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Il piccolo sauro che conosciamo popolarmente con il nome di lucertola, non mi aveva mai particolarmente incuriosito. Tuttavia, circostanze indipendenti dalla mia volontà mi obbligarono un giorno ad acquisire informazioni sulla Tarantola Mauritanica.
Questo non è che il nome scientifico della comune lucertola, quell’animaletto simpatico ed inquieto che, a volte, possiamo vedere mentre si nasconde nell’erba o tra i rami degli alberi o sulle pareti, emettendo una specie di sibilo acuto e aspro, di quelli che ti fanno venire il mal di denti, come un gesso troppo duro quando scivola sulla lavagna.
Durante i mesi freddi le lucertole ibernano poiché, essendo animali a sangue freddo, non possono controllare la loro temperatura corporea. Però, quando viene la stagione calda, escono dalle loro dimore e si godono il calore del sole che è necessario per la loro sopravvivenza.
Come il camaleonte, possiedono capacità mimetiche che permettono loro di cambiare colore per nascondersi nell’ambiente circostante. Però, mentre il camaleonte riesce soltanto ad assumere i colori che gli propone la natura che lo circonda, le lucertole lo superano, e di molto, in questa capacità: in realtà, sono in grado di rappresentare e disegnare sui loro corpi qualsiasi figura possibile ed in tutti i colori immaginabili.
2
Dopo aver vissuto per moltissimi anni in vari appartamenti della città di Buenos Aires, un giorno gelido di Giugno mi installai in questa casa nella località di Martinez. Sul retro ho un giardino abbastanza ampio.
Sabato primo di Settembre ho trovato nel prato, dipinto con righe di calce, il disegno di un campo da calcio delle dimensioni di tre metri per un metro e mezzo. Ai lati minori del quadrilatero, collocati nella parte posteriore dell’area piccola, c’erano persino due minuscoli archi, con tanto di rete.
Ben lontana dall’essere una costruzione inutilizzata o non necessaria, in questo piccolo campo si stava disputando una partita che vedeva coinvolte ventidue lucertole.
Questi animali, come è noto, non utilizzano vestiti e, come tale, non sarebbe facile per loro indossare magliette, pantaloncini, calze e scarponcini. Per distinguere una squadra dall’altra, quindi, ricorrono alla già menzionata facoltà del mimetismo.
In questo caso, una delle squadre luccicava del color granata del Lanus, e l’altra era bianca, con la V azzurra che corrisponde al Velez Sarsfield. Il portiere del Lanus aveva scelto un colore completamente nero, e quello del Velez aveva preferito uno totalmente grigio.
L’arbitro e i guardialinee erano gialli dalla testa alla coda.
Non mancava molto alla fine della partita, visto che dopo pochi minuti, la lucertola arbitro iniziò a soffiare nel suo fischietto e indicò il centro del campo di gioco. Ignoro quale sia stato il risultato anche se, per il poco entusiasmo con il quale si salutarono i giocatori di entrambe le parti, percepii un certo “clima da zero a zero”. Se devo dire la verità, non mi parve che quelle lucertole facessero mostra di un gioco brillante: in verità mi parvero calciatori piuttosto mediocri.
Come ho già detto, si salutarono educatamente anche se freddamente e si ritirarono verso la parte posteriore del giardino, che è occupato non solo da un barbecue con la sua griglia, ma anche da una certa quantità di rifiuti inservibili (dei quali, un giorno o l’altro mi libererò). Senza dubbio, le lucertole hanno costruito le loro dimore tra quei rifugi.
Per un istante, mi chiesi se non avrei dovuto distruggere quel campo di gioco: eliminare le porte e cancellare le linee di gesso. Però, subito dopo, mi resi conto che farlo sarebbe stato segno di inutile crudeltà. Perché privare le lucertole di un divertimento tanto sano e inoffensivo?
Stavo riflettendo su queste cose quando, dai rottami del barbecue, emerse un nuovo squadrone di lucertole, con la loro terna arbitrale vestita in arancio, due guardalinee rossi ed il resto dei giocatori distribuito in due squadre: dieci di loro lottavano con i colori bianco e marrone del Platense, e altri dieci, mostravano le righe azzurre e marrone del… di cosa? Era Atlanta o Rosario Centrale...?
In seguito rimasi a guardare, senza grande interesse, un incontro tra il Calamar e il Canalla (o era il Bohemio?) del quale non ricordo il risultato. Quel sabato ci fu una partita dopo l’altra per tutto il giorno; quando se andò la luce del sole, terminarono anche le partite.
La domenica si ripeterono esattamente gli stessi eventi, con la sola differenza che le partite si disputarono tra altre squadre. Vidi colori noti: River, Ferro, Boca, Banfield, San Lorenzo, Tigre, Huracán, Quilmes… A volte mi confondevo: Estudiantes de La Plata o Talleres de Escalada o Unión de Santa Fe…? Newell’s o Colón?
