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Pregiudizi della libertà Libro di sarcasmi e di malinconiche superstizioni
di Roberto Morpurgo
Pubblicato su SITO
Anno
2006-
Ed. Joker, Novi Ligure
Prezzo €
13-
128pp.
Una recensione
di
Emanule Spano
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Votanti:
3988 Media
80.36%
L’ultimo libro di Roberto Morpurgo, Pregiudizi della libertà, ci presenta uno sterminato, quanto complesso e variegato, catalogo di temi e momenti, svolti con arguzia e sarcasmo attraverso la forma dell’aforisma, l’unica, forse, capace di cristallizare l’attimo e di restituirci senza retorica la riflessione che ne consegue. Ma è lo stesso autore a tentare di dare uno spiegazione al proprio strumento, chiarendocene il ruolo ed il campo, per esempio quando ci dice che: «L’adempimento dell’aforisma consiste nel fatto che non potendo dire tutto in una volta, dice però quel che accade a causa di quella impossibilità», ed è proprio la riflessione sul linguaggio e sul potere della parola a rappresentare il primo motivo di fascino di questo libro, in cui è proprio il dire oggetto della riflessione, ancor prima di ciò che si dice o si vuole dire.
Va però anzitutto registrata la difficoltà di dare conto della grande varietà di motivi che si inseguono nel testo e che vengono proposti al lettore, senza soluzione di continuità, quasi di trattasse di un'unica grande meditazione, che come il pensiero, non accetta di essere costretto in limiti angusti e d esige invece il proprio spazio per muoversi.
Ed è forse proprio da questo concetto che prende le mosse il titolo del volume, Pregiudizi della libertà, dove al tema della libertà viene accostato il termine pregiudizio, con una valenza differente da quella che tradizionalmente gli leghiamo. Lasciamo che sia lo stesso autore a darci spiegazione di questa scelta: «Immanuel Kant pensava che il Giudizio fosse il regno della libertà umana, e forse non aveva torto - benchè solo nel Pregiudizio si consumi senza mai estinguersi la fiamma del Fuoco, la libertà della Libertà: l’esistenza prima dell’Esistenza».
C’è quindi la volontà di desumere dal giudizio, un’ottica sulla realtà, di farne uno strumento che ci consenta di amministrarla e di viverla, liberandoci delle paure e delle insicurezze che ci impediscono di dare un volto al mondo e ai Demoni che ci circondano.
Il sottotitolo, poi, ci dà ancora uno spaccato, polemico e ironico al tempo stesso, sulla natura del testo: Libro di sarcasmi e di malinconiche superstizioni; è nuovamente l’autore a venirci in soccorso, con la sua consueta sollecitudine nell’attribuire una valenza alle categorie del discorso: «Sarcasmo è la notte che di giorno prende il nomignolo di sentimento».
Ciò che conta è quindi lo sguardo, disincantato e scettico, dell’autore, che tenta attraverso il gesto dell’osservare di andare al di là dell’apparenza delle cose, dei comportamenti e di fornirci una propria chiave di interpretazione del mondo, tanto nei suoi fatti esteriori, quanto nelle sue verità più insondabili - la vita, la morte, il destino – con una finezza di ragionamento, che svela un significativo retroterra filosofico.
Al centro del suo discorso, però, sembra essere sempre l’uomo, ritratto, talvolta anche impietosamente, nella sua ipocrisia e nelle sue manie, bersagliato dal destino, incapace di trovare una sistemazione razionale a ciò che non comprende, a cui Morpurgo offre un filtro verso l’esterno, un antidoto, che gli permetta di non soccombere sotto il peso dei suoi dubbi.
Assume poi un ruolo determinante nella architettura di questo libro il linguaggio sempre misurato ma accattivante, capace di attrarre magneticamente il lettore, tenendolo inchiodato alla pagina, e uno stile che fa dell’ironia e del sarcasmo brillante e mai troppo acido il suo punto di forza.
Un libro, insomma, che sarebbe impossibile raccontare in poche righe, ma che esige una lettura attenta e partecipata, non un semplice vademecum per affrontare il mondo, ma un vero e proprio viaggio concettuale che non pretende di trovare una verità definitiva, ma fa della esigenza stessa di interrogarsi, la vera arte.
Recensione pubblicata per gentile concessione di Roberto Morpurgo
Una recensione di Emanule Spano
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