Negli stessi anni del D’Annunzio e del Fogazzaro lavorò il Pascoli che i contemporanei unirono con gli altri due in una triade che sembrò allora e per alcuni decenni successivi costituirà l’ultimo grande momento della nostra letteratura.
Giovanni Pascoli nacque a San Mauro di Romagna il 1855.
Dopo l’assassinio del padre avvenuto nel 1867 Pascoli si accostò alle idee socialiste.
A spingerlo verso tali idee vi furono ragioni psicologiche quali la dissoluzione della famiglia, il senso dell’ingiustizia umana provocato dal mancato arresto degli uccisori del padre nonché difficoltà economiche.
Pascoli si iscrisse all’ Internazionale e compose odi anarchiche e partecipò a manifestazioni dopo una delle quali fu arrestato nel 1879.
Rimase alcuni mesi in carcere dal quale uscì sconvolto e smarrito convinto dell’esistenza di una forza superiore che travolgeva allo stesso modo oppressori e oppressi.
Pertanto il Pascoli si faceva fautore di una fratellanza concorde tra tutti gli uomini.
Pascoli è cronologicamente il primo lirico della nuova generazione cresciuto fuori dal Risorgimento nell’atmosfera disincantata delle lotte sociali che seguirono al raggiungimento dell’unità nazionale.
In quel periodo storico la borghesia era fortemente terrorizzata in tutta Europa dalle lotte degli anarchici ragion per cui la borghesia era costretta sempre più alla drammatica scelta tra socialismo e reazione.
Pertanto il socialismo estraneo alla cultura e alle preoccupazioni della generazione di Carducci diventava un tema obbligato un problema sul quale prendere posizione.
Come abbiamo detto in precedenza Pascoli aderì per breve tempo alle idee socialiste ma subito dopo si ripiegò in sé stesso aderendo a un umanitarismo alla Tolstoj caratterizzato da un imperialismo demagogico e da una ideologia colonialista.
Anche Pascoli venne coinvolto alla fine del secolo in quell’atmosfera di fallimento e di liquidazione tipica di quel periodo storico. Pascoli provò quel senso angoscioso di sconfitta della Ragione e dei suoi miti che all’alba del secolo avevano provato i romantici.
Pascoli in un discorso del 1898 scrisse tali parole disperate:” L’Italia è fatta e sui nostri capi passa il presentimento di un disastro: di un disastro che sta per cogliere il genere umano”.
Pertanto era crollato il mito delle magnifiche sorti progressive del genere umano ovvero quel mito del progresso attraverso la tecnica che aveva entusiasmato tutto il secondo Ottocento.
Per dirla in altro modo era crollato il mito positivista della scienza liberatrice del genere umano.
Pascoli metteva in evidenza che la scienza aveva sì saputo perfezionare oltre ogni aspettativa la tecnica ma non aveva saputo ne saprà mai liberare gli uomini dal dolore e dalla morte.
Pascoli inoltre affermava che la scienza aveva spazzato via le illusioni della fede che consolavano gli uomini dal male di vivere e dalla paura della morte.
Di nuovo quindi nel Pascoli si riaffacciavano la disperazione e la malinconia nonché il bisogno di illusioni confortatrici.
Ma questo non era un problema solo del Pascoli ma di tutti i suoi contemporanei dopo tante speranze venute meno dopo tante fedi razionali sfiorite in una situazione storica assai difficile.
Proprio da tale situazione nasceva quella che noi oggi definiamo sgomento esistenziale del vivere ovvero un senso atroce di angoscia.
Pascoli e i contemporanei vivevano nel terrore di un futuro che la Ragione non credeva di poter dominare e che la volontà non sperava di modificare.
Da questa visione angosciata della vita nacque la poetica del Pascoli ovvero quella poetica del “fanciullino”.
Tale poetica non fu la trovata di un poeta incapace di teorizzare razionalmente la poesia ma fu un fatto serio e significativo della nostra cultura.
Tale poetica era imparentata con le altre poetiche del tempo.
Il poeta è per Pascoli un “fanciullino” che alla luce sogna o sembra sognare ricordando cose che non ha mai visto.
Per Pascoli questo “fanciullino” scopre nelle cose le somiglianze e le relazioni più impensate ma non sa cogliervi le relazioni e i legami razionali ne sa più comprendere quelle stesse cose che ha visto o ha sognato.
Pascoli cercò di precisare il rapporto tra questa poetica e la società borghese contemporanea. A tale riguardo riportiamo le parole del Pascoli: "Il poeta si trova tra un sogno e una visione. Egli astrae dal mondo piccolo borghese e si slancia come un falco nelle lande misteriose illuminate dalla calma luce crepuscolare .”
Per dirla in altro modo la poetica del “fanciullino” è una concezione dell’arte considerata come sogno visione attrazione.
L’arte non è uno strumento per conoscere il reale ma senso di angoscia mistero ebrezza e sgomento del libro del mistero che l’uomo sfoglia invano.
