Un giorno si presentò nel mio studio una paziente inconsueta.
Era una donnina piccola dall’apparenza insignificante.
Si presentò. Le porsi la mano e fu così che strinsi un mazzolino d’ossa scomposte, incapaci di avere un numero definito di dita, incapaci di avere la forma di una mano.
Percepii tutta l’inutilità di una vita colma di vuoto e ritrassi la mano spaventata.
La Signora era in un imbarazzo evidente. Lo sguardo privo di forza, non sorreggeva neppure la linea dell’orizzonte e, costretto al pavimento dal peso della vita, sembrava cercare le parole negli angoli della stanza.
«Dottore, sto male…»
Non sapevo come sollevare la tensione di quella pausa che tendeva all’infinito di un destino senza alternativa, senza neppure la speranza di stare meglio.
Come si può raggiungere una persona che neppure ti guarda in viso?
Cercai allora di trovare in quale angolo del mio studio si fosse nascosto il suo sguardo.
Mi sembrò essere vicino alla finestra, appena sotto al davanzale, così guardando in quella direzione dissi:
«Coraggio Signora, mi parli del Suo problema. Troveremo insieme una soluzione… ha qualche esame con sé?»
«Non so se per il mio problema esistano esami specifici Dottore… non so se Lei possa essere in grado di aiutarmi, a dire il vero non so neppure se mi sono rivolta alla persona giusta..»
«Ma Signora, se Lei si è rivolta a me, di certo, avrà una qualche idea circa la natura del problema. Io sono un neurochirurgo e mi occupo di problematiche ben precise. Per ciò che riguarda poi la gravità della situazione, lasci giudicare a me!»
Con un sospiro profondo Ella replicò:
«Sono confusa… se debbo essere sincera, sono stati i miei passi che, senza sapere come, mi hanno portata una settimana fa di fronte alla targa del Suo studio. Non so come sia successo… l’istinto ha voluto che La contattassi, ed eccomi qui. Ora però non so, non sono più tanto convinta…»
Al limite fra il perplesso ed il seccato Le dissi un po’ rudemente:
«Abbia pazienza, andiamo al sodo della questione. Il tempo stringe e la sala d’attesa è affollata!»
Tutto ciò che ottenni fu un altro interminabile ed angoscioso silenzio…
Dopo attimi infiniti, con uno sforzo che pareva essere sovraumano Ella rispose:
«Vede caro Dottore, sino ad un mese fa, Lei non mi avrebbe chiamata Signora poiché allora dimostravo ancora i miei anni. Io ho venticinque anni e sino ad un mese fa risplendevo di tutto il fulgore della mia età, dell’energia della mia giovinezza poiché amavo la Vita. Poi è successo l’irreparabile… Ho perduto l’Amore. Il motore della mia intera Vita si è fermato. Un pensiero oscuro mi ha ottenebrato la mente, ha distorto il mio sentire, un pensiero che non riesco più a lavar via… Dottore, Lei sarebbe in grado di rimuovere chirurgicamente questo pensiero dalla mia mente?… Dottore, vorrei l’ablazione della Solitudine… vorrei trovare nuovamente il mio spazio per vivere…»
Disse quest’ultima frase guardandomi dritto negli occhi. Fu in quell’istante che compresi tutta la gravità della situazione.
Io, non potevo fare nulla per quella ragazza. Non potevo fare nulla neppure per me stesso, per me che sino a quel momento non avevo mai voluto vedere…
…ero affetto dallo stesso pensiero!
Improvvisamente, mi sentii vecchio.