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Lullaby
di Silvia Cristini
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RACCONTO SEGNALATO DALLA GIURIA NELLA
II EDIZIONE DEL CONCORSO LETTERARIO UNIBOOK - PROGETTO BABELE

Buio totale. No. C'è uno spiraglio di luce. Non riesci a percepire da dove proviene. E' un bagliore che cresce man mano che riprendi coscienza. Di nuovo buio totale.

Ora capisci, sono i tuoi occhi, non si vogliono aprire. Come ti succedeva da piccola, te lo ricordi... Con tutte le forze cercavi di sollevare le palpebre pesanti come un macigno, un po' ci riuscivi e allora intravvedevi qualcosa, un viso, la mamma, la libreria, tuo fratello in pigiama che saltava sul letto...

Adesso è diverso. La stessa sensazione d'impotenza ma intorno una presenza intensa, familiare, che ti attrae. Ecco di nuovo un po' di luce, gialla, calda, vaniglia. Ora vedi bene tutto: una stanza piena di atmosfera mattutina, davanti a te una porta finestra socchiusa e al di là un giardino fiorito, fuori c'è un vento tiepido che muove le tende leggere. Sì, è decisamente primavera oggi. Ma ieri no, ieri era il 12 dicembre.

Ti siedi sul letto. Non è un letto, è una comoda chaise-longue in rattan, con grandi cuscini bianchi. L'hai vista qualche giorno fa in un negozio di arredamento, sei entrata, ti ci sei sdraiata sopra sotto gli occhi odiosi del venditore, era bellissima ma poi sei andata via, perché costava un occhio della testa.

'Ma dove li avrò trovati i soldi per comprarla? Che cretina, proprio adesso che dobbiamo risparmiare. Dario ha appena perso il lavoro. Ai bambini non gliene frega niente, loro continuano imperterriti a vivere, a mangiare, a crescere, ad andare a scuola, a cambiare vestiti, scarpe, bicicletta, le figurine, i Gormiti, il diesse.

“Mamma ti prego mi compri un pianoforte?”.

”Ma sei pazzo, lo sai quanto costa, e poi non abbiamo neanche lo spazio in casa!”.

”Ti prego, voglio suonare come il nonno. Mi fai sentire il cd della sua musica, mi fai vedere il suo ultimo concerto alla televisione? Perché non suona più?”

Domande, domande, sempre domande.

Anch'io ne avrei una, dove cazzo sono, la testa mi gira'.

L'ultimo ricordo che hai è di ieri sera, faceva freddo in macchina, il riscaldamento non funzionava, pioveva a dirotto, giusto, era il 12 dicembre ma oggi no, com'è possibile? Eri in macchina, tornavi da un incontro con Gabriella. Ma qui dove sei? Ti rendi conto che i tuoi occhi si sono chiusi di nuovo, persi nello sforzo di capire che sta succedendo.

Li riapri dopo pochi istanti. O forse no, perché la stanza è cambiata, non c'è più quell'etereo paglierino, intorno a te un rosso vermiglio come se fuori oltre la terrazza - ma prima c'era la terrazza? - infuocasse il tramonto. Riesci ad alzarti, c'è qualcuno fuori, vedi una sagoma, familiare, alta, vestita di jeans, quella camicia un po' logora che gli piaceva sempre indossare nel tempo libero, per fare i lavori in legno nel garage, per fare un giro in barca sul lago. Ecco il lago, dietro le sue spalle, ecco il sole che tramonta dietro le colline, ecco papà.

L'ultimo giorno.

“Cazzo Gabriella, lo sai cosa mi stai proponendo, te ne rendi conto?” Gli occhi le brillano per l'emozione.

Sedute su una panchina stanno mangiando una frittella, quelle che si mangiano nei luna park, untissime e piene di zucchero. Questa sa un po' di candeggina, fa veramente schifo, ma a lei sembra fantastica.

Poche ore prima Gabriella le aveva telefonato. La famiglia era in pieno ménage mattutino, colazione da preparare, culetti da lavare, vestirsi, trambusto. Tutto si concentra in un'ora. I bambini sono sveglissimi, pieni di energia, felici di vivere. Bea è già stanca, dopo una nottata passata a rigirarsi nel letto pensando al futuro, ai soldi che non bastano, a Dario che ha perso il lavoro...

“Lo zaino. Ti sei pettinato i capelli? Sì, figurati...”

Le cade a terra il cordless.

