Esordi: Il ragazzo che portò Parise al successo.
L'inizio indimenticabile dell’autore dei Sillabari. Il ragazzo morto e le comete, un capolavoro autentico tra realismo e lirismo.
E’ il 1951 quando un giovanissimo e sconosciuto Goffredo Parise convince l’editore Neri Pozza a scommettere sul suo esordio. Esce così per la prima volta a Venezia Il ragazzo morto e le comete, ma è un flop colossale. Inizio infelice, insomma, per quello che diventerà uno degli autori simbolo del ‘900 italiano, con capolavori quali Il crematorio di Vienna e i Sillabari. Il motivo? E’ presto detto. Il romanzo nasce fuori dal tempo e dalle aspettative. Parise scrisse una pagina, una sorta di poesia in prosa, e la fece leggere a Neri Pozza che commentò: «questo è un romanzo». E così iniziò a scrivere. Lo stile rimase però quello lirico, e pagò di conseguenza un inevitabile allontanamento di pubblico negli anni chiave del neorealismo. A distanza di tempo fu persino l’autore a criticarlo, giudicandolo «solo il libro di un ragazzo», e sottolineando quindi un certo grado di imperizia e di diversità dalla sua produzione più matura e consapevole. Oggi però Il ragazzo morto e le comete ci appare in modo molto diverso. Cadute le ansie neorealiste e le fobie liriche, il romanzo si legge per quello che è: un insieme di personaggi, atmosfere e parole che lo rendono un unicum della nostra letteratura. La storia è quella di Fiore, ragazzino solitario, che perde il miglior amico in un’Italia povera e devastata dalla guerra. Perdita della quale non si da pace.
«Lui aveva quindici anni, mi diceva sempre che ero il suo più grande amico. Era così infatti»
E così inizia il viaggio alla ricerca del compagno di sempre. Il romanzo è infatti soprattutto la storia di un’amicizia che non si rassegna alla morte. Ed è possibile? Sì. Perché, nell’universo in cui si muovono i personaggi, la morte non è per sempre. La morte definitiva arriva solo con la dissoluzione totale del corpo. Finché il corpo non si disgrega, la vita resta: «perché la carne che si decompone è piena di fatti di questa terra che non si possono abbandonare subito. Non tutti si rassegnano a restar là sotto». Così Fiore, alla ricerca dell’amico, si imbatterà in una serie di morti viventi, insospettabili e nascosti tra la gente normale. E qui Parise ci sorprende! Un panorama da Tim Burton che proprio non ci si aspetta. Ma se i morti non sono morti, allora anche il grande amico è ancora vivo, e c’è speranza che Fiore lo ritrovi. E infatti così finisce il romanzo, con un ricongiungimento. Ma un ricongiungimento dal retrogusto amaro: non si può cancellare quello che è stato. Non si può tornare alla vita dopo la morte. E questa è anche la visione disincantata dell’autore sul suo tempo: non si può tornare alla normalità, dopo la guerra. Il ricordo del dolore e della sofferenza pesa troppo, come pesano quelle due pallottole ancora nella testa del ragazzo di quindici anni, che gli ricordano la sua fine. E’ qui che il lirismo di Parise si incontra col realismo. Il ragazzo morto e le comete non è una fiaba, ma un’allegoria del terrore e della distruzione che la guerra ha causato e che solo una narrazione istintiva e passionale poteva forse rendere davvero. E le comete? Fuori di metafora emerge il pessimismo religioso dell’autore. E’ Dio, la cometa. Bellissima e misteriosa, ma che ha illuso e abbandonato nel momento del bisogno.
«Dio è morto da un mucchio di anni e non ci ha lasciato in eredità che minacce e terrori. Le case sono andate in polvere, la gente è saltata in aria, lo hai visto anche tu. E’ stata una grande paura»
Oggi il romanzo è ripubblicato da Adelphi, ma resta ancora poco conosciuto rispetto agli altri titoli dello stesso autore. E' il rischio che si corre con scrittori longevi e proficui dei quali i grandi successi affiorano alla memoria come punte di iceberg, a danno però di quella produzione più particolare (e nient’affatto minore!) che resta troppo spesso in apnea. Il ragazzo morto e le comete è e resta comunque, ieri come oggi, un romanzo difficile. Ma è il prezzo di un’esperienza forte. Ciò che rimane al termine della lettura è un ricordo di sensazioni, di impressioni fisiche indelebili di un mondo umido, polveroso, distrutto e confuso. Un mondo che è reale e allo stesso tempo un sogno- incubo, del quale non si scorgono bene i contorni. E come in un sogno, Il ragazzo morto e le comete lascia costantemente la sensazione di essere protagonisti e spettatori allo stesso tempo. La sensazione di star spiando vite altrui, spostando il velo sottile del sogno e cercando di dissiparne la nebbia. Operazione che non riesce mai del tutto, però. I personaggi restano sempre estranei a noi, e, come nella volontà del loro autore, sono privi di psicologia. Eppure anche solo guardandoli da lontano ne diventiamo intimi amici. Squerloz e i suoi animali: la civetta, il gufo, il topo. Primerose, la piccola paralitica, innocente e sensuale. Edera e il suo mistero. Antoine, eccentrico e fiabesco. E poi loro, i due grandi amici. Il senso di malinconia che li avvolge, lega anche noi nel finale e stringe un nodo in gola. All’addio non c’è soluzione. Resta solo il ricordo.