Quando si nomina Georges Simenon, è quasi scontato accostarlo al personaggio del commissario Maigret, personaggio da lui inventato e che ritroviamo impegnato in tante indagini. E quando ho iniziato a leggere questo testo, il cui titolo mi incuriosiva, mi aspettavo, in un momento imprecisato, di imbattermi nel fatto delittuoso e nel successivo intervento del commissario con la pipa per indagare e scoprire il colpevole.
Ma in questo libro non compare il commissario Maigret; ci sono due amanti clandestini, Tony e Andrée, che vivono nella provincia francese e che si incontrano in una camera di albergo, la “ camera azzurra” del titolo; ci sono le loro storie, il loro essersi conosciuti come compagni di scuola, loro due e colui che sarebbe diventato il marito di lei; c’è il perdersi di vista, il percorrere vite parallele per poi rincontrarsi e iniziare la loro storia clandestina; c’è l’ inspiegabile morte del marito di lei, e poi lo avvelenamento della moglie di lui; c’è l’incalzare delle domande rivolte a Tony, un venditore di attrezzi agricoli della provincia francese, per fare luce su ogni singolo movimento della sua vita, per accertare se sia o meno coinvolto nella morte, misteriosa ed inspiegabile, del marito di Andrée, la sua amante, prima, e poi nello avvelenamento della propria moglie.
L’abilità di Simenon in questo testo è mantenere viva la tensione nei confronti della futura evoluzione della storia; colpisce lo atteggiamento apatico di Tony, che rischia la pena capitale in caso fosse dichiarato colpevole.
E per tenere desta l’attenzione del lettore, Simenon alterna due piani narrativi: il primo costituito dall’evolversi delle loro quotidianità e dai loro incontri clandestini; il secondo, costituito dal susseguirsi sempre più incalzante delle domande rivolte a Tony ora dal giudice, ora dallo psichiatra, sui suoi spostamenti e sui suoi incontri clandestini con Andrée.