“Sì, Gabri, ci sono ancora, sai com'è a quest'ora non riesco molto a darti retta, devono arrivare a scuola per le otto e mezza, siamo patologicamente in ritardo. Ok, facciamo alle sei e mezza, tanto c'è Dario a casa, se la cava lui. Passo a prenderti in ufficio? Ah, va bene, ma quale parco? Ma non puoi anticiparmi qualcosa, muoio dalla curiosità... La solita stronza...”

Bea ha terminato la sua frittella.

“Lo sai che non lavoro da anni, sono fuori dal giro...” distrattamente si lecca le dita per recuperare granelli di zucchero.

“Ma non dire cazzate, che giro, tieni la contabilità, se sapevi farlo allora lo fai anche adesso.” Gabriella si accende un sigaro, eredità dell'ex marito cubano.

“E i rapporti con l'estero, sai che il mio inglese è puramente scolastico.” Inizia a tossire schifata dalla nube di fumo.

“Scolastico? Ma se tu riesci persino a litigare in inglese, ti ricordi anni fa a Berlino? Comunque per le faccende burocratiche c'è la segretaria, però qualche viaggetto ci toccherà farlo e stare lontano alcuni giorni... Ce la farai? In fondo Londra è qui dietro, dai...”.

“Io di carte da parati non ne so niente”.

“Sticker, wall sticker, te l'ho già detto, ma che devi sapere, si attaccano al muro e via, la rivoluzione dell'interior design... Adesso ti do il volantino...” inizia a frugare dentro un borsone di cuoio che sembra avere vita propria.

“Ecco vedi, senti come parli, io non ci riuscirò mai...”

“Cretina. Scema. Vado avanti?” la guarda divertita dalla sua timida esitazione.

“Allora, devo parlarne con Dario. Sai è un bell'impegno e poi significa che dovrà fare lui il casalingo, ora che è anche senza lavoro... Che sogno, ma chi te lo fa fare, dopo tanti anni perché hai chiamato proprio me...”

“Così, a pelle mi sei sempre stata simpatica. E poi sei l'unica che ha rimesso al suo posto lo stronzo di Giorgi, quando faceva tanto il galletto con noi. Non posso scordare quando ti ha toccato il culo, tu ti sei girata e gli hai stretto i coglioni in una morsa che se lo ricorda ancora adesso!” Ridono insieme.

“Intanto mi sono giocata la carriera. Dici che è ancora vivo quello schifoso?”

“Spero di no, brutto porco, che marcisca sotto terra anche lui.” Gabriella ha perso la sua espressione serena, non può nascondere l'ombra di spiacevoli ricordi mai sepolti.

“Non ci pensare, è acqua passata. Sorridi e dammi un bacio: ci sto!” Si abbracciano ancora sedute sulla panchina.

Sta per iniziare a piovere.

Bea è in macchina, piove forte, il traffico è intenso. Qualche goccia di pioggia e le macchine in circolazione sembrano moltiplicarsi, per magia. Il Naviglio alla sua destra è stracolmo per gli acquazzoni degli ultimi giorni. Non riesce neanche a concentrarsi alla guida: tornare a lavorare, con una vecchia amica, oltretutto. E Gabriella ha pensato proprio a lei, per questo nuovo eccitante lavoro, viaggiare, Londra...

'Dovrò studiare di nuovo l'inglese... Stasera vado su internet e cerco una scuola qui vicino. E poi dei programmi di aggiornamento per la contabilità. E la sede? Non ne abbiamo parlato ma non troppo lontano spero... Gabriella abita in centro, vorrà mettere lì l'ufficio... Chi se ne frega, uscirò presto la mattina e tornerò tardi la sera, come fanno tutti quelli che lavorano in città. E Dario che dirà? E i miei bimbi, li vedrò pochissimo, dovrò stare via la notte, giornate intere senza vederli, che angoscia, no non ce la faccio...'

Un nodo in gola grosso come un pomodoro le rende difficile il respiro.

'Cazzo, sì che ce la fai, sono grandi vanno a scuola, non dipendono più da te fisicamente! Sì, è  deciso, ci andrò e riuscirò a convincere Dario e...'

Uno schianto tremendo. Ogni cosa le gira intorno come al rallentatore, con estrema lucidità vede se stessa roteare, sente il metallo della macchina stridere contro il guard-rail, un salto e l'auto si trasforma in un motoscafo sull'acqua. Sente e vede tutto, ignara attrice protagonista di un film. All'improvviso il silenzio, il motore si è spento. Certo, la macchina è nell'acqua.

'E' incredibile: sono nel Naviglio! In fondo è successo quello che temevo ogni sera e ogni mattina passando di qua. Chissà perché le persone che finiscono in acqua con la macchina poi muoiono. Che ci vuole: apri il finestrino poco per volta, lasci che lentamente la macchina si riempia d'acqua - sarà ghiacciata -, fai un bel respiro, trattieni l'aria e poi apri tutto il vetro ed esci fuori nuotando, come fai sempre al mare o in piscina. Semplice. Già, e come la mettiamo con i finestrini elettrici, come li fai scendere? Panico... No, quelli dietro sono con la manovella, problema risolto. Meno male che per non spendere troppo non abbiamo comperato una di quelle macchinone con quattro vetri elettrici! Se fossi stata ricca ci sarei rimasta secca, invece sono povera e mi salvo! Un po' di giustizia a questo mondo...  Forza, ora vado dietro e mi tiro fuori di qui, farà freddissimo nell'acqua ma non importa, poi io griderò e qualcuno mi tirerà fuori, mi porteranno una coperta calda, del tè caldo, andrò in ospedale, mi faranno degli accertamenti - 'Sta benissimo signora, lei ha qualche santo in paradiso, può tornare subito a casa'-. Lì ci saranno Dario e i miei bambini e ci abbracceremo forte e saremo felici che tutto sia finito bene, poi adesso ho anche un lavoro nuovo, una vita nuova, dopo tanti anni di sacrifici...

Ma perché non riesco a muovermi, perché fa così freddo, perché è cosi buio, perché sono sola...'

Era da molto tempo che non sognavi tuo padre. E' stata un'emozione, anche se è sparito subito. Chissà dov'era quella terrazza, assomiglia ad un posto dove sei stata in vacanza, ma lì c'era Dario, non papà.

'Quindi se era un sogno, adesso apro gli occhi e sono nel mio letto, a casa. Alla mia sinistra, se allungo una mano, sentirò la schiena calda di Dario (strano che non stia russando). Davanti a me, se apro gli occhi, vedrò la cassettiera della nonna Giulia e, appesa sopra, la mia Danae. A destra sul mio comodino troverò di tutto: dal biberon di Zoe appiccicoso di latte, ai resti di nasi soffiati nei fazzoletti di carta stropicciati, ai libri in attesa di essere letti: ormai da tempo immemore aspettano di essere scelti, come amanti in un harem...'

Invece no, sei ancora sulla chaise-longue. Però la camera è in penombra, questa sì che ti è familiare, la stanza da letto dei tuoi genitori, nella vecchia casa di Via dei Gelsomini, anni ottanta.

'Non è possibile, hanno buttato giù il palazzo sei anni fa, per costruirci un centro commerciale... Questo non-sogno comincia a scocciarmi.'

Di colpo ti irrigidisci. Dalla stanza accanto un suono risveglia emozioni profonde sopite da tempo.

'Il pianoforte di papà. Suonato da papà'.

Cammini a piedi nudi sulla moquette color tortora, attraversi il corridoio lungo e stretto dove da piccola facevi le gare di corsa con tuo fratello - arrivavi sempre ultima -, fredda sensazione di marmo, entri in salotto. Lui è li', curvo sul pianoforte, intensamente bello preso dalla sua musica.

Non sai che fare, aspetti che finisca, come facevi da piccola. Una volta ti feristi ad una mano con un vetro rotto, mentre tuo padre suonava. Non c'era nessun altro in casa, dovevi per forza chiedere aiuto a lui. Attendesti pazientemente il tuo turno, con la mano gocciolante e il viso pallido, seduta accanto a lui incurante del mondo.

Come allora sei lì, in religioso silenzio e ossequioso rispetto dell'arte. Lo sguardo cade sulla tua mano, gocciolante sangue. Urli.

Dario sa che Bea aveva un appuntamento con la sua ex collega, Gabriella. Cerca sulla rubrica il numero di telefono. Forse hanno deciso di cenare insieme, poteva anche avvertirlo. Forse hanno perso la cognizione del tempo, si sa le donne quando iniziano a chiacchierare...

“Macché, niente...”

Lampo di genio, un'altra ex collega, amica di tutte e due.

“Scusa, Ilaria, per caso hai il numero di cellulare di Gabriella, sì, Mancini. Oh, bene, grazie” si sente sollevato, in queste situazioni l'ansia lo assale, come succedeva sempre a sua madre quando perdeva di vista lui, unico figlio sopravvissuto al terremoto del Friuli nel 1976.

