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Ho percorso gli ultimi metri che mi separavano dalla stazione correndo trafelata sui tacchi, il respiro corto da ragazza sedentaria e lo sguardo implorante all’orologio. Sempre così. Mai che riesca a prepararmi più velocemente, c’è sempre un dettaglio che mi indispettisce e devo ritoccare, un orecchino che non si trova, un’ultima occhiata severa allo specchio. Sempre perfetta. Per chi, non si sa. Cinquanta metri e mi odio per non usare scarpe basse. Venti metri e maledico la collana che non si intonava alla camicia. Mi affanno con la borsa e l’ombrello a fiori in una mano, il biglietto nell’altra, sperando di recuperare i secondi e intanto vedo sfrecciare un intercity. Il mio, di certo. Invidio la puntualità altrui, ma arrivando sento la voce gracchiante:
“ …proveniente da Torino per Milano Centrale è in ritardo di venti minuti.”
Mi siedo esausta e cerco di ricomporre i capelli umidi mentre mi guardo attorno. I soliti nonni con i soliti nipotini nel passeggino che chissà perché adorano veder passare i treni, li osservano ipnotizzati ignorando che fra qualche anno anche loro diventeranno pendolari nevrotici e allora i vagoni stipati perderanno il loro fascino; un gruppetto di matricole chiassose che gesticolano ampiamente commentando il primo esame dato con quel docente odioso; una signora di mezza età impeccabile nel tailleur grigio piombo e i capelli biondi appena liberati dai bigodini; una donna avvenente parla concitata al cellulare camminando avanti e indietro sotto la pensilina lasciando la scia del profumo troppo speziato; due ragazzi trivellati dai piercing e gli abiti informi ascoltano gli MP3; un cinquantenne anonimo con una ventiquattrore dozzinale legge il Corriere. Nessun soggetto interessante sul binario uno. Gli incontri fatali che cambiano la vita appartengono ai libri. Ai libri…ai libri… Cosa c’è su quella panchina? Un libro? Mi avvicino con fare indifferente e prendo il volume. E’ molto rovinato, ha la copertina strappata, i fogli ingialliti e un po’ ondulati come se avesse preso un acquazzone, un odore di stampa a basso prezzo. Mi incuriosiscono quelle pagine rimaste orfane di titolo e di lettore e insieme mi inteneriscono come un gattino fradicio abbandonato. E’ morboso il rapporto che mi lega ai romanzi, e trovarne uno dimenticato mi indigna e stimola insieme.
“ Allontanarsi dal binario 3, treno in transito.”
Nessuno lo reclama, inizio a valutarlo con interesse cercando di immaginare quali dita lo abbiano sfogliato, quali occhi lo abbiano letto. Giro velocemente le prime pagine per tentare di individuarne l’autore, ma mi è impossibile riconoscerlo da quelle righe. Frasi sottolineate, fitte note a margine, qualche asterisco che non so dove conduca, sporadiche parole evidenziate in giallo o in verde. Un libro vissuto, di certo studiato a fondo, forse amato. Ed ora è rimasto qui, su questa panchina di una stazione di paese come tante, in attesa che altri occhi lo facciano vivere di nuovo. Chi lo ha posseduto lo ha buttato come un oggetto che non serve più o è stata una dimenticanza ora dolorosa? Leggo, leggo affascinata quei caratteri un po’ sbavati dalla pioggia, guardo con affetto quelle sottolineature frettolose, tutte storte, che mi suggeriscono un carattere impulsivo, mi soffermo sui commenti acuti, su quella scrittura da ragazzo disordinato e creativo insieme. Un’occhiata distratta agli studenti che si precipitano al sottopassaggio e poi sono di nuovo catturata dal romanzo. I treni continuano a riversare passeggeri che non mi interessa più osservare, vedo solo le loro sagome sfuocate con la coda dell’occhio, dall’altoparlante arriva sempre la voce sgraziata che non mi curo di decifrare, non bado neppure all’ombrello che mi gocciola sulla scarpa. Avverto distrattamente un fruscio di porte che si chiudono davanti a me, capisco che si trattava del mio treno quando ormai è in marcia, ma anche l’impegno che avevo a Milano non mi sembra più così importante. Fra le pagine trovo come segnalibri tre biglietti obliterati per Novara, intuisco che Mister X deve vivere lì. O forse lì studia. O lavora. Chissà. Sento l’impulso di voler ascoltare il mio istinto, mi suggerisce che questo ritrovamento è un segno, uno di quegli attimi da cogliere. Dibattendomi fra razionalità e sesto senso continuo a leggere voracemente, i capitoli si susseguono rapidi. Sull’ultima pagina un numero di telefono segnato a matita, ed in quel momento mi giungono le ultime parole della voce metallica: “ …per Novara è in arrivo al binario 2.” Mi precipito sul treno e subito compongo il numero. Forse gli incontri interessanti davvero appartengono ai libri.
©
Maddalena Lonati
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