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L'amico ritrovato
di Fred Uhlman

a cura di Claudio Palmieri


Editore: Feltrinelli - Collana: Universale Economica
Anno: 2003 (53esima edizione, prima edizione 1986)
Pagine: 92
Costo: 5.00 Euro


In questa novella, poiche' non di romanzo si tratta vista la sua brevita', si trovano primavere metaforiche e primavere reali. Tra le prime abbiamo quella rappresentata dall'adolescenza dei protagonisti. Una fase della vita in cui si fiorisce, in cui tutte le potenzialita' del futuro individuo sbocciano e cominciano, con irruenza, a farsi spazio. Questa, citando Ulhman, è "[…] una fase di breve durata che, tuttavia, per la sua stessa intensità e unicità, costituisce una delle esperienze più preziose della vita."
Poi c'e' la primavera di un'amicizia, quella tra due ragazzi di sedici anni, Karl e Konradin, che fiorisce tingendo di colore le loro solitudini. Quindi, c'e' la primavera di una Germania finalmente uscita dall'inverno del primo conflitto mondiale e dalle sue conseguenze e che sembra guardare avanti verso un'estate calda e fiorente che, purtroppo, si rivelera' essere un inverno rigido e crudele. Infine c'e' la vera primavera, quella del 1932, anno in cui la storia dell'amicizia tra Karl e Conradin ha inizio.
La storia inizia a Stoccarda proprio alla fine dell'inverno, quando la campagna cominciava a riempirsi " […] di fiori, fiori di ciliegio e di melo, di pero e di pesco, mentre i pioppi si tingevano d'argento e sui salici spuntavano le foglie giallo limone". La vicenda principale e quella dell'amicizia tra un ragazzo ebreo, Karl e un ragazzo di nobili origini teutoniche Konradin, conte di Hohenfels, entrambi soli anche se per motivi diversi. Il primo distante dai suoi compagni di classe con i quali non condivide alcun interesse, il secondo appena arrivato al Karl Alexander Gymnasium di Stoccarda. Karl risulta subito attratto dal nuovo arrivato nella sua classe, ma esita ad avere con lui un contatto quasi rendendosi conto che quel ragazzo segnera' indelebilmente la sua vita(...) Lentamente la loro vita cambia: Karl rifiorisce tanto da stupire i suoi stessi insegnanti, passando dal torpore del disinteresse scolastico ad una partecipazione estroversa, che lo mostra padrone di una non comune cultura letteraria. Konradin trova nell'amico un fedele compagno con cui condividere gli interessi per la storia, l'archeologia e la letteratura. I due vivono questi giorni felici immersi nella primavera culturale che interessa la Svevia, in una Stoccarda "tranquilla e ragionevole" che poco ancora risente dell'infezione Nazista che piu' tardi, con la sua inusitata virulenza, contagera' tutto il paese e colpira' inesorabilmente anche la vita dei due giovani. (...) Uhlman riesce a descriverci da un lato la bellezza di un'amicizia pura e disinteressata, l'affetto reciproco di due ragazzi che si sono finalmente trovati, il senso di spensieratezza e di vitalita' loro e della Svevia all'alba del nazismo, dall'altro l'amarezza della perdita, lo struggimento dell'esilio, il dolore inferto dalla persecuzione razziale e dall'insanabile ferita dell'olocausto.
Questo, è un libro che fa pensare e, cosa che non guasta mai, fa ricordare. Ci fa ricordare un passato per cui tanti tedeschi innocenti hanno vissuto con un perenne senso di colpa e ci fa pensare a come un personaggio come Hitler, all'apparenza un "ometto insignificante", sia riuscito a costruirsi con la dialettica e la forza di persuasione un mito tanto solido da coninvolgere un'intera societa', dalle fasce piu' basse fino all'intellighenzia del paese, in un disastro epocale. Piu' di ogni altra cosa, pero' questo libro ci parla della forza dell'amicizia e di come essa possa passare sopra agli eventi e attraversare il tempo portando con se' un'inestimabile richezza.
Concludo con una raccomandazione: per questo libro di Uhlman, la regola aurea per cui non si debba mai leggere il finale di un libro prima del tempo debito assume un valore ancora piu' alto. Il titolo - nell'originale in inglese era "Reunion" - ci rivela gia' qualcosa, ma se malauguratamente vi capitasse di leggere il finale, o meglio le ultime due righe del testo, vi perdereste una delle migliori epifanie dei romanzi del secolo scorso. Credetemi, quell'ultima frase gli vale il giudizio insindacabile di capolavoro.

L'INCIPIT:
"Entrò nella mia vita nel febbraio del 1932 per non uscirne mai più. Da allora è passato più di un quarto di secolo, più di novemila giorni tediosi e senza scopo, che l'assenza della speranza ha reso tutti ugualmente vuoti, - giorni e anni, molti dei quali morti come le foglie secche su un albero inaridito."

A cura di Claudio Palmieri (claupalm@yahoo.com)


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