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L'Eroe
di Enrico Solmi
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I 

“Così va meglio! Molto meglio! Questo Dick Deckard mi piace, mi piace il suo stile!”

Un ghigno di soddisfazione si dipinse sulle labbra di Chester Gordon, mentre stringeva tra i denti il suo ammorbante sigaro. Era il suo unico vizio, diceva. Ne fumava uno al giorno. Avana.

“Mia moglie mi impedisce qualsiasi scappatella, ma qui in ufficio, almeno un sigaro me lo permetto! Anche se con tutte queste norme antifumo…”

Chester osservò con soddisfazione il grande anello di fumo appena prodotto e sorrise compiaciuto. La sua dentatura era bianchissima. Al suo fianco, Lee annuiva, stringendo gli occhietti a mandorla. Sembrava il nipotino preferito. Chester gli appoggiò una mano sulle spalle e si lisciò la curatissima barba, facendo cadere alcune briciole della lauta colazione sulla scrivania.

“Sono sicuro che voi due formerete un team vincente, Philip. Ci voleva per modernizzare il tuo stile, la tua immagine. Non dico che eri in declino, ma avevi sicuramente bisogno di uno stimolo. E Lee te ne darà in abbondanza.”

Distolsi lo sguardo cercando di pensare ad altro, ma lui si avvicinò sospirando, e continuò a parlarmi di Dick.

“Avanti, Philip, non assillarmi, hai fatto la cosa giusta: Roger non era più allineato, era un peso. Doveva essere eliminato. Non avere rimpianti…” mi disse paterno.

Non ne potevo più. Gli sputai addosso tutto il mio livore.

“Tu mi hai costretto a farlo, io ero contrario! Chiamami sentimentale, ma io la penso così!”

Il mio urlo si smorzò sul suo volto impassibile. Chester continuò a parlare, ignorando le mie rimostranze, mentre Lee mi guardava, malizioso. Li lasciai fare: il mio pensiero andava a Roger… E a Dick.

La massiccia figura di Dick compare all’improvviso. Tyrrel lo vede e, imprecando, punta l’arma contro di lui.

“Attento Dick, ha un’arma!”

Prima che Tyrrel possa nuovamente sparare, Tracy riesce a liberarsi e parte con un calcio all’inguine che manda Tyrrel lungo disteso a contorcersi. Poi gli è subito addosso. Il volto scavato di Tyrrel è attraversato da fremiti di rabbia. La cicatrice che gli percorre buona parte del glabro cranio, sembra muoversi come un lungo serpente. Sputa a terra, vomitando frasi incomprensibili, in un idioma misto di russo e tedesco. Il corpo flessuoso di Tracy si staglia sopra di lui. Il confronto è impietoso: lei inguainata nell’uniforme aderente, che mette in risalto le sue generose forme e i muscoli guizzanti; lui, alto, dinoccolato, scheletrico, i denti sporgenti e l’enorme cicatrice. L’angelo e il demonio. Tracy alza una gamba e minaccia Tyrrel con uno dei suoi tacchi acuminati. Dick si chiede come faccia a muoversi con tanta agilità su quegli stiletti, armi micidiali che lei usa con estrema abilità.

“Avanti, puttana, uccidimi, falla finita!” urla Tyrrel.

“Mi piacerebbe proprio, tesoro!” risponde Tracy premendo la suola dello stivale sulla faccia di Tyrrel e puntandogli il tacco alla gola “Dammene solo il motivo!”

“Fermati, Tracy: i russi lo vogliono vivo!” urla Dick raccogliendo la micidiale pistola a raggi di Tyrrel “Questo figlio di puttana sa molte cose e dovrà parlare. Anche su questa strana arma con cui ha colpito Roger. A proposito, come sta?”

“Temo che sia morto, Dick!”

Dick guarda di sfuggita il corpo supino del povero Roger, buttato in un angolo.

“Chiama un’ambulanza e avverti che il reattore nucleare deve essere stabilizzato. E che abbiamo Tyrrel. Vivo!”

Tyrrel cerca di divincolarsi dalla presa di Tracy, ma riesce solo ad alzarsi sulle ginocchia.

“Bastardi! I russi mi vogliono far tacere. Conosco troppo cose e adesso sono un ostacolo per loro. Mia moglie è morta nel gulag per nulla. Voi americani non potete capire, ma non finirà qui, statene certi!”

Dick afferra Tyrrel per la gola.

“Sei tu che non capisci, Tyrrel. Hai ucciso troppi innocenti e devi pagare. Non m’importa il motivo, non piangerò di certo!”

Dick aiuta Tracy a sollevare Tyrrel. Mentre escono lei gli lancia uno sguardo d’intesa.

“Hei Dick, stai attento! Se stanotte mi punti l’arma, rischi anche tu!” dice ridendo.

“Mi piace il sesso violento!” ribatte lui.

Finalmente ero fuori. Guardai quella pomposa etichetta affissa sulla porta. Ieri, dopo la mia burrascosa uscita, aveva oscillato a lungo, ma ostinatamente era rimasta nella stessa posizione. Come Chester. 

“Roger Raymond è antiquato, ormai gli eroi integerrimi non sono più di moda, le vendite stanno crollando. Non possiamo ancora ambientare le storie negli anni cinquanta, siamo nel duemila, la storia è cambiata. Modernizza, inventa un nuovo personaggio… Voglio più sesso, più ambiguità, più provocazioni, dialoghi coloriti… Pensaci su, e scrivimi un soggetto di un paio di cartelle, non di più. Sguinzaglia il tuo genio: non sei stanco di scrivere sempre le stesse cose? Chiameremo Lee a inchiostrare: è al passo con i tempi e piace un sacco ai ragazzini.”

Steve Lee. Quel nano con la frangetta. Aveva sì e no vent’anni e già guadagnava dieci volte me. Per forza piaceva ai ragazzini, con quelle donne dai seni spropositati che disegnava.

“Se ne va di già, signor Philip?”

Jane, la segretaria di Chester, mi sorrise vacuamente. Assomigliava un po’ alle eroine di Lee. Le faceva tutte uguali: stessa faccia e stesso corpo. