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Il giro di Boa
di Andrea Camilleri


a cura di Rosario Cinà

Ed. Sellerio di Giorgianni
Palermo 2003
Collana: LA MEMORIA
269 pagine Euro 10,00


Il fenomeno Camilleri è stato da tempo analizzato, forse in modo frettoloso (e un po' invidioso) dagli addetti all'estetica ed alla critica. Il suo Montalbano, così intrinsecamente sciasciano, insulare, provinciale anche, ha affascinato tanti lettori e soprattutto i giovani neofiti che iniziano a scoprire le
magie dell'affabulazione letteraria.I suoi scritti, per altri versi, hanno fatto adirare, a volte scandalizzare alcuni intellettuali d'origine meridionale che hanno accusato Camilleri di letteratura facile, senza spessore e soprattutto "furba".Credo che per quest'ultimo aggettivo ci si debba riferire al problema del linguaggio di Camilleri, tutto immerso in una dialettalità imprecisa, un vero pastiche di suoni e di espressioni ma che sostanzialmente si riferiscono a cadenze siciliane della parte orientale dell'isola. Questo problema espressivo non è di secondo ordine - di passaggio, ci si chiede come tale dialetto possa essere tradotto dalle culture e forme linguistiche di tutti quei paesi, occidentali e persino orientali, in cui Montalbano-Camilleri viene letto, essendo ormai un fenomeno quasi internazionale.
Il linguaggio dialettale di Camilleri, peraltro usato anche in opere "serie" come la biografia di Pirandello, LA FAVOLA DEL FIGLIO CAMBIATO, non è ideologico-simbolico. Non è gaddiano insomma, ma un puro divertimento, segno d'una passione per le proprie radici, forse anche modo per esprimere la profonda violenza e, polarmente, la solare e grottesca comicità dei tipi siciliani non omologati da una cultura massificata ed americanizzata che Pasolini avrebbe definito come indifferenziata, reificata .Ne risulta un florilegio di personaggi, tutti macchiettisticamente posti sul palcoscenico delle sue storie - non dimentichiamo che Camilleri è stato un ottimo regista televisivo: si ricordi ad esempio la lunga serie del Maigret di Cervi - dei quali è inutile considerare lo spessore psicologico, inesistente, salvo l'eroe introverso, progressista, istintivo, romantico, solitario, fedele e macho, appunto il commissario Montalbano che nel proliferare delle storie è stato sempre più scandagliato, divenendo un personaggio interessante e complesso col quale sarebbe piacevole mangiare un piatto di pasta con le sarde, un timballo di "milinzane cu sucu" (sformato di melanzane al sugo) o altre prelibatezze della "forte" cucina siciliana, avendo davanti la fisionomia piacevole ed accattivante di Zingaretti, l'ottimo attore che per un effetto di sinergia mediatica rappresenta ormai per tutti il "vero" commissario.
Ora con Camilleri, a me lettore ingordo, è accaduto sempre un fenomeno di odio-amore. E' stata proprio questa dialettalità a farmelo sentire un po' artefatto. Questo modo di parlare che nell'ultimo libro, IL GIRO DI BOA, è divenuto un puro esprimersi solo in dialetto con qualche inserto in lingua manzoniano-italica, m'è sembrato sempre riduttivo, contraddittorio, limitativo anche. Sentire Camilleri-Montalbano che passa na "nuttata fitusa, 'nfami, tutta un arramazzarsi, un votati e rivotati…" ma che poi così esprime una scena di tensione:"Pariva una scena di Quentin Tarantino, si puntavano l'occhi invece dei revorbari…", appare come uno squilibrio fra un'esigenza intellettuale dello scrittore ed un ridurre a popolare, per esigenze di stile autoimposto , una narrazione che si sente vorrebbe spaziare in descrizioni, collegamenti, riflessioni estetiche e politico-esistenziali. Insomma senti che Camilleri potrebbe scrivere un suo giallo, usando la lingua italiana e il dialetto solo come episodico inserto, per far divenire i suoi libri delle opere d'arte moderna meno "furbe" e più intense e propositive. Si soffre, insomma, a sentire in giro che Montalbano piace per la sua fruibilità country piuttosto che per il suo spessore in verità tutto potenziale e, purtroppo e per strana scelta, inespresso.
Tuttavia - e qui scatta l'inesplicabile paradosso - Camilleri piace. Il fastidio nel leggerlo si tramuta in dimenticanza del tempo, a volte in immedesimazione. Catarè, appuntato buffo, analfabeta ma molto intelligente diviene un caro conoscente; il vice commissario Augello, "fimminaru" un po' patetico, un po' infantile alla ricerca dell'eterna madre, ti diviene simpatico; le donne di Montalbano, "la svidisi" soprattutto te le senti addosso con tutta la loro morbidezza e sensualità e la storia narrata cominci a viverla. Questo GIRO DI BOA è il massimo, credo, che Camilleri abbia scritto fra la lunga serie di gialli. C'è un problema sociale e politico reale, l'esodo degli estracomunitari verso le nostre coste meridionali, il mercato dei bambini, oggetti dai mille usi empi e morbosi; c'è un commissario che comincia ad invecchiare ed a non sopportare più l'indecenza delle istituzioni pubbliche - anche della polizia dopo i fatti di Genova ; c'è una dinamicità portata avanti col pathos d'un giallo d'azione; c'è un Montalbano che spara (e noi, identificandoci, spariamo con lui) e viene ferito alla spalla; c'è una equipe che lo collabora perché un po' lo teme ma lo ama anche e rispetta tanto perché è deciso, ha valori, crede in qualcosa e burberamente vuol bene ai suoi; e ci sono le donne ma soprattutto la "svidisi" che ti pare di allungare la mano per sfiorarla e "sintiri intra li naschi un sciauro d'albicocca della sua pelle, tanto forte da averne un giramentu di testa"
E così, partiti per criticare e destrutturare si è arrivati coinvolti ed amalgamati dentro questa storia, dentro i sapori ed odori dell'affabulazione di Camilleri. Miracoli dell'alchimia della fantasia e delle parole.


Rosario Cinà
rozapataci@virgilio.it


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