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Il rovescio del dolore
di Luigi Socci
Pubblicato su SITO
Anno
2004-
Marcos y Marcos
Una recensione di
Norma Stramucci
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Votanti:
8634
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79.39%
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Hai voglia a trarre da un libro un’immagine organica del mondo, non legga Luigi Socci che, pur nel titolo, Il rovescio del dolore, scardina l’ordine, nega all’evidenza ogni tratto che non risulti inquietante, e di essa coglie gli aspetti più minuti e inevidenti.
Da definire trasversale questa lirica, fosse chiaro il termine di riferimento. Trasversale, ma non rispetto al mondo, al quieto vivere borghese. Così semmai in Montale:
…
né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Trasversale dunque, non rispetto alle mille peripezie umane, ai tranelli dell’apparenza, ma a una condizione di assenza dell’io poetico: …Io quella sera / proprio io non c’ero…
Si tratta di incongruenza esistenziale, del rifiuto palese ad accettare non tanto che l’evidenza sia ciò che gli occhi spiano aldilà della condensa sullo spioncino, lente rimpiccolente di un uscio domestico, quanto che ad assistere allo spettacolo sia proprio lui, un giovane uomo animato dalla volontà di imparare a memoria la propria vita: …Nel personaggio a cui davo la vita / mi identificavo alla perfezione: / il mio cadavere in carne e ossa / in attesa di identificazione.
E dunque si nega. Nega se stesso e la persona amata: …Forse nemmeno c’eri / visto che non esisti, / forse nemmeno c’ero / -io? / figurarsi. ; nega grandezze sicure: …il mare…/ … produce / onde solo di sale /senza una goccia d’acqua…
Negarsi e negare significa la scrittura di una linea separatrice, di protezione, tra l’autenticità delle proprie emozioni (il dritto del dolore!) e il suo volerle pensare (il suo rovescio!), il cercarne una ragione, una causa, un fine. Il dolore è dovuto –anche- al fatto che un morto vive altrove; è appena uscito / con passi senza piedi.
Socci non concepisce la morte, ne fa un elemento del caos; ed è lo sbigottimento di fronte al caos che non può essere ricondotto all’ordine, a un sistema logico e inequivocabile, che lo porta a contestare l’idea di verità: La verità va preparata bene…
Il fatto è che del gomitolo che è il tondo del mondo mancano le coordinate, l’uno e l’altro capo del filo: …Srotolando gomitoli / si sperde ogni mio filo in doppi sensi…
E’ naturale il riferimento che già sottolinea Aldo Nove a Gadda. Il dottor Ingravallo…
Sosteneva, fra l’altro, che le inopinate catastrofi non sono mai la conseguenza o l’effetto che dir si voglia d’un unico motivo, d’una causa al singolare: ma sono come un vortice, un punto di depressione ciclonica nella coscienza del mondo, verso cui hanno cospirato tutta una molteplicità di causali convergenti. Diceva anche nodo o groviglio, o garbuglio, o gnommero, che alla romana vuol dire gomitolo.
Apparentemente ironica, la scrittura di Socci punta al ridicolo, e lo confessa: Chino nel mio cunicolo. // Munito di binocolo. // Non cerco l’ironia, trovo il ridicolo. E fa pensare ancora a Montale, a un verso di “Prosa per A.M.” in Altri versi: Tra l’orrore e il ridicolo il passo è un nulla.
Ciò a significare la drammaticità della sua ispirazione poetica che si dà in versi e in lingua che, nonostante i contenuti, si presentano delicati, snelli… elastici: Questa poesia è bielastica / può essere una esse / o volendo un’ixelle, / questa poesia si stende / come una parte del corpo, una pelle…
E’ una poesia che ha tutte le carte in regola / è ochei. Luigi Socci sa bene che significhi in poesia l’essere ochei, sa bene che la morale di un poeta, come insegna O. Paz, non è nei suoi temi, nelle sue intenzioni, ma nella sua condotta davanti al linguaggio; sa bene che –si sta parafrasando P. Celan-, il poeta, ferito dalla realtà e alla ricerca della realtà, è verso il linguaggio che va con tutto il suo esserci. Luigi Socci ci dà versi che suonano come il pensiero di attimo, e noi sappiamo quale traguardo sia, per un poeta, la sua apparente semplicità.
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