“Sono il marito di Bea, per caso è ancora con te. Ah, da più di tre ore?” ritorna lenta e inesorabile la stretta alla gola. “No, non è raggiungibile. Sì, ti farò sapere...”

“Papà, ho sonno...”

“Forza, tutti a nanna...” sforzo tremendo per allontanare la sensazione di soffocamento che lo sta per assalire, come se fosse ancora sotto le macerie della sua casa paterna.

Al comando dei Vigili di zona non risponde nessuno, data l'ora. Alla Polizia minimizzano. “E' un po' presto, aspetti, magari sua moglie ha avuto un piccolo contrattempo...”

Non può non fare nulla. Gli amici li ha già chiamati tutti per primi, quindi è passato ai conoscenti, poi, elenco del telefono alla mano, ai vecchi vicini di casa, gente che non si ricorda manco chi sono lui e Bea.

Decide di passare all'azione, pagine gialle alla voce 'ospedali'.

Suonano alla porta. E' lei, eccola, Dio ti ringrazio, avrà perso le chiavi di casa, tanto per cambiare, che spavento mi ha fatto prendere, ora aprirò la porta, la accoglierò con un sorrisetto ironico e la prenderò in giro per quello che ha combinato...

I Carabinieri...

Siete insieme, abbracciati, seduti sui morbidi cuscini bianchi.

“Papà...”

“Sì.”

“Sei vivo?”

“Sono qui, con te.”

“Sono morta.”

“Sì.”

“Dove siamo?”

“A Lullaby.”

“Che dici... quella Lullaby?”

“Si proprio quella.”

“E' un luogo immaginario, l'invenzione di una bambina.”

“Questo siamo, ovunque la tua o la mia mente decidano di essere.”

“Sei felice di vedermi?”

“Io ti vedo tutti i giorni, da quando mi trovo qui.”

“Sono passati tanti anni, sai tutto quello che ho fatto? Sai che hai tre nipoti?”

“Altroché, se non fosse per me non sarebbero mai nati!”

“Beh, certo, se tu non avessi messo al mondo me, non ci sarebbero neanche loro...”

“No, non in quel senso. Il tuo Dario ha un apparato riproduttivo poco efficiente, se non ci avessi messo lo zampino io, col cavolo che facevate tre figli!”

“Ma che dici... non capisco.”

“Questo è ciò che facciamo noi qui a Lullaby, interveniamo sulle vostre vite, sui nostri cari che restano ancora in vita.. E anche sugli altri, se ne abbiamo voglia. Cose grandi, cose piccole, secondo l'esigenza. Con una distratta come te devo sempre stare attento a dove perdi le chiavi di casa, per poi fartele ritrovare. Ah, quella volta che le hai perse al mare, mi dispiace ma stavo riposando. Non ho potuto fare niente.”

“Ah, ti riposi anche...”

“Per forza, il nostro è un vero e proprio lavoro, faticoso e stressante. Neanche Lullaby è un mondo perfetto, dobbiamo ricaricare le perdite di energia. Forse il prossimo lo sarà, chissà... Abbiamo i nostri limiti, non possiamo impedire la vostra morte, per esempio, e poi...”

“Scusa, non mi sento bene, ho bisogno anch'io di riposare.” 

“Nel Naviglio... Dio, no... ma come fate ad essere sicuri che si tratti proprio di lei, di mia moglie, Bea...”

“Abbiamo trovato i documenti, sig. Zoia, non ci sono dubbi, ci dispiace molto...” avrà vent'anni il ragazzino che gli sta di colpo uccidendo la vita.

“Ma come è successo...” che domanda inutile, a che può servire saperlo.

“Un camion che sopraggiungeva nell'altro senso di marcia, ha perso il controllo per colpa della forte pioggia, ha spinto l'auto di sua moglie dentro il corso d'acqua, superando il guard-rail.” ci sarebbe da ridere per il tono formale del carabiniere, ma Dario non coglie l'ironia, sente solo che sta per svenire.

Quando riapre gli occhi, il mattino dopo, si ritrova nel suo letto. Accanto i suoi bimbi, i nonni, la sorella di Bea, i vicini di casa. Sfuma ogni speranza di un eventuale brutto sogno. Le loro facce rispecchiano la realtà, tranne quella di Zoe, è troppo piccola per capire la svolta che ha preso la loro vita.

