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Vampiri, aspiranti tali e altre amenità
di Angela Ravetta
Pubblicato su PB20


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Vampiri, aspiranti tali e altre amenità

Il successo della saga dei vampiri è inequivocabile. Non passa anno che non appaia una pièce teatrale, un film oppure una serie televisiva ispirata a questo mito contemporaneo. È il personaggio che, in assoluto, ha avuto il maggior numero di imitatori ed epigoni dalla sua comparsa.

Eppure la pubblicazione di Dracula or the Un-Dead non portò particolare fortuna a Bram Stoker. Accolta con discreta attenzione dalla critica lasciò piuttosto indifferente il pubblico tanto che il suo autore, dopo essere stato colpito da un colpo apoplettico, dovette abbandonare la casa in cui aveva abitato e trasferirsi con la famiglia in un piccolo appartamento.

La sua patria stessa lo ripudia: Stoker colloca il vampiro in Transilvania cioè nel cuore della Romania attuale ma i suoi compatrioti considerano con sospetto il romanzo, scritto, a loro dire, da alcuni inglesi per screditarli. In realtà Stoker era irlandese anche se effettivamente il personaggio del vampiro moderno, così come noi lo conosciamo, si deve alla scommessa che Byron, annoiato dalle uggiose giornate di pioggia sul lago di Ginevra, aveva fatto con i suoi ospiti per scrivere un racconto dell’orrore.

Polidori, il suo medico personale, sviluppò l’idea nel Vampiro trasferendo il morto assetato di sangue dalle lontane selve natìe alla Londra vittoriana a lui contemporanea. Il personaggio è Byron stesso, elegante e sulfureo.

Stoker in Dracula or the Un-Dead riprende il racconto di Polidori, conservando l’ambientazione del romanzo, descrivendo con grande attenzione la società vittoriana fatta di fanciulle ben allevate, di signore di squisite maniere, di giovanotti intraprendenti, di scienziati piuttosto eccentrici che parlano un inglese improbabile. È il mondo in cui Conan Doyle fa agire Sherlock Holmes, le case di provincia degli enigmi di Ivy Compton-Burnett, il prequel dei cottages della piccola borghesia descritta da Agatha Christie.

Nei giorni in cui stava scrivendo il romanzo, Stoker leggeva una raccolta di novelle dell’Europa dell’Est. Conosceva quelle che circolavano e circolano in Romania, Bulgaria ed Ungheria sui vampiri. Identifica il vampiro del romanzo con il personaggio storico Vlad Tepes, eroe della Transilvania, uccisore dei Turchi, vissuto nel XV secolo, che non solo ne aveva fatto strage alla maniera ottomana, cioè impalandoli, ma se ne vantava nel suo epistolario.

La fama del personaggio storico si riverbera su quello letterario contribuendo a dare spessore all’invenzione. Niente di più sappiamo. Stoker non ci racconta quello che sente o quello che pensa il vampiro mentre abbiamo i diari dei suoi nemici, cioè degli inglesi e del professore olandese che vogliono eliminarlo.

La sovrapposizione non è originale, anzi è avvenuta molte volte in letteratura e anche nel giornalismo. Sto pensando al mito dell’eroe che, dopo un percorso iniziatico assurge all’empireo, diventa un dio, ascende al cielo, diventa imperatore. Ogni generazione ridà linfa allo stesso mito identificando un personaggio della cronaca nell’eroe eponimo. Ramesse II, Alessandro Magno, Giulio Cesare, Napoleone Bonaparte, Garibaldi devono la loro fama non certo alle dotte ricerche storiche ma soprattutto ai testi, ai romanzi, alla voce popolare che li ha identificati in quegli eroi di cui hanno rinverdito le gesta.

E che dire del mito della fanciulla ascesa in Olimpo per mano del dio che l’ha scorta alla fonte che riprende vita e significato, senza mutare sostanzialmente copione, in Sissi, cioè in Elisabetta D’Austria o in Diana Spencer?

Non ha molta importanza se la realtà storica non corrisponde al mito, in ogni caso nel personaggio rappresentato si privilegia la memoria accumulatesi nei secoli.

Come osserva Baricco nella post- fazione al romanzo nell’edizione degli Oscar Mondatori del 2007,la rappresentazione della società inglese in cui agisce il vampiro è stereotipata e sostanzialmente falsa. Le fanciulle sono tutte ben educate e pudiche mentre gli uomini sono coraggiosi e retti. Baricco sospetta che Stoker sia in mala fede e che usi subdolamente della rappresentazione delle attività del vampiro per nascondere, sotto velami neanche tanto fitti, scambi sessuali proibiti in epoca vittoriana. Insomma Stoker non poteva non sapere quello che stava rappresentando.

La fortuna postuma del romanzo sarebbe dovuta alla sua carica sessuale che i lettori smaliziati del novecento avrebbero colto. Stoker avrebbe rappresentato il desiderio ineducato che la società non riesce né a costringere né a controllare. Se ciò fosse vero ci spiegherebbe anche l’ostilità dei romeni stessi che non desiderano essere identificati nei compatrioti del vampiro. I più avvertiti, coloro che sono andati all’estero per migliorare la loro condizione, considerano le leggende sui vampiri un tentativo di screditarli, di considerarli primitivi e refrattari ad ogni forma di educazione.

In Dracula or the Un-Dead io vedo essenzialmente quello che Stoker rappresenta, in altre parole la storia di coloro che non vogliono morire, che sono disposti a succhiare il sangue dei vivi per non scomparire nella tomba. I vampiri si portano appresso una cassa da morto in cui giacciono il giorno quasi a significare che colui che accetta di vivere a spese degli altri in realtà non può vivere davvero. Il vampiro non solo vuole vivere per sempre ma vuole restare eternamente giovane. Il sangue delle sue vittime gli consente un’eterna giovinezza. Giovinezza, salute, ricchezza sono le grandi aspirazioni dei nostri tempi. Non accettiamo né la morte né la vecchiaia e siamo disposti a tutto pur di difendere ciò che abbiamo o crediamo di avere. Il successo del mito di Dracula è la sua attualità.

A cura di Angela Ravetta



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