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Liberarsi dai condizionamenti
di Krishnamurti
Pubblicato su SITO
Anno
2006-
Mondadori
Prezzo €
7,50-
144pp.
ISBN
9788804561750
Una recensione di
Emanuela Ferrari
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Il pensatore indiano Jiddu Krishnamurti (1895-1986) è considerato “uno dei figli minori di quell’incontro tra Oriente e Occidente”. Il sui nome fu scelto dalla madre in onore del dio Krishna al quale era molto devota. Il padre, un bramiro ortodosso, diviene membro della Società teosofica volta a favorire uno studio comparato tra le religioni per creare una sorta di fratellanza universale. Krishnamurti vi aderisce e viene educato alla cultura occidentale. Nel 1911 il giovane è a capo dell’Ordine della Stella, quindi prosegue la sua formazione che lo conduce in Inghilterra, in California ed anche in Italia. Nel libro Liberarsi dai condizionamenti sono presenti i contenuti delle sue riflessioni che spaziano dai temi più teorici a quelli più pratici. Ne L’inconoscibile, il primo pensiero che apre la sua raccolta, definisce il pensiero “l’espressione del conosciuto, dell’esperienza” e ci ricorda che ”la mente non è mai in riposo, è sempre tesa allo sforzo, sempre intenta a conseguire, a ottenere”. Questo processo si chiama meditazione, in La paura di perdere. Tale ragionamento prosegue in La paura in cui l’autore precisa che il pensiero davanti all’inconoscibile ha appunto come unica risposta la paura. L’attenzione alla mente è abbastanza ricorrente nello scritto di Krishnamurti, infatti in L’ascolto scrive: “la mente è perennemente occupata in qualcosa; non è mai immobile e silenziosa per poter ascoltare il frastuono delle proprie lotte e sofferenze”. Interessante è la distinzione elaborata tra l’esperienza e la sperimentazione. La prima “é già nella rete del tempo, è già nel passato, è divenuta un ricordo che viene in vita soltanto come risposta al presente”, mentre la seconda comincia quando la prima è cessata, in Esperienze e sperimentazione. Seguono dei pensieri dedicati alla conoscenza, alla comprensione per affrontare poi tematiche più terrene. In liberi dal sapere il pensatore indiano esordisce con le seguenti parole: “il sapere è un lampo di luce fra due tenebre”, mentre “l’ignoranza è la mancanza di coscienza di sé”. La conoscenza della realtà è importante anche davanti alla fede; infatti si può passare “da una fede ad un’altra, da un dogma ad un altro”, ma “non ci si può convertire alla comprensione della realtà”, in La fede come gabbia. L’autore poi si sofferma sul rapporto pensiero-amore e riconosce nel primo la presenza di “complicazioni emozionali”, che non ci sono nell’amore, infatti “il pensiero è il più grande ostacolo all’amore”, - e continua – “il pensiero ovviamente ha il suo posto, ma non è in modo alcuno connesso all’amore”, in Pensiero e amore. In La natura dell’amore questa dicotomia è spiegata con maggiore enfasi: “l’amore è uno stato dell’essere in cui la sensazione come pensiero è del tutto assente”. Il nostro esistere si manifesta nella lotta con un problema, anzi non possiamo immaginare la vita senza un problema, quindi il “desiderio deve essere compreso, e non allontanato e sottomesso”. Questi contenuti sono esposti in due pensieri, rispettivamente in Chiacchiere e preoccupazioni e Comprendere le vie del desiderio, ma contengono un filo conduttore che “dirige” il lettore a domandarsi: cosa è la sofferenza secondo Krishnamurti? Le pagine che seguono in effetti sono volte a fornire delle possibili soluzioni al quesito emerso. In La via senza via l’autore scrive: “dovete accingervi a navigare un mare non segnato sulle carte, e questo mare ignoto siete voi stessi” poiché “la conoscenza di sé è il principio della saggezza”. Sono presenti anche riferimenti al potere, al rapporto Oriente – Occidente, uomo e società, idea e azione. Ne La brama del potere il pensatore con tono sobrio afferma: “il potere è una delle più complete espressioni dell’io” e “che si tratti del potere della conoscenza, del potere su qualcuno, del potere mondiale o del potere dell’astinenza, poiché la sensazione del potere, del dominio è straordinariamente gratificante”. La questione antropologica, uno dei temi della contemporaneità, emerge in due pensieri: Oriente e Occidente e Una civiltà comune. In questi passi Krishnamurti sottolinea che la distanza geografica non conta poiché gli uomini di tutto il mondo si trovano ad affrontare le medesime situazioni e pensieri, e precisa: “l’intera coscienza umana riguarda Dio, la morte, un’esistenza giusta e felice, i bambini e la loro educazione, la guerra e la pace” - e ribadisce – tenendo ben presenti le differenze, “dobbiamo cercare di renderci conto delle somiglianze”. Infatti “sia in Oriente sia in Occidente gli uomini vogliono la pace e l’abbondanza, e sperano di trovare qualcosa di più della felicità materiale”. “Vivere è la più grande delle rivoluzioni” quindi, tenendo a mente questo monito contenuto in Non-azione, si può procedere - secondo l’autore - nell’esame del rapporto uomo-società. Quest’ultima “è l’espressione esteriore dell’uomo” e “l’uomo intelligente porterà in essere una buona società” in Il cittadino e l’uomo interiore, mentre, in Idea e azione, si riconosce la vitalità insita nell’essere umano: “la maggior parte di noi è volta all’azione” e ci rivolgiamo alla fede per trovare “quella particolare forza che ci viene dall’esclusione”. In questo libro sono presenti molti pensieri, ben centoquarantacinque, rivolti ad argomenti e quesiti legati alle prime riflessioni filosofiche proprie dei presocratici fino ai temi di contenuto sociologico del nostro tempo a dimostrazione, come afferma lo stesso scrittore, che in ogni epoca e in ogni parte del mondo l’umanità tutta si trova ad affrontare le stesse irrequietudini.
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