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Il Bianco Padre
di Fabio Pontelli
Pubblicato su PB18


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Mayayo guardò il sole alzarsi con indosso il pigiamino rosso del mattino. Lo faceva spesso ultimamente, forse credendo di poter trovare la risposta col solo aiuto della vista. Guardava ammirata l'astro farsi dell'arancio pieno e splendente delle ore calde, rimuginando sopra a quel moto con la sua testolina dal perfetto color ambrato, tipico della razza pura. Rimirò da ogni angolazione la stella infuocata, muovendo il capo col lungo collo d'aristocratica fattura. A volte aveva davvero l'impressione che la terra sotto ai suoi piedi non fosse ferma. Ma bastava sbattere un attimo le palpebre e quella sensazione si perdeva nel mare dell'evidenza. Evidenza per la maggioranza. Non tutti sottostavano al giogo di tale ovvietà, e Barugat meno di tutti.
Già, era questo a farla dubitare. Come poteva accettare il Bianco Credo, se era suo padre a opporvisi? Doveva credere alle parole del Bianco Padre o a quelle del più ambrato ma assai meno trascendente genitore?
Vivormia sosteneva che non era poi una faccenda così complicata. Lei – ah, le fosse capitata in sorte anche solo un decimo di quella sua superficialità –, lei diceva che rifiutare le idee di suo padre non equivaleva a sottrargli il proprio amore. Scrollò il capo sconsolata: se la fede derivava dall'amore per il Bianco Padre, come poteva togliere la fede al suo genitore terreno senza privarlo del proprio amore?
«La fede nelle parole del primo deriva dall'amore, poiché non c'è raziocinio che possa comprenderne l'essenza, in quelle del secondo l'intelligenza è bastante supporto» avrebbe risposto Baucheor, ma nemmeno tale disquisizione era soddisfacente. Lei non era in grado di giudicare le tesi di suo padre, non le capiva nemmeno... Abbassò lo sguardo alla terra, fissa o in moto che fosse, e si recò in chiesa con gran svolazzo dei propri crucci.
«Qualcuno tra noi» tuonò Ammufert, gran sacerdote del Bianco Dio. «Sta corrompendo la nostra purezza con favole ingiuriose e peccaminose. So che queste mie parole non sono necessarie; vedo la luce nei vostri cuori brillare intensa com'è giusto che sia, ma ugualmente è bene che vi metta in guardia di fronte alla minaccia che così d'appresso incombe sulle vostre anime.
«Sento voci diffondersi tra le schiere compatte di voi fedeli, le vedo rafforzarsi con gran gusto del Nero Sovrano e incrinare la saldezza della fede e dell'amore per il Grande Padre. Sento disquisire di teorie eretiche senza udire il disprezzo per tali assurde ipotesi. Sento il mio gregge allontanarsi dal Gran Pastore e, sebbene io sappia che in voi la fede è integra, non posso astenermi oltre dal mettere un freno a una così perniciosa tendenza.
«Fedeli miei, fuggite le mani dell'Oscuro! Eresia è il giusto nome di quelle tesi venefiche che certamente vi sarà capitato d'udire. Eretico è chiunque professi e sostenga ipotesi che contraddicono il Sacro Credo. Ed è nostro compito condannare queste teorie buie e senza speranza.
«Al bando sono messe queste tesi oltraggiose! Eresia è pubblicarle, diffonderle o parlarne soltanto! Eretico sarà considerato e in tal guisa trattato, chiunque sostenga, collabori, scriva o anche legga tali parole sgorgate direttamente dalla bocca del Nero Tentatore! Pentitevi, o dunque, se in qualche modo fate parte di quest'orrida schiera, e conducete sulla via del pentimento chiunque sappiate appartenervi! Il Bianco Padre è grande e buono, e il pubblico pentimento sarà la sola punizione inflitta a chi confesserà il proprio peccato e ne farà ammenda col più sommo rifiuto!»