Improvvisamente cominciai a sentirmi poco a mio agio nella situazione. Non solo giocano sabato e domenica; giocano tutti i giorni della settimana, dal mattino fino al calar del sole. Con che diritto – mi dissi – le lucertole si sono impossessate di cinque metri quadrati del mio giardino? E perché, mentre giocano a calcio, devo sopportare i loro incessanti sibili e cinguettii, così acuti e stridenti che mi fanno fremere i denti? E poi, soprattutto, mi infastidisce il fatto di non riuscire a capire come funzionino questi campionati. Ci sono colori di club della prima divisione, però anche di B, di C, di categorie completamente sconosciute...
Non una ma tante volte ho provato a fare domande alle lucertole: chi vincesse, chi fosse sconfitto, che squadra stesse giocando, come si contassero i punti… Però non mi hanno mai risposto né mi hanno prestato alcuna attenzione; semplicemente, continuano a comunicare tra di loro, mediante i soliti sgradevoli fischi e sibili.
3
Il Venerdì successivo parlai di quel che stava succedendo nell’ufficio dell’ Emporio di Adoquín (di Marioni e De la Sierra Ltda.), impresa nella quale lavoro da quasi venti anni. I miei colleghi non mi credettero e pensarono che mi stessi burlando di loro.
Indignato, li invitai a venire da me quel medesimo sabato per vedere le partite che si sarebbero giocate, anche se li avvertii che non avevo idea di quali sarebbero stati gli incontri in programma.
Pur prendendo la cosa come se fosse uno scherzo, quel sabato vennero da me due colleghi: Suárez e Albertini. Ma il destino ci riservò una circostanza sgradita.
Per casualità, quel giorno, giocarono Racing e Independiente. Suárez è un gran tifoso dell’Academia, e Albertini, del Diablo Rojo. Nonostante siano persone pacifiche, timide e di buon carattere, iniziarono a litigare… Il dialogò salì di tono e si convertì in uno scambio di insulti e, se non lo avessi impedito, si sarebbe concluso a pugni.
Albertini e Suárez se ne andarono molto arrabbiati tra di loro e, non so perché, anche con me. Quel lunedì, in ufficio, smisero di rivolgersi la parola.
4
Il caso delle lucertole calciatrici si diffuse per El Emporio del Adoquin: il sabato successivo ricevetti la visita di dodici impiegati. Questo numero così elevato mi contrariò, perché non amo vedere la mia casa invasa da estranei. Fortunatamente è possibile arrivare al giardino posteriore per un passaggio laterale all’aperto, in modo che nessuno dovette metter piede dentro casa. A giudicare dai colori, la prima partita sembrava essere un classico Bajo Belgrano contro Excursionistas y Defensores. E, visto che nessuno dei dodici spettatori risultò essere tifoso di una di queste due squadre, né di quelle che giocarono in seguito, non ci furono incidenti da segnalare.
La fama delle lucertole calciatrici arrivò in men che non si dica ai mezzi di comunicazione. Due canali televisivi mandarono il loro tecnici a filmare alcune partite; diedi loro il permesso, ma a condizione che non trasmettessero integralmente la partita: permisi loro di riprodurre solo le azioni più interessanti, qualche goal, qualche decisione arbitrale dubbia, qualche fallo particolarmente violento, qualche espulsione decretata dall’arbitro.
Questi frammenti di partita fecero notizia tra i giornalisti sportivi, i politici e gli intellettuali e le stelline della televisione… Non mi sorprese essere intervistato da vari giornali di Buenos Aires e dalle riviste Gente e Hola. Contemporaneamente a queste interviste, e perché raccontassi qualcosa sul campionato di cui erano protagoniste le mie calciatrici, mi invitarono al talk show di Luciana Miguélez e ai dibattiti di Cinthia Leblanc. Partecipai ad entrambi i programmi; anche se da solo, perché nessuna lucertola acconsentì ad accompagnarmi.
5
Una cascata di inviti si precipitò su di me: moltissime persone sconosciute mi chiedevano il permesso di presenziare alle partite.
Fu allora che mi resi conto del potenziale economico delle lucertole.
Per una cifra ragionevole, alcuni muratori del quartiere costruirono attorno al campo di gioco un mini-stadio circolare in cemento alto solo otto gradini. Decisi che gli incontri non sarebbero più stati gratuiti: stabilii un prezzo – abbastanza alto – per i biglietti e, per molti giorni, ricevetti gruppi di spettatori, fino a cinquanta persone per ogni partita. Richiesi apposita autorizzazione per la mia impresa commerciale. Guadagnai una piccola fortuna e – perfino – meditai sulla possibilità di rinunciare al mio lavoro all’ Emporio del Adoquin, per dedicarmi a sfruttare a mio esclusivo beneficio le abilità calcistiche delle lucertole.
