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L'ozio: tra antichità e contemporaneità...
di Emanuela Ferrari
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Nell’ambito della storia del pensiero filosofico la parola ozio è sempre stata “catalogata” come espressione di inoperosità, inerzia, non-fare…L’ozio produce uno stato di improduttività pericoloso e degenerante; è un peccato ma, in prevalenza, è un vizio da evitare poiché l’essere umano, quando può, cerca di attorniarsi di questo sentimento ozioso. Ma è davvero così? L’essere umano, per sua natura innata, è un homo faber nel senso più esteso del termine. Fin dal suo apparire nel mondo ha sempre cercato di progredire, di modificare il suo status. Alla sua ingegnosità ed industria delle mani si devono numerose scoperte e valevoli invenzioni. Non dimentichiamo che questi è portato a commerciare, barattare e scambiare, come affermava Adam Smith. E’ dotato di questa attitudine innata che lo conduce alla socialità, al confrontarsi e scontrarsi con i suoi simili. Non è esagerato affermare che l’uomo è proprio un essere in continuo “movimento”. Anche il sonno diventa “luogo” di produzione in qualche modo; è la “zona” in cui gli impulsi vengono fuori poiché il dinamismo della quotidianità non permette all’individuo di dare adeguato “spazio” alle molteplici componenti della natura umana. Ma ancor prima di arrivare alla dimensione onirica, la semplice astensione, seppur momentanea, dalla azione pratica non è da considerarsi negativa. Un momento di silenzio, una pausa di raccoglimento sono necessari per concentrarsi, o distogliere lo sguardo da una pensiero fisso. Quindi una sosta, una distensione o il semplice non-fare, per distaccarsi dalla realtà non è ascrivibile ad un peccato e tanto meno ad un gesto ozioso. Queste ultime connotazioni negative sono applicabili davanti a situazioni che richiedono una prontezza di spirito e di intervento pratico che vengono a mancare per disinteresse, negligenza, inaffidabilità. In questi casi il termine ozio è accompagnato da appellativi vari e marcati. Nella dimensione della nostra contemporaneità questi diversi “attributi” ben si accostano al significato di ozio mentre da un punto di vista filosofico, e morale, il discorso è più complesso e coinvolge ambiti molto più estesi rispetto al comune modo di pensare. Thomas Hobbes, nel Leviatano edito nel 1651, descrive uno Stato forte, assoluto, in grado di imporsi e di farsi “ascoltare” dagli uomini, i quali vivono seguendo solamente i propri interessi e passioni. Sono esseri pieni di vizi per natura, mentre per Bernard de Mandeville anche i vizi contribuiscono al benessere pubblico. La condizione oziosa in cui molte attività sono realizzate permette ad una folta schiera di api, quindi di uomini, di trarre benefici da questa realtà viziata. Se ogni lavoro venisse realizzato nel giusto modo e nei tempi previsti non si verificherebbero tanti sprechi, elargizioni e manomissioni che costituiscono la linfa per altri speculatori che “mandano avanti” l’ingranaggio sociale. Di conseguenza la società diventerebbe meno operosa, molte persone abbandonerebbero il territorio e, di fronte ad una possibile invasione di un alveare avversario, non ci sarebbero le forze necessarie per difendersi. Questi passaggi sono ben descritti nel libro più famoso di Mandeville intitolato: La favola delle api. Un contributo ulteriore, e più completo, è compiuto dal moralista scozzese Adam Smith. L’individuo cerca di promuovere il suo self-interest (interesse personale) ma inevitabilmente, e a sua insaputa, egli non fa altro che promuovere il benessere diffuso nella società. Ciò accade per la presenza di un elemento ordinatore: la mano invisibile che ri-equilibra le azioni individuali a favore del beneficio pubblico. In realtà le tendenze egoistiche, personali, individuali vengono sempre e comunque ri-orientate verso la società producendo risultati favorevoli. Questa visione armonica, in grado di coniugare positivamente movente iniziale e risultato finale, trova una sua specifica giustificazione storica proprio durante l’Illuminismo, quale periodo in cui è presente una visione appunto armonico-ottimistica che governa il mondo. La teoria delle conseguenze inintenzionali delle azioni intenzionali, che racchiude questi contenuti, si stava affermando in Europa e tra i suoi maggiori aderenti c’erano appunto Mandeville e Smith. Ed ancora si può considerare la realtà protestante, di matrice calvinista, che ha dato un notevole impulso al riconoscimento e valorizzazione dell’operato umano. L’essere umano deve fare, lavorare e produrre, non può “attendere” solamente che Dio lo chiami ma deve rendersi “utile” durante la sua esistenza terrena. Un altro pensatore che ci fa riflettere sul tema dell’ozio è Schopenhauer, conosciuto come il filosofo del pessimismo cosmico. Nel suo pensiero la volontà di vivere diventa l’energia vitale per andare avanti, per non rinunciare mai a vivere nonostante l’esistenza sia solo sofferenza. C’è la possibilità di riscattarsi facendo, ovvero portando avanti delle condotte di vita produttive come la via dell’arte con le sue molteplici manifestazioni; scultura, architettura, musica... Oppure si può intraprendere la strada della partecipazione sociale, legata a forme di solidarietà verso gli altri. Si tratta di una forma di assistenza ed incontro con l’altro. Un percorso alternativo è rappresentato dal raggiungimento di una condizione di elevazione dal mondo: quindi lo stato ascetico a cui si arriva con il nirvana buddista. Secondo Nietzsche abbiamo due modi per affrontare la vita: con il modello dionisiaco o con quello apollineo. Lo studioso ritiene che quest’ultimo sia più appropriato in quanto permette di accogliere la vita come si presenta anche se è importante cercare di cambiarla con tutte le proprie forze anziché divertirsi, quasi inconsapevolmente, tramite l’approccio dionisiaco. Quindi ancora una volta il fare vince, e supera nettamente, il non prendere parte e l’essere passivi. L’essere umano - spiega Pascal - dimostra la sua grandezza dal momento in cui riconosce la sua “miseria” davanti alla Natura. La sua esistenza è paragonabile ad una esile canna che si muove ma risulta fragile ad ogni intervento della natura. Di fronte a questa consapevolezza ognuno di noi può scegliere se dedicarsi all’ozio; ovvero se trascorrere il tempo in giochi e sollazzi, che distraggono dal pensare, o se rendersi conto della propria condizione di piccolezza rispetto al Creato. In base a questa dimensione filosofica il tema dell’ozio assume un “sapore” più complicato. Allora che “valore” riveste attualmente? E’ catalogabile come un comportamento vizioso o necessita di una re-interpretazione alla luce del contesto storico-temporale in cui ci troviamo a vivere? Non è facile rispondere ed è ancora più arduo fornire una risposta definitiva, o comunque attendibile. Dunque riuscire ad avere dei momenti di relax nell’arco delle nostre giornate, che scorrono così veloci e piene di impegni, risulta tanto difficile che non ci rimane altro che “programmare”, quando è possibile, anche i pochi spazi o residui di tempo che possono presentarsi. Allora non siamo liberi affatto di improvvisare neanche sul tempo libero. In questa chiave interpretativa l’ozio rimane un’idea, un progetto utopistico che si vorrebbe raggiungere ma a cui non si arriva mai perché il tempo che abbiamo scorre via velocemente…
A cura di Emanuela Ferrari
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