Così si concluse il sermone di quel giorno. Mayayo inghiottì a vuoto alcune volte; gli occhi inchiodati all'altare e al prete che vi si ergeva sopra come il terribile braccio della punizione divina. Non si accorse della gente che si accalcava alle porte; non udì i sussurri spaventati che andarono a perdersi al di fuori del sacro edificio. Lei, il prete e il tremendo rimbombare di quella condanna nelle sue orecchie erano le uniche cose percepibili. Incapace di muoversi se non per l'irrefrenabile tremore, il suo corpo la trattenne lì, nonostante il desiderio di fuggire. Ammufert non tardò a notarla, ma nemmeno la coscienza di ciò servì a scuoterla.
«Cosa c'è? Perché non vai a diffondere per le strade la Sacra Parola che in questo luogo hai appreso?»
Perché sono terrorizzata! Perché mio padre è un eretico, e io ho ancora dubbi tanto forti da non potermi definire in diverso modo!
«Tu sei Mayayo Uder Amigdal, giusto?»
La ragazza annuì e il prete sorrise. Il viso anziano a sbarazzarsi della maschera della divina indignazione; ad attendere che la giovane riacquistasse il controllo di sè.
«Hai paura perché tuo padre fa parte di quelli contro cui mi sono così violentemente scagliato.»
Non era una domanda, sapeva.
«Non aver paura. Sì, tuo padre verrà processato com'è giusto che sia, ma il Bianco Dio ha un cuore tanto grande da poterlo perdonare. Va', ora. Va' senza timore alcuno, e riconduci tuo padre ove tu già ti trovi.»
Ammufert sorrise apertamente, e stavolta Mayayo seppe ricambiare. Rincuorata e determinata, uscì finalmente dalla chiesa e scivolò tra occhiate e bisbigli malevoli. Adesso sapeva cosa fare, e i suoi passi si alternavano ansiosi su un terreno mai più immobile e saldo di allora.
Se contava di arrivare facilmente alla meta, però, non aveva ben capito quanto profondamente la convinzione nelle proprie teorie si fosse radicata nell'animo di suo padre. Se la era immaginata, quella scena, mentre guadagnava il vialetto che conduceva all'uscio di casa. Se la era immaginata in ogni particolare ma, come spesso avviene, la realtà si rivelò tutt'altra cosa. Avrebbe dovuto capirlo fin dall'inizio; fin da quando suo padre aveva risposto con un'alzata di spalle alla drastica posizione assunta dal clero. Non era successo. La speranza le aveva tappato gli occhi e solamente adesso cominciava ad avvertire, con sommo terrore, quanto lontano dal retto sentiero si fosse spinto il genitore.
«Sei accusato di eresia, papà!» urlò con voce disperata e all'orlo del pianto.
«Un dogma ha la stessa flessibilità del granito» rispose lui con indifferenza.
Mayayo fuggì dalla stanza che il genitore usava a mo' di studio e osservatorio. Scoppiò in lacrime prima di riuscire a chiudersi l'uscio alle spalle, e corse per i corridoi accecata dalla disperazione. Perché suo padre non capiva? Perché non lasciava che quella battaglia la combattesse qualcuno che avesse meno da perdere? Forse era proprio questo il punto! Forse lei non era poi così importante.
Barugat sospirò pesantemente e rincagnò il capo tra le spalle, come a difendersi. La porta sbatté, coprendo per un attimo i singhiozzi della figlia. Non si voltò, conscio di ciò che stava provando in quel momento la piccola Mayayo. Il rozzo telescopio che stava montando gli sfuggì di mano e le lenti si frantumarono come il tenero cuore della ragazza. Lo guardò; guardò i frammenti di vetro sparsi sul pavmento e si chiese se ne valesse davvero la pena.
Un peso ben diverso opprimeva l'animo del gran sacerdote Ammufert e lo faceva agire in modo così brusco col pavido Moumenu. Lui, povero editore squattrinato, non aveva né forza né volontà sufficienti per opporsi a quel sopruso. Già tremante alla sola vista delle candide uniformi dei soldati, non pensò nemmeno a combattere: aveva una moglie e tre figli da mantenere, e certo il pur buon Barugat non rappresentava la colonna portante della sua attività. Non aveva alcun motivo di cercarsi guai, e gli occhi di Ammufert erano minaccia sufficiente. Collaborò. Consegnò tutte le copie del libro sacrilego e l'elenco completo dello sparuto gruppo di compratori. Anche da questi la situazione si evolse in modo simile, e il giorno successivo le pire si accesero, bruciando le rivoluzionarie idee dell'astronomo e di altri eretici come lui.
Eppure il gran sacerdote non trovò pace nemmeno nei densi fumi del rogo. Non erano i libri sacrileghi ancora in circolazione a preoccuparlo, era qualcosa di più profondo e inquietante; la sensazione che fosse tutto inutile. Di una sola cosa era certo: i colpevoli dovevano ricevere la giusta punizione.
Forte delle sue convinzioni, Ammufert agì di conseguenza, e il giorno dopo i soldati in candida tenuta si presentarono all'uscio di casa Amigdal. Mayayo a guardare di tra le lacrime il padre che veniva condotto in prigione.
I giorni successivi trascorsero lentamente, per Barugat. L'umidità della cella gli penetrò fin dentro le ossa, e buio e fame gli fecero compagnia. I suoi pensieri, in quella solitudine, si fecero udire con forza. Le inutili proteste della piccola Mayayo; le lacrime che le rigavano le guance mentre i soldati lo portavano via... Ricordi crudeli che lo torturarono e fecero vacillare la sua determinazione.
Quando, sei giorni più tardi, potè scrutare negli occhi di Ammufert, però, se la ritrovò nuovamente affianco.
«A quanto mi è dato vedere, la prigionia non ha gravato poi molto sul tuo fisico» disse questi.
«Un Amurgo non è solo corpo.»
«Sì» concesse il sacerdote. «É incredibile scoprire quanto si possa pesare a se stessi, non è vero?»
«Ci sono momenti in cui non si può fare a meno di porsi le domande più scomode.»
«Questo è uno di quei momenti?»
«Sì, direi proprio di sì.»
Il prete annuì con evidente soddisfazione. «Bene, allora il pur burbero metodo a cui siamo stati costretti a ricorrere ha dato i suoi frutti. Adesso ti sarà sufficiente rifiutare pubblicamente le tue assurde teorie e potrai riabbracciare tua figlia.»
Mayayo! Un colpo basso, ma avrebbe dovuto aspettarselo. C'era in gioco molto più di quello che gli era dato a vedere. Ammufert era tutto fuorché uno sciocco, e di certo si rendeva conto degli errori presenti nelle scritture. «Avete letto il mio libro?»
«A dire la verità sì. E' giusto conoscere la natura del proprio avversario.»
«Mi fate troppo onore. Quello che non comprendo, comunque, è il motivo di tanta ostilità nei confronti delle mie tesi. Possibile che si debba intendere il Libro Sacro in modo letterale? Voglio dire: è evidente che certe parti sono basate su concetti antichi e superati; sarebbe più facile sostenere che il Bianco ha parlato in modo semplice agli antichi autori per farsi comprendere. Ciò che conta è il messaggio, o almeno credo.»
Un sorriso accondiscendente accolse la pacata critica. «Sì, non è un'osservazione errata, e certo anche a noi è noto che il senso letterale non è essenziale né corretto. Ciò che disturba è qualcosa di più profondo e pericoloso.»
«Credo di essere lontano dal luogo ove porta il vostro discorrere.»
«Saremo più espliciti. L'idea di porre il sole al centro e i pianeti attorno a esso è in verità più semplice e naturale delle elaborate costruzioni che danno a Niamad tale privilegio. Non siamo esperti in tale campo, ma ci fidiamo delle "prove" forniteci dalle tue osservazioni e, in fin dei conti, non abbiamo nulla contro la teoria in sè. Il problema sono le conseguenze.
«Secondo il nostro credo, l'Amurganità è la prole prediletta del Bianco Creatore. Essa è stata plasmata a sua immagine e somiglianza, ed è l'unica specie dotata di coscienza. La conclusione è che tutto il creato è stato edificato a nostro beneficio, ed è per questo che risulta necessario il Niamocentrismo. Concedendo al sole tale privilegio, invece, ammetteremmo che tutti i pianeti hanno la stessa importanza. E allora qualcuno potrebbe supporre che il Bianco abbia creato altre specie autocoscienti, altri figli, importanti quanto noi ora ci consideriamo e forse anche di più. Ma se non siamo i suoi figli prediletti, fors'egli non è poi così interessato al nostro destino. Forse non se ne interessa affatto, e allora perché sforzarsi di seguire la retta via, se alla fine il promesso premio non è assicurato? Se le scritture mentono su così tante cose, perché non ci dovremmo sentire liberi di supporre che mentano anche sull'esistenza del regno eterno o, se non altro, sulle leggi che lo regolano?»
Eccolo! Quello era il punto, il motivo reale. Sì, adesso ne era convinto. Doveva continuare, nonostante le lacrime di Mayayo scorressero sui suoi ricordi.
«Immagino mi abbiate rivelato ciò perché siete convinto che io collaborerò» disse.
Ammufert spalancò gli occhi, sorpreso. Poi il suo volto fu solo rabbia e le sue iridi dardi tesi a trapassargli il cuore.
Quella medesima ira si agitava in lui, sotto la maschera ben approntata per il processo che si tenne di lì a otto giorni. Le genti comuni miravano timorose ai duellanti e alle loro armi poco comprensibili. Le autorità più illustri della chiesa facevano lo stesso, sebbene con maggiore consapevolezza. I radi sostenitori delle posizioni di Barugat, schivi e sfuggenti, si mescolavano tra la folla a celare il proprio stato d'animo, il loro mordersi le labbra a ogni frustata della pomposa arringa del gran sacerdote. Non c'era speranza di opporre ragione all'intenzionale cecità della fede, né di muovere a compassione il giudice, che dir di parte era palese eufemismo. E tutto, difatti, avanzò secondo i binari prestabiliti, in quella farsa che la chiesa osava definire processo.
«Signori, abbiamo udito le accuse rivolte al qui presente Barugat Uder Amigdal e le giustificazioni di quest'ultimo. Che l'imputato sia colpevole di eresia e spergiuro è cosa ovvia, e le parole tese a sminuire la gravità di tale fatto sono solo dimostrazione dell'intendimento del suddetto imputato a non voler abbandonare l'erronea via.
«Non ci siamo fatti confondere dalle acute quanto vuote argomentazioni presentate a sua discolpa, ma il perdono è grande dote per ogni uomo timorato di dio, come il Bianco Padre ci insegnò.
«A te, Barugat Uder Amigdal, perciò chiediamo se il pentimento ha trovato posto nel tuo cuore, se il Maligno ha ingoiato ogni tua purezza o se c'è in te la residua forza per opporti alle sue tentazioni. Barugat Uder Amigdal, rifiuti tu le tue tesi eretiche e ne fai pubblica censura?»
L'astronomo piegò la bocca in un mesto sorriso. Gettò un'ultima occhiata alla figlia, che attendeva come una corda di violino ben registrata. Avrebbe pianto, se ciò non avesse potuto dare l'impressione di timore o insicurezza. Cercò invece le ultime forze per piantare gli occhi sul sommo sacerdote e assunse quell'aria martire e fiera che solo da profondi convincimenti può essere ispirata.
«Io, Barugat Uder Amigdal, sono pronto a morire per ciò che sento e vedo essere giusto! La morsa della chiesa sui nostri corpi non è cosa precetta da dio, e lui medesimo ci dette il libero arbitrio e l'intelligenza per capire la creazione donataci. Leggo paura nei vostri volti, la sento nel vostro ciarlio: voi temete per il vostro potere! Da sempre la chiesa si adopra a ingannare i fedeli con l'immagine di guida e pastore delle loro anime, mentre arraffa ricchezze, influenza le loro decisioni e ne imbriglia le forze a proprio uso e consumo. Sostengo le mie teorie perché esse sono verità, come dio mi ha concesso di verificare. Sostengo la scienza perché essa mira a donarci maggiore comprensione dell'Universo e quindi di dio stesso. Aborro voi, che vi spacciate per suoi rappresentanti, e la chiesa tutta, ch'essa è ciò che di più presso sta al Nero Vuoto e alla sua forza distruttrice! Uccidetemi. Uccidete tutti quelli che stanno nel mio pensiero! Bruciate ogni nostra opera, se è questo che volete! Noi sappiamo che il Bianco Padre ci accoglierà a braccia aperte e ci mostrerà fiero alle schiere delle altre anime, dicendo: "Ecco, questi sono martiri per la mia vera causa! Essi hanno la sola colpa di avere combattuto l'ottusa malvagità di chi abusa del mio nome per il proprio tornaconto!"»
Mayayo boccheggiò in cerca d'aria, mentre girava uno sguardo sui volti sbigottiti dei sacerdoti. Pallidi, essi assistevano a quella decisa denuncia incapaci di reagire, e cercavano con gli occhi la faccia resa paonazza dall'ira del sommo sacerdote.
«Noi, condanniamo il qui presente...»
Le parole si spensero, assorbite dal rombo lontano. Gli occhi andarono a sondare il cielo, in cerca della causa di quel rumore che si faceva sempre più assordante. Guardarono attoniti l'oggetto che si approssimava col suo fragore; lo guardarono guadagnare velocemente forme e dimensioni, mentre si avvicinava.
La navicella oblunga rallentò, fermandosi sopra le teste ambrate degli Amurghi, proiettando su quei volti stupiti la propria ombra. Lentamente, l'oggetto immenso scese a terra con leggerezza di piuma. Il suo rombo caratteristico, ora fattosi sommesso e profondo, a sovrastare un silenzio sbigottito. Le zampe da zanzara si tesero e si appoggiarono con dolce pesantezza, affondando appena nel suolo.
Il cupo rombo da fiera in riposo si estinse, lasciando solo il silenzio. L'attesa prolungò all'infinito quegli istanti, mentre paura e stupore si mischiavano in quei cuori. Lentamente, con clangore metallico e sibilo da decompressione, il portello stagno si aprì.
Erano i maledetti figli del Nero? Erano giunti a reclamare l'anima del loro accolito?
Questo si chiedevano gli Niamodei, mentre le ombre fino a quel momento celate dall'acciaio si rivelavano all'arancia luce del sole; di questo cercavano di convincersi i preti, sconvolti al solo pensiero di altre possibilità. Questo era quello che si ripeteva all'infinito l'ora cadaverico sommo sacerdote, tra un respiro raschiato e l'altro.
Lo sportello si posò al suolo, finalmente, e gli esseri maligni uscirono allo scoperto. Un mormorio incredulo percorse la folla; i preti soffocarono un urlo di stupore e paura. Barugat sorrise, e così fece sua figlia. Volse quel sorriso ai componenti del clero e lo lasciò sparire.
Scolorito e scosso da fremiti violenti, il sommo sacerdote fissava gli esseri scesi dalla nave con occhi sgranati dal più profondo terrore. Asmatici respiri a raschiare la sua gola, a portare il sibilo del suo cuore fuori fase a labbra pallide quanto la morte. Quell'ansito disperato si mutò in gorgoglio profondo, un fremito violento scosse il corpo grasso e lo bloccò in posa spastica. Cadde a terra come statua di piombo, il cuore paralizzato dall'ultima rivelazione. Come potevano i demoni scesi dalla nave avere una pelle tanto bianca e pura?

© Fabio Pontelli





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