Per Pascoli l’artista deve rinunciare a una poesia che si radichi nella storia ma deve concentrarsi su una poesia che si collochi fuori dal tempo per confortare non solo il poeta ma tutti i lettori.
Pascoli conservò ancora l’aspirazione a una poesia che fosse conforto non soltanto al poeta ma a tutti gli uomini.
Tuttavia Pascoli come tutti i suoi contemporanei cercò questa dimensione sociale della poesia non nei suoi temi o contenuti ma solo nel suo essere “poesia” nella sua capacità di spalancare agli occhi e alle menti degli uomini un insieme di impressioni di immagini di favole meravigliose ingenue che l’uomo comune non riesce più a percepire.
Per Pascoli questo è il compito e la missione del fanciullino- poeta.
Possiamo dire che quella del Pascoli è una poetica decadentista della consolazione .
In pratica essa era la sola poetica che fosse ancora concessa a chi non sapeva più guardare il mondo con gli occhi della Ragione .
Pascoli era costretto a riservare alla poesia una zona limitata di affetti domestici di moti interiori di sensazioni provenienti da un mondo di ombre. Su registro psicologico e tematico del tutto diverso la poesia di Pascoli è sostanzialmente “decadente” come quella di D’Annunzio.
La poesia di Pascoli non è una costruzione regolata dall’intelletto e dalla morale ma è un turbinio di impressioni uno sfavillio di immagini e un gioco accorto di parole preziose. Il Pascoli fra i suoi contemporanei fu quello che più e meglio di tutti ripudiò e dissolse gli schemi costruttivi ed oratori propri dell’Ottocento.
La sua poesia è capace di cogliere ed esprimere le impressioni fugaci e tenui di un animo moderno posto davanti ad una natura misteriosa caratterizzata da simboli arcani e relazioni simboliche.
Il poeta nella sua opera cantò contenuti diversi e contrastanti.
Egli invitò gli uomini a una pietà fraterna davanti al mistero e alla morte ma esaltò anche la guerra d’Africa.
Pascoli nella sua poesia avvertì vivamente i mali sociali e pensò di trovarvi rimedio nell’emigrazioni e nelle conquiste coloniali.
Egli altresì tentò una poesia cosmica e aprì la via alla poesia crepuscolare delle piccole cose.
Pascoli in definitiva creò una sensibilità nuova e si illuse di rifare i classici.
Egli volle essere georgico ed epico, familiare e fantascientifico simbolista e sentimentale.
Nella sua poesia sono presenti visioni agghiaccianti di catastrofi astrali ma anche impressioni tenere di cieli piante ed uccelli.
Pascoli riuscì a descrivere ed esprimere immaginazioni cosmiche sul mistero dell’universo ma restò anche legato a quella sua vicenda familiare.
Il complesso e variegato mondo interiore del poeta lo troviamo espresso in Myrica .
In tale opera egli compì uno sforzo per lo più riuscito di cogliere il mondo della natura con una sensibilità nuova senza lo schermo della lirica tradizionale caricando le umili cose dei campi di simboli vaghi in grado di dare loro un rilievo significativo .
A Myricae seguirono altre opere tra le quali riteniamo opportuno ricordare i Canti di Castelvecchio , i Poemi Conviviali Odi e Inni Poemetti e Poemi del Risorgimento .
È difficile riscontrare nelle opere del Pascoli una linea evolutiva.
Tuttavia nell’opera del Pascoli è possibile riscontrare una sostanziale coerenza che non presenta nessuna crepa.
Documento della coerenza sostanziale del Pascoli la sua opera va ricondotta di qualsiasi genere essa sia ai tratti di psicologia e di ideologia che caratterizzarono la sua personalità.
Molto utili a far penetrare nell’intimo dello scrittore sono le Opere in latino di Pascoli.
In tali opere il Pascoli si rivela lettore finissimo ma incapace di leggere storicamente i testi latini che egli prende in considerazione.
Il poeta tende a trasportare sempre nel suo mondo gli autori latini che egli studiò.
Di conseguenza Virgilio e Catullo o un epigramma di Marziale diventano per lui contemporanei, proiezioni anch’essi della sua sensibilità del suo gusto.
Molto significativa è altresì l’interpretazione che il Pascoli diede del mondo antico nei suoi carmi e nei suoi poemetti latini.
Particolarmente importante è la lettura che il Pascoli diede specialmente del mondo romano nel periodo in cui esso si dissolveva corroso dal nascente Cristianesimo.
Cosa possiamo dire delle opere in latino del Pascoli?
Esse pur nella loro struttura compositiva di “poemetti” presentano una caratteristica pregnante dal momento che in esse è sempre presente la capacità di cogliere sfumature psicologia sottile.
Per dirla in altro modo nelle opere in latino del poeta sono presenti particolari illuminanti e moti vaghi dell’animo con una tecnica che è la stessa delle sue opere in italiano.
Detto ciò riteniamo di aver descritto la complessa e variegata personalità del Pascoli che risulta chiaramente presente in tutta la sua opera.