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Blas de Otero (Bilbao 1916 – Madrid 1979) scrittore del novecento spagnolo, nelle sue pagine ha sapientemente rappresentato i contrasti: amore e morte, religione e fede perduta, carne e anima. Dopo un’infanzia in collegio, ritorna in un ambiente familiare burrascoso, segnato dalla morte del fratello maggiore, del padre e da svariati problemi economici. Queste due perdite daranno origine ad una presenza costante dell’idea di morte nella vita poetica di Otero. Il trasferimento a Madrid sarà poi una situazione nuova intrisa di maggiore libertà, avvicinamento alla scrittura e religiosità. Dopo una crisi depressiva arriva la scelta definitiva di dedicarsi alla poesia considerata come una terapia ai suoi turbamenti, ai momenti bui di confusione personale. Si può perdere tutto: il tempo, la serenità, la fiducia nella vita, nella realtà ma un’arma resta sempre per opporsi all’insoddisfazione e al senso di vuoto, la forza della parola. Si he perdido la vida, el tiempo, todo si he perdido la voz en la maleza, Si he sufrido la sed, el hambre, todo lo que era mío y resultó ser nada, si he segado las sombras en silencio, me queda la palabra (…). Tale cammino poetico è segnato da tre momenti, un’evoluzione nella vita e nell’opera. La prima tappa mostra un Otero credente, appassionato, che vede in Dio la soluzione a tutti i problemi reali e spirituali dell’uomo. Appartiene a questo periodo la pubblicazione di Cántico espiritual (1942), un dialogo amoroso tra l’Io poetico e il Tu divino. Risalta verso dopo verso una forte necessità, una vera aspirazione all’unione con Dio e un bisogno di partecipare al sentimento di eternità divina. Aspirazione irrealizzabile poiché l’uomo è metà corpo e metà anima e l’avvicinamento a Dio risulterà dunque sempre imperfetto dal momento che non è solo legato alla conoscenza, alla ragione ma anche ai piaceri, ai sensi. L’Io poetico è pertanto sempre in lotta tra ascensione e caduta, alto e basso, grazia e peccato. L’unica soluzione possibile che l’autore intravede per arrivare all’unione con Dio è la morte. La seconda fase, quella esistenziale, risente del movimento più ampio dell’esistenzialismo nato dal filosofo Kierkegaard, la cui tesi principale si fonda sulla distinzione tra l’Essere e l’Esistere. La parola essere indica l’atto passivo e statico al quale si deve opporre l’esistere, vale a dire, la possibilità di “essere e vivere in relazione con il mondo”. L’uomo rifiutato dalla realtà e abbandonato al suo determinismo deve reagire, prendere le redini della propria vita e iniziare a scegliere, a decidere. Si rende essenziale la trasformazione in una presenza attiva, dinamica, in grado di agire senza lasciarsi soffocare dal mondo circostante. Le opere rappresentative di questo secondo momento sono: Ángel fieramente humano (1950), Redoble de Cociencia (1951) y Ancia (1958). Anche qui domina la conversazione a due tra l’Io poetico e il Tu divino, ma i ruoli sembrano cambiati, il Tu è quasi assente e l’Io stanco di non ricevere risposte sposta l’attenzione su sé stesso, cercando nella propria interiorità delle risposte all’insoddisfazione della vita terrena. Le risposte tanto desiderate non arrivano neppure dal mondo interiore, quindi il poeta individua due elementi che possono alleviare le inquietudini provocate dalla mancanza di risposte, l’amore e la poesia. Ultima tappa, inevitabile punto d’approdo nella vita di Otero, è quella sociale. Il poeta sembra aver accettato l’impossibilità di innalzarsi a Dio, di condividere la condizione di eternità divina e rassegnato cerca un ruolo nella società, trova il suo posto e la sua ragione di vita nella solidarietà. In questi anni si iscrive al PCE (1952), contrasta la dittatura di Franco, guarda con favore alla lotta operaia e si avvicina agli ideali di “comunitarismo”. Punto centrale nella trasformazione verso il sociale è il cambio di persona, dall’Io al Noi rintracciabile nelle opere Pido la paz y la palabra (1955), En castellano (1959), Hacia la inmensa mayoría (1962) y Que trata de España (1964). Temi differenti si sovrappongono, si intrecciano ma ciò che cattura l’attenzione è il modo nuovo e intimo di parlare d’amore. Primo oggetto d’amore è Dio che rappresenta un bisogno di luce, un rifugio contro le negatività della realtà. Secondo oggetto d’amore è la donna, un interlocutore terreno. Il sentimento amoroso non è fonte di felicità, al contrario crea angoscia, turbamenti e un senso di solitudine totale, così apostrofa lo scrittore: “Sentiamo la solitudine di due (…)”, verso che ben esprime la forte sensazione che ferisce l’Io poetico. Terzo oggetto d’amore è l’uomo, l’umanità, l’attenzione verso il prossimo. Amori diversi, ma tutti tesi a raggiungere l’unico vero amore: dio. Dietro tutte le varie forme si nasconde, difatti, la necessità di spiritualità, eternità, di ciò che insomma non possiamo toccare con mano. Sovente ci lasciamo trascinare dall’impossibile. La concezione amorosa di Otero risente inoltre di una chiara influenza neoplatonica. L’idea di un amore puro e spirituale, fondato sui sensi più elevati (vista, ascolto, pensiero) e di un amante che solo aspira al fulgore di Dio. Le donne descritte non sono mai riconoscibili, non sappiamo nulla di loro, del loro carattere, del passato, nessuna descrizione fisica. Ogni rappresentazione della donna si attiene alla sfera della vista e ancor più alla sfera mentale perché ella rappresenta solo un mezzo per elevarsi a Dio, con il fine di vivere in armonia con il mondo e nel mondo. Eppure l’assenza di carnalità non è totale nell’opera del poeta. Vi sono alcune, poche poesie nelle quali la sfumatura erotica è centrale e davvero intensa: “Porque quiero tu cuerpo y lo persigo (…)”, anche se attraverso l’amore carnale si aspira sempre a bere l’amore divino. Otero è poeta religioso e al tempo stesso così lontano dalla religione in senso tradizionale, intimista, estremamente attento alla propria interiorità. Colpisce nella sua poesia la necessità quasi vitale di cercare la serenità nel sentimento divino. L’incontro con Dio tanto sognato rappresenta la prima tappa verso una tranquillità interiore mai raggiunta. Tuttavia il poeta continua a vivere in una realtà nella quale non si riconosce, e che non lo soddisfa appieno. La poesia oteriana comunica alla fine un forte senso di solitudine dell’uomo nel mondo circostante, di insofferenza infinita sperimentata giorno dopo giorno:
Hay días malos, días que crecen en un charco de lágrimas.
A cura di Maria pina Iannuzzi
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