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Lo spagnolo senza sforzo
di Gabriele Pedullà
Pubblicato su SITO
Anno
2009 -
Einaudi
Prezzo €
14.00 -
181 pp.
ISBN
9788806196240
Una recensione
di
ALBERTO VOLPI
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“La vita è fatta così, non puoi prevedere ogni cosa”: potrebbe essere questa la battuta introduttiva per i personaggi dei cinque racconti di Gabriele Pedullà. Prevalentemente giovani, romani, di più che buona condizione economica, “a cui è andato sempre tutto troppo liscio”, le loro vicende quotidiane incappano, talvolta per scelta talvolta no, nell’imprevisto. Nei primi due racconti (Miranda, Armoniosa e risonante) si tratta di accidenti di comunicazione. Due compagne di Università fanno shopping in centro, una di loro è cieca: un problema, certo, ma anche un’opportunità per descrizioni attente degli oggetti, un confronto con “un’idea tutta privata dei colori”, metaforica ma stimolante. L’inghippo capita quando Stefi si benda ed entra nel territorio buio di Miranda, andando incontro al panico e all’incertezza su ciò che accade tra loro. Quanto ai due ragazzi in vacanza a Stromboli, lei è tedesca e non conosce altre lingue, mentre lui, italiano, non conosce affatto il tedesco; proprio così nasce un linguaggio comune dei segni corporali che “li avvicina piuttosto che allontanarli”. Ma anche qui Lele vuole forzare le giuste distanze insegnando la sua lingua a Ulla e procedendo verso un ribaltamento dei rapporti di forza che lo spiazza. Nell’ultimo racconto, che dà il titolo alla raccolta, Mario non rispetta la lingua, che vuole imparare con massima passività e desiderio di sfruttamento economico, ed ecco che essa si vendica impadronendosi di lui nel finale più metafisico dell’intero libro. Dal terzo racconto in poi i finali diventano più drammatici, forse perché i protagonisti provocano il caso cercando di dominarlo. I ragazzini di Valle della morte, che salgono e scendono dagli autobus per una fermata, la coppia di Ritiro bagagli che scambia sistematicamente le valige altrui alla ricerca di biografie da saccheggiare. Già Stefi e Miranda bendando si scambiavano i ruoli, Lele metteva linguisticamente a soqquadro il corpo di Ulla e Mario recitava una parte in spagnolo: invadere i campi, disordinare il reale, giocare con il caso conduce al pericolo o a un ritorno del rimosso, come nel finale di Ritiro bagagli, personalmente il più bello. Il ragazzino corre nel traffico “senza contatto con la terra proprio come nei sogni”, a Mario “sembra di aver già vissuto quella scena”, Michele ama Mara “come se lei non fosse Mara e lui non fosse Michele”. Questo leggero sfasamento muove in un fuori fuoco affascinante lo stile del testo. La lingua è infatti omogenea ma segue il pensiero dei protagonisti oppure risulta sensibile al paesaggio reso con pochi tocchi: s’allunga e divaga nell’indefinita vastità delle periferie, s’increspa appena più lirica nella luce delle Eolie. Un’atmosfera mai esplicitata di nostalgia transita sui ragazzini, che crescono mettendosi alla prova con il caso (“Jacopo che da quando è alle superiori non gioca più con noi e studia tutto il tempo”), i giovani per i quali la vacanza porta via tutto il resto dell’anno, la coppia quarantenne che riempie con i viaggi la propria mancanza di maturità (“sembrano tutti e due più giovani dell’età che stava scritta sui loro passaporti”). Al termine la sensazione che nella vita poco si dia senza sforzo e che quel poco si disperda in fretta senza il dovuto rispetto ai suoi codici.
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ALBERTO VOLPI
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