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Un po' come accade chimicamente dopo una reazione, anche dopo una rivoluzione, prima o poi (di solito ci vogliono anni, se non decenni), si ristabilisce un equilibrio. Credo sia una regola generale, ma è anche qualcosa di difficile da accettare, da parte di chi la rivoluzione l'ha fatta, e l'ha fatta per cambiare il mondo. Come dice l?autore: ?Da allora niente è stato più lo stesso per me?.
Si tratta di una considerazione essenziale per capire la validità, e la difficoltà di scrivere questo libro: ogni rivoluzione lascia sempre qualche cambiamento, più o meno importante e nessun osservatore, per quanto sia negativo sui risultati ottenuti, può negare che alla fine del percorso, nulla sia più come prima. Tuttavia, chi ha vissuto, o addirittura guidato una rivoluzione, rischia di essere abbagliato dai risultati ottenuti, e da non riuscire ad analizzare quanto non ha funzionato e, ancora di più, discutere il perché degli eventuali insuccessi.
Mi sembra che, nonostante sia stato una figura centrale della rivoluzione nicaraguese, uno dei responsabili del FSLN (Frente Sandinista de Liberación Nacional), membro del cosiddetto Gruppo dei Dodici fino a diventare vice-presidente della Repubblica nel 1984, Sergio Ramírez se la cavi benissimo, con uno sforzo ed una profondità di analisi storica che non si sospetterebbe in un romanziere. Anzi, l?essere letterato lo aiuta molto a descrivere la sua parabola personale, inquadrandola in quella della rivoluzione. Le pagine scorrono veloci, fino alla caduta dell?ultimo Somoza (1979), mostrando anche in controluce per un confronto più significativo, quel che accadde in seguito fino alla sconfitta elettorale del FSLN (1990) e del suo candidato elettorale Daniel Ortega contro Violetta Chamorro, che porterà al distacco di Ramírez dal partito. E? una testimonianza, una memoria, di grande importanza storica. Si susseguono momenti esaltanti, il ritorno di Ramirez a Managua, mentre ancora Somoza era al potere, con la folla festante che prende possesso ?fisicamente? dell?aeroporto, l?invasione della Camera Nazionale (della conceria, come i sandinisti la chiamavano), la presa del potere sandinista, la crociata di alfabetizzazione, ed il sacrificio di tanti giovani nella guerra e nell?insegnamento rurale. Si vedono però anche le difficoltà, per esempio le critiche del papa alla teologia della liberazione durante la sua visita a Managua (marzo 1983), i progetti di sviluppo del ministro Jaime Wheelock, finite in tante cattedrali nel deserto, come la costruzione ferrovia da oceano ad oceano promossa dallo stesso Ramirez e arenatasi dopo sette chilometri per mancanza di soldi.
E? bene ricordare che la rivoluzione sandinista, al di là delle dimensioni modeste, anche in termini di politica internazionale, del Nicaragua, assunse un'importanza notevole anche perché fu la prima volta che l'imperialismo statunitense fu sconfitto in America Latina, e questo spiega, perché, dopo un iniziale periodo di prudenza, l'appoggio da parte di Cuba e, più velatamente da parte sovietica, non mancò.
E? chiaro che si intravede una folla di personaggi storici, qualcuno più da vicino, come Fidel Castro ed il presidente americano Jimmy Carter, altro grande sostenitore del sandinismo, poi le figure storiche di Sandino, Che Guevara ed Eden Pastora e la loro lotta ispirata dalla volontà di non finire latifondisti o ricchi come coloro che combattevano, la decomposizione fisica e morale, oltre che politica, dell?ultimo Somoza, e poi Margaret Thatcher, il ministro greco Papandreu, il nostro Andreotti, Gheddafi, ecc. Su tutto ovviamente c?è il fantasma dell?influenza statunitense, che ha dominato il Nicaragua per un secolo, e minaccia poi di tornare in seguito grazie al tentativo di controrivoluzione dei Contra.
Ramirez non è uno storico di professione, e lo si vede nelle pagine in cui, simpaticamente o forse per spezzare la tensione, indulge a qualche aneddoto, come quello delle tre sorelle zitelle affacciate al balcone che sentendo gridare dalla strada: ?Abbasso la borghesia?, pensano le stiano chiamando, in quanto abajo in spagnolo è sia ?abbasso? che ?dabbasso?. O quando ricorda le poesie di qualche giovane caduto nella rivoluzione, come Ernesto Cardillo junior, poesie più elegiache che eroiche: ?Porque vivo/quando te veo/por favor/no me dejes morir?), o l?eroismo quotidiano della sua stessa moglie Tullita, chiamata a mandare avanti la famiglia con quel marito troppo assente per ?cause rivoluzionarie? e la sua Volvo del 1975, con cui girava per i mercatini della vecchia Managua.
Già, ma cosa rimane del sandinismo? Oltre ai risultati di alcune riforme, come la quasi scomparsa dell?analfabetismo in Nicaragua, e la sensibilizzazione al problema dei poveri in America Latina, più in generale rimane, nelle parole di Claudia, la figlia di Idania Fernández, altra combattente caduta della rivoluzione nicaraguese, la consapevolezza che ?non importano i risultati, importano gli ideali. Specialmente in quest?epoca senza ideali?.
Ed è una conclusione che mi sento pienamente di sottoscrivere.
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