Vi giuro, per quanto ho di più caro, che la presente storia è vera e che ha avuto luogo non molto tempo fa in un remoto paese dell’Italia.
Per quelli di voi che hanno bisogno di una maggiore convinzione e che, magari, non sono disposti a prestare fede a ciò che dico se non sulla base di prove concrete, suggerisco la lettura del diario conservato dagli eredi del signor Renato Shultz, che fu amico intimo di chi, con il suo ingegno, diede avvio agli eventi che qui si narrano ed, in seguito, costretto a mantenere il silenzio per non contrariare i porporati del Vaticano.
Per cominciare, allora, è bene sapere che il dottor Giorgio Arlandi aveva inventato una campanella e che questa era collegata ad un congegno meccanico che, attraverso una sottile ma robusta cordicella, permetteva al battente di suonare anche solo con un movimento minimo o impercettibile.
Un tubo d’acciaio, di diametro non ampio, proteggeva la cordicella e fungeva da supporto per un meccanismo che si sarebbe potuto installare in ogni dove e con grande facilità.
L’estremità della cordicella terminava con un anello della grandezza giusta per un dito e serviva per favorirne la trazione.
L’anello, dunque, andava infilato al dito e la mano, quando mossa, azionava la campanella in cima al meccanismo, permettendole di suonare.
A mente del dottor Arlandi, chi tirava la cordicella, azionando la campanella, si sarebbe certamente dovuto trovare al di sotto della stessa ma non in posizione verticale bensì orizzontale ed, in effetti, la sostanziale novità dell’invenzione risiedeva proprio nella possibilità, da parte del custode di un cimitero, di poter “star dietro” – come si usa dire- alle diverse richieste che, soprattutto di notte, provenivano dagli ospiti.
Infatti, prima di questa invenzione, la vita dei custodi non era molto semplice poiché, oltre le normali incombenze legate alla manutenzione del camposanto durante il giorno, al calar della notte essi dovevano prestar l’orecchio per ascoltare da quale tumulo provenissero i mugugni ed i colpi, con effetti a dir poco deleteri per il sistema nervoso.
Così, grazie alla “campanella”, il cimitero del paese di Mezzafossa divenne presto un modello di grande efficienza perché, per mezzo di una rigida tabella di orari e suddivisione dei compiti, un esiguo gruppo di custodi riusciva a tener testa ai capricci provenienti dai tumuli e lo scampanellio notturno divenne così frequente e costante che si udiva ormai ben oltre la cerchia di alberi secolari che cingevano le alte mura.
In alcuni casi, le campanelle suonavano per lamentare un eccesso di umidità nelle fosse, in altri casi per l’inopinato sconfinamento di qualche osso, altre volte ancora, per l’eccessivo vociare proveniente dal settore monumentale.
Ma non erano questi i soli motivi che determinavano la deambulazione a destra ed a manca dei custodi, infatti, qualcuno dei più vecchi ospiti del cimitero aveva cominciato ad approfittare un po’ troppo della situazione ed abusava del congegno acustico al solo scopo di riscoprire piaceri terreni a lungo dimenticati.
Ecco, dunque, farsi avanti le richieste più disparate: dalle sigarette ai quotidiani, dal caffè mattutino alle briosce, dalle radio alle televisioni portatili a batteria.
Il volume di queste inusitate pretese giunse a toccare vertici tali che, ad un certo punto, i custodi (assolutamente, si deve dire, non scoraggiati) cominciarono ad avere l’idea di realizzare un vero e proprio business: aprirono allora, all’interno dell’area cimiteriale, un bar e persino uno spaccio fornito degli oggetti più disparati ma la natura dei servizi proposti, per le ampie ed eccezionali peculiarità, affinché non suscitare grave scalpore, necessitava di essere taciuta e, comunque, mantenuta segreta.
Tuttavia, tra i parenti dei defunti non tutti erano disposti ad accettare l’insolita attività del cimitero di Mezzafossa. Qualcuno, più legato alle rigide osservanze religiose, cominciò a ritenere che il sistema di “assistenza” messo in piedi dai laboriosi custodi fosse sacrilego, stimolando negli estinti il piacere per la vita terrena ben oltre le normali leggi della natura. Infatti, senza tanti preamboli, si giunse presto ad uno scontro dai toni aspri tra i fautori del meccanismo inventato dal dottor Arlandi - tra cui anche il sindaco del paese - i quali auspicavano che il segreto si sarebbe dovuto mantenere ad ogni costo per garantire il “buon riposo” a tutti i cittadini quando fosse giunto il momento, ed i detrattori dell’invenzione, che, al contrario, vedevano negli eventi di cui raccontiamo l’antefatto dell’Apocalisse e si auguravano un rapido intervento delle autorità competenti affinché lo sconcio cessasse immediatamente.
Questi ultimi, si strinsero - eleggendolo a baluardo della loro crociata - intorno a Don Beppe Tardezi il quale, al principio di tutta la vicenda, preso dall’entusiasmo, aveva addirittura accolto gli eventi del camposanto come un meraviglioso miracolo della potenza Divina, ma poi, preoccupato dal serpeggiante malumore, angustiato dal dubbio che fosse stato egli stesso vittima di una persuasione diabolica e spaventato dalle reazioni del Vaticano quando fosse trapelato il tutto, decise di cambiare bandiera e, soprattutto, di vuotare il sacco.
Partì così per Roma, furtivamente e senza che qualcuno potesse (almeno apparentemente) rendersene conto, portando seco foto compromettenti ed un breve filmato girato di nascosto con una piccola cinepresa, il tutto da mostrare a Monsignor Baschi di Terranova: quanto bastava per rappresentare all’Autorità Ecclesiastica le sconcertanti attività del cimitero di Mezzafossa, servizio bar e spaccio compreso.
Monsignor Baschi di Terranova all’epoca dei fatti aveva sessantadue anni e si trovava in quello stato della vita in cui , avendo il corpo ceduto alla mollezza, lo spirito anela a ritrovare, anche solo per un breve istante, quel guizzo d’ossigeno sufficiente ad alimentare la vecchia fiamma. Quando ascoltò, nel silenzio dello studio, l’incredibile storia narrata da Don Beppe Tardezi, ebbe uno scatto così improvviso che le pareti echeggiarono dello scricchiare delle sue ginocchia. La situazione appariva talmente incredibile che egli, seppure avvezzo alle più incredibili vicende che riguardavano il Vaticano, sospettò quasi di essere vittima di una messinscena.
Solo l’antica amicizia, risalente ai tempi della comune infanzia, lo trattenne dallo scacciare in malo modo il religioso e si predispose, pur con grande scetticismo, a prendere visione del materiale segretamente lasciato trapelare.
In verità, per non darvi un’impressione della figura del sindaco di Mezzafossa come quella di uno sprovveduto, è bene precisare che l’amministrazione comunale non aveva di certo escluso la possibilità di un contatto tra Tardezi e la Santa Sede e per questo, sottilmente, lo aveva posto sotto controllo ma, come si sa, certe cose così grandi sono difficilmente gestibili e, quando entrano nel gioco svariati interessi, è facile trovare qualcuno disposto, in cambio di moneta sonante, a fare il contrario di quello che avrebbe dovuto fare: ecco quindi la fuga verso Roma, ecco quindi le fotografie e la breve pellicola che documentavano ciò che accadeva nel camposanto.
Baschi di Terranova ebbe così il suo momento di gloria. Informò con estrema segretezza il Papa e questi allertò i propri Servizi e, nel giro di una settimana, Mezzafossa fu posta silenziosamente sotto assedio. Il sindaco e la giunta comunale furono “cortesemente” invitati al silenzio e l’intera area cimiteriale invasa dalle ruspe.
Quando i “lavori di ristrutturazione” ebbero termine, tutte le salme erano state traslate nel vicino campo di Tremaglie ma i custodi , nonostante tutto, continuarono ad avere il loro bel da fare. Le campanelle, infatti, ripresero a suonare: gli “ospiti” erano cambiati ma non spariti.
Oggigiorno, all’ingresso del cimitero di Mezzafossa, tra le edere, il viandante può scorgere uno scudo in ferro battuto che sormonta il cancello: esso presenta uno stemma con il cappello cardinalizio avvolto da una fascia incisa con la scritta “Requiescant in pace”.