mondo. L’acqua accanto a me scorreva lenta e Pino, il mio amico pescatore sempre seduto sotto lo stesso ponticello da 20 anni, aveva l’espressione ancora più felice del solito e sotto il vecchio seggiolino traballante proteggeva il “bottino” della sua giornata; sembrava decisamente più ricco del solito il contenitore dei pesci, quasi come se anche loro risentissero del cambiamento della temperatura primaverile. Sopra la sua testa le rondini cantavano serene e sfiorava l’acqua quasi a voler giocare con il galleggiante della canna da pesca di Pino, quasi alla ricerca sott’acqua dell’esca per i pesci o magari proprio alla ricerca dei pesci per giocare e festeggiare con loro. Pino era fatto così, un uomo semplice, dal carattere forte ma dal cuore grande. La casa di Pino, la classica cascina con la corte e gli animali che scorazzano, è a pochi passi dal suo abituale luogo di pesca e sua moglie, con regolarità, gli porta estate e inverno una tazza di caffè caldo almeno due volte al giorno; in pieno inverno, quando dalle nostre parti la nebbia si taglia a fette, la moglie uscendo di casa “cerca” il marito con la voce per poi trovarlo intirizzito con la canna da pesca in mano e lo sguardo perso alla ricerca della preda. Pino ha sempre lavorato alla costruzione della “cattedrale” fino a quando, verso la fine del 1386, (maledetto quel giorno continua a dire ..), un blocco di marmo scaricato dalla chiatta non gli ha spezzato una gamba in due e per sempre una professione che lo avrebbe fatto diventare ricco: la sua vita da allora si è trasformata ed è cambiata e paradossalmente quel canale di fronte a casa sua che aveva sempre maledetto per le zanzare che portava tutti gli anni, ha iniziato a diventare il suo amico migliore e il suo unico confidente di ogni giornata. Stava li, dalla mattina alla sera, salutando i barconi che in silenzio scivolavano piano piano portando il prezioso materiale da costruzione dal paesino di Condoglia, della bassa valle del Toce, fino alla fabbrica della “cattedrale” e tutte le volte con la mente ripercorreva quel tragitto fatto centinaia di volte: dal Naviglio Grande alla Darsena e poi giù per la Conca per immettersi ancora con le imbarcazioni sulla Cerchia interna, nella zona del Molino delle Armi, per giungere infine al “Laghetto”, destinazione finale del carico. A quel punto il corpo si rilassava completamente al sonno: la forte stretta delle mani veniva meno lasciando in bilico la canna da pesca che come per incanto ondeggiava mossa dal vento e dalle onde del naviglio ma non cadeva. L’equilibrio raggiunto era perfetto. Il risveglio era brusco più che mai, più che gli altri giorni. La canna da pesca di Pino si era incastrata tra le gambe e il seggiolino e l’esca era ormai un triste ricordo disciolto nelle acque. In compenso, il rumore si faceva assordante e tutto intorno, come sempre succede verso l’imbrunire di questa bella stagione era un fiorire di tavolini all’aperto e di coppie che passeggiano mano nella mano; su questa parte della vecchia alzaia, ormai riservata solo a zona pedonale, i ragazzi con i loro spumeggianti scooter che usano i passanti come birilli per fare lo slalom si fermano proprio di fronte ai numerosi locali, happy hours e gelaterie. Sull’altra sponda le auto in coda aspettano che il semaforo diventi verde o sono alla ricerca di un sospirato parcheggio. La casa di Pino è una rimodernata casa di ringhiera, oggi molto di moda, con al piano terra caratteristici “studi” di artigiani o artisti che espongono e vendono al numeroso pubblico che si accalca nei famosi navigli; sono numerosi i turisti stranieri che chiedono a Pino se si pesca qualcosa su quel finto fiume e lui ripete sempre lo stesso gesto sconsolato con la testa proteggendo con un po’ di vergogna il magro “bottino” della sua giornata. L’aria di Pino oggi, nel 2005, è diventata triste. La “cattedrale” è vero, è stata finalmente costruita e oggi la chiamiamo “Duomo”, ma gli immensi boschi alle porte della città sono scomparsi, i barconi davanti a casa oggi sono fermi, appoggiati sul fondo e trasformati in bar o ristoranti; le chiatte oggi non passano più: quel percorso di acqua che collegava il centro di Milano con il resto del mondo è scomparso, forse per sempre … di certo scomparso sotto l’asfalto o interrotto da chiuse abbandonate; anche l’aria della moglie di Pino si è fatta più triste perché è vero che oggi la nebbia è quasi scomparsa ma con lei, anche la nostra Venezia, che solo con la fantasia di Pino possiamo ancora ricordare.
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Massimiliano Favoti
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