Solo ora Dario si accorge di quanto somigli a sua madre...

Sei ancora nella vecchia casa dei tuoi genitori. Ormai hai capito quello che è successo, sei felice di avere ritrovato tuo padre. Non ti manca la tua vita: hai compreso che sarai sempre con i tuoi cari, li senti vicini come ti fossero accanto, e loro supereranno la tua mancanza, col tempo. E poi un giorno vi ritroverete, qui o altrove.

Hai ancora tante domande da fare a tuo padre.

Lo cerchi vicino al pianoforte, poi in cucina.

“Oh, guarda, ci sono ancora i miei disegni appesi al frigorifero...” Con una mano sfiori i fogli con le orecchie accartocciate dal tempo.

Dalla strada delle voci attirano la tua attenzione. Gente che passeggia, incroci gli sguardi di persone che ti osservano con dolcezza, sconosciuti eppure sai tutto di loro, i loro pensieri ti appaiono come in un libro. E sai che loro provano lo stesso, guardando te. E' bellissimo non avere segreti, non dovere celare i propri pensieri, giusti o sbagliati, buoni o cattivi, grandi o piccoli.

Tutto è esplicito non essendoci nulla da nascondere, sai chi hai di fronte, gli altri vedono la parte buia di te, la percepiscono, non è più pericolosa, la si accetta e non fa male. E' un sentimento brutale e violento ma sincero, non esistono bugie, non ci sono persone che ti feriscono alle spalle, tutto è chiaro, trasparente. All'inizio è doloroso ma senti di poterlo sopportare.

Ti giri, ecco la tua casa. Papà è sulla soglia, che ti aspetta.

“Ho ancora bisogno di te.”

“Lo so, vieni.”

Siete seduti uno di fianco all'altra, sulla sedia del pianoforte, come quando da piccola suonavate insieme gli 'spaghetti'.

“Ma Dio esiste, l'hai visto?”

“Qui a Lullaby ci spogliamo dei nostri vecchi 'abiti'. Non ci sono dottori, ingegneri, capi di stato, uomini e donne di potere. Non ci sono preti, monaci, muezzin, papi... Nessuno si fa portavoce richiesto o non richiesto di Dio. Nessuno ti fa sentire che ti manca qualcosa, perché qui non ti manca niente. Quando c'è la felicità pura non hai bisogno di cercare altro. Dio siamo noi.”

“La vostra, la nostra... mi sembra una vita vuota, senza dolori, senza desideri”.

“Non è una vita. E' uno stato di pienezza nel quale realizzare ogni bisogno vero. Non sto parlando di beni materiali, di possesso. Nessuno qui ambisce ad avere denaro, gioielli, potere. L'unico piacere è conoscere se stessi e gli altri. Hai mai letto un libro di Hemingway? Bene, lo potrai incontrare e disquisire con lui degli elefanti bianchi. Sei mai stata alle Galapagos? Qui potrai andarci e parlare con Darwin dell'evoluzione. Hai amato le canzoni di Fabrizio De Andrè? Potrebbe diventare il tuo migliore amico.

Non abbiamo tempo per sciocchezze come rancore, odio, sete di ricchezza. Abbiamo il nostro lavoro, dobbiamo pensare ai nostri cari ancora in vita, tutti hanno qualcuno cui tengono. Un amico, un cagnolino, una pianta, un luogo. E poi si possono aiutare anche gli sconosciuti, solo perché ci stanno simpatici. In questo momento mi sono prenotato per Obama ma c'è una coda interminabile!”

“Ma allora tutte le cose brutte che succedono da noi... nella vita... perché non impedite che accadano?”

“Ti ho detto che questo non è un luogo perfetto. Succede che qualcuno si è distratto o sta riposando. Io in questo momento sono con te, non posso vegliare sulla nostra famiglia... Alcuni fatti sono troppo grandi, anche per noi: le guerre, le stragi, le nefandezze compiute dagli uomini, o le stupidità come costruire città sotto un vulcano o cementificare gli argini dei fiumi o riempire il mondo di centrali nucleari... Non ce la facciamo a stare dietro alla pazzia umana... Finché tutto finirà, un giorno, così, come successe milioni di anni fa ai poveri dinosauri...

“Perché, cos'è successo ai dinosauri?”

“Domani te lo racconterò. Adesso riposati, ti aspetta una giornata speciale, potrai rivedere i tuoi bambini, e tuo marito. Buona notte”.

© Silvia Cristini





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