Essendo però di spirito timoroso e conservatore, non ebbi il coraggio di lasciare i miei soci Marioni e De la Sierra e, visto quel che successe dopo, fu una decisione molto saggia.
Accadde infatti che, ripetendo e moltiplicando quanto era già successo tra Suarez e Albertini, iniziarono a verificarsi incidenti tra gli spettatori, incidenti che implicavano reciproco scambio di insulti e, spesso, scontri fisici e persino minacce con armi bianche. Inoltre, molti di loro fumavano – ed io odio anche solo l’odore delle sigarette – ed alcuni venivano alla partita dopo aver bevuto qualche bicchiere di troppo.
Quando queste folle si ritiravano, io dovevo pulire le gradinate dello stadio, trasformate in un vero portacenere. Il mio giardino, un tempo gradevole, si era convertito in una specie di discarica: pacchetti di sigarette, bicchieri, tappi di gassosa, carte di caramelle, fazzoletti di carta…
Tollerai questa situazione per tutto il mese di Ottobre, tutto Novembre e parte di Dicembre. Infine, per rispetto della mia salute fisica, mentale e psicologica, il 15 Dicembre di quello stesso anno, annunciai che, a partire dal 1° di Gennaio seguente, lo spettacolo delle lucertole calciatrici sarebbe stato cancellato fino a nuovo avviso.
Non tutti si rassegnarono di fronte a questa decisione. Per convincermi a cambiare idea, uno degli spettatori più fanatici mi aspettò dietro un angolo della strada e mi dette un pugno che mi fece sanguinare il naso. Qualche notte più tardi, qualcuno tirò pietre contro le finestre di casa mia.
Mi mantenni inflessibile. Pubblicai un annuncio a pagamento - tanto concettuale come prudente – su tre quotidiani di Buenos Aires ed anche sul periodico locale El Juglar de San Isidro: con una prosa elegante e barocca spiegavo, senza mai dire la verità, i motivi per i quali ritenevo che le partite dovessero svolgersi senza la presenza del pubblico.
Nonostante questo, ogni tanto ricevevo minacce anonime per telefono, lettere di insulti e messaggi di posta nei quali mi offendevano in mille modi.
Naturalmente, a poco a poco le acque si calmarono e potei tornare alla mia antica routine nell’impresa di Marioni e de la Sierra.
6
Un giorno, il secondo sabato di Febbraio, in piena stagione di campionato, mi resi conto che le porte e le reti erano sparite, e neppure si vedevano le linee bianche di gesso che delimitavano il campo di gioco, l’area grande, l’area piccola, la mezzaluna nè il punto da cui battere i rigori, gli angoli, il centrocampo…
Da quel momento, ho atteso invano che riprendessero le attività sportive, invano ho atteso di vedere anche una sola lucertola che corresse nel prato o sul tronco degli alberi. Né l’ho mai più vista.
Non so come spiegare questo fenomeno. Non mi vengono molte idee in merito, ma forse la più plausibile è che le lucertole siano una specie intimamente vanitosa: abituate ad esser al centro dell’attenzione di una folla adorante, non furono in grado di resistere alla solitudine ed all’oblio, e preferirono scomparire dal campo di gioco, scomparire dalla mia casa e, forse, andarsene dal mondo.
Seduto sui gradini più alti dello stadio, contemplo con tristezza il prato, ora alto ed incolto. Forse per nostalgia, forse solo per sentimentalismo, non mi ha abbandonato la speranza che, probabilmente quando meno me lo aspetto, rinasceranno le linee bianche, risorgeranno le porte e le reti, e tornerò ad udire quei sibili e quei fischi che, in un’altra epoca, tanto mi avevano infastidito.
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Pubblicato in: Un campeonado inconcluso (2018), Karina Echevarria (comp.), Cuentos futboleros para chicas y chicos, Boulogne (San Isidro, Buenos Aires), Editorial Estrada, 2018. pagine 45-61
Prima traduzione italiana a cura di: Enzo Citterio.
La presente traduzione, a cura di Marco R. Capelli è autorizzata dall´autore a titolo di cortesia e solo per la pubblicazione su Progetto Babele.
Fernando Sorrentino è nato a Buenos Aires nella primavera del 1942.
I suoi libri di racconti più recenti sono: El crimen del san Alberto (Buenos Aires, Editorial Losada), El centro de la telarana (Buenos Aires, Editorial Longsellers), ambedue del 2008. Paraguas, supersticiones y cocodrilos (2013, Veracruz, Istituto Literario de Veracruz), Problema Resuelto (Dusseldorf, Dusseldorf University Press 2014) y Los Reyes de la fiesta y otros cuentos con certo humor (Madrid, Apache Libros 2015).