Il Boccaccio fu scrittore prolifico, però il suo nome resta indissolubilmente legato al Decameròn, che, come tutti sanno, non è di facilissima lettura, soprattutto perché il periodo talora si snoda complicatissimo, con un intreccio di subordinate che rendono ardua la comprensione del testo. Lo scopo di questo mio intervento è semplice: far conoscere agli ammiratori del Boccaccio come lavorava in prosa l'amico di Petrarca e l'estimatore per eccellenza di Dante, su cui tenne lezioni memorabili nella chiesa di Santa Croce in Firenze.
Entriamo dunque nell' «officina» del grande artiere. Boccaccio è scrittore di enormi capacità realistiche, e, al tempo stesso, molto analitico. Oggi la struttura del periodo tende alla semplificazione, ma, allorché ci avviciniamo alla lettura dell'opera maggiore di Boccaccio, non dobbiamo dimenticare il fatto, essenziale, che lo scrittore di Certaldo era obbligato a modulare i periodi secondo i canoni retorico-stilistici dei tempi suoi, che erano estremamente dipendenti dai temi e dalla materia che via via si trattavano. Così, ad esempio, Boccaccio passava da un periodo semplice e da un lessico usuale e addirittura gergale ad un altro più articolato e solenne, a seconda se, rispettivamente, vi agivano personaggi di media o bassa levatura sociale o se, al contrario, i protagonisti erano altolocati e grandi intellettuali: in quest'ultimo caso il periodare si slargava in costruzioni ampie e latineggianti, che tra l'altro furono imitatissime nei secoli seccessivi, anche se, a onor del vero, non tutti apprezzavano tale tecnica del periodo, che a molti scrittori e critici appariva estremamente artificiosa o, come diceva il nostro sempre irruente Papini, decisamente corruttrice dell'aurorale «trecentesca semplicità». Come che siano le cose, il lettore moderno deve accettare il dato tradizionale e cercare di adattarsi alle norme retoriche medievali che, in quanto a minuziose casistiche, erano davvero, lo riconosco, ossessivamente analitiche. Lo studioso più attento del periodare boccaccesco fu sicuramente Alfredo Schiaffini (1), il quale annotò un po' tutti gli artifici stilistici messi in campo dal Boccaccio. Anzitutto egli osserva che il periodo del certaldese può essere assimilato a un «quadro», entro il quale, con sapiente stringatezza, presenta a volte, con un solo periodo appunto, le caratteristiche essenziali del personaggio (V. per esempio Andreuccio da Perugia). Fra gli artifici stilistici, Schiaffini sottolinea, per esempio, le inversioni («E, nel vero, se io potuto avessi » , per «se io avessi potuto » ); le separazioni, per cui tra l'ausiliare e il verbo s'inserisce un avverbio o altro, per dare «lentezza pacata» al periodo («l'avrei volentier fatto», per «l'avrei fatto volentieri»); i termini preziosi e aulici, specie nelle novelle di contenuto elevato; oppure colori retorici tipici della poesia ( «Manifesta cosa è che, sì come le cose temporali tutte sono [per sono tutte, inversione] transitorie e mortali, così in sé e fuor di sé [antitesi] ...). E queste non sono che poche annotazioni. Quanto alla varietà di periodi usati, il Decameròn è ricchissimo di strutture sintattiche estremamente complesse. Iniziamo con un periodo tra i più semplici, anche se oggi come oggi, tanto semplice potrebbe non apparire. Normalmente, il periodo meno complicato era detto «a spirale», secondo una tecnica costruttiva che prevedeva: una proposizione principale + una proposizione subordinata di I° grado ( di qualunque tipo) + una serie di proposizioni subordinate relative, strettamente legate fra loro e tutte dipendenti strettamente una dall'altra ( a spirale, appunto). Facciamo un breve esempio:
«Non è adunque, valorose donne, gran tempo passato [princ.] /Che in Romagna fu un cavaliere assai da bene costumato [ il che è temporale: «allorché», «quando» «in Romagna fu, ovvero «visse»...»]/ il quale fu chiamato Messer Lizio da Valbona,/ a cui per ventura... una figliola nacque.../ la quale ... crescendo, divenne, bella e piacente...».
Come si può notare, alla principale segue una temporale introdotta da un che: ma è intuitivo il suo valore temporale, adombrato già nella principale con accenni a un « non... gran tempo passato»; seguono quindi tre relative, ognuna delle quali si regge su quella precedente.
Qualche lettore potrebbe, già a questo punto, cominciare a stillare sudore dalla fronte, e decidere di abbandonare il campo, ma i più coraggiosi mi seguiranno, anche perché, lo prometto!, non andrò oltre i due-tre esempi, che sono tra l'altro il minimo che serve per una lettura consapevole della prosa del tanto famoso Decameròn. Il periodo esemplificativo che segue è abbastanza simile al precedente, pur non avendo un andamento così «meccanico», nel senso che, le frasi che seguono la subordinata di I° grado, non sono tutte proposizioni relative. Ciò ci complica un po' di più la vita, ma, insomma, sappiamo tutti che la strada della vita è spesso mal lastricata, scomoda e sconnessa:
«Dovete dunque sapere/ che nella nostra città fu già un ricchissimo mercante/ il quale scioccamente/ sì come ancora oggi fanno tutto il dì i mercatanti pensò di voler ingentilire per moglie [fuori di metafora, il Boccaccio vuol dire che il nostro mercante voleva acquisire un titolo nobiliare sposando un'aristocratica], ecc.» (2).
E presento solo una parte del periodo. Si noti come, dalla principale (Dovete dunque sapere) si snodino un' oggettiva, una relativa, nella quale s'innesta una subordinata comparativa. Quindi, ma risparmio al lettore la sofferenza, il periodo si sviluppa nuovamente con una principale, un'oggettiva, da cui dipende un'interrogativa indiretta di 2° grado, che regge a sua volta una relativa di 3° grado, da questa un'oggettiva di 4° grado, concludendosi infine in una finale di 5° grado. Se qualcuno è sopravvissuto, sappia che la casistica non è affatto esaurita. Oltre al periodo «a spirale», la manualistica medievale, coltivata a piene mani dal Boccaccio, prevedeva altresì il cosiddetto periodo a «biforcazione»: ne sortisce una struttura del periodo «ad albero», per cui, sia dalla principale sia dalle subordinate successive si «biforcano» altre frasi, in forza delle quali il periodo diventa assolutamente aggrovigliato, a tal punto che a volte anche un occhio esercitato stenta a raccapezzarsi. Nella seguente «biforcazione» esemplificativa, si avverte che la principale non è all'inizio, ma al centro del periodo. Concludo con un esempio:
Veramente se per ogni volta che elle a queste sì fatte novelle attendono nascesse loro un corno sulla fronte/ il quale desse testimonianza di ciò/ che fatto avessero, / io mi credo [princ.]/ che poche sarebber quelle/ che v'attendessero...
Gli esempi credo spieghino ampiamente un fatto editoriale abbastanza diffuso: la traduzione in italiano moderno del Decameròn, che a molti, infatti, pare scritto in una lingua straniera.
(c) Enzo sardellaro, professore di Lettere Italiane e Storia
Note
1) A. Schiaffini, Tradizione e poesia nella prosa d'arte italiana dalla latinità medievale a Giovanni Boccaccio, Roma, 1943. Sul Decameròn Cfr. le pp. 187-197, in particolare le pp. 187-192, da cui sono stati tratti gli esempi.
2) Se qualcuno volesse conoscere tutta la casistica dei periodi previsti dal Boccaccio, rimando allo studio molto articolato di Giulio Herczeg, Saggi linguistici e stilistici, Firenze, Olschki, 1972, pp. 154-169. Per gli esempi, cfr. pp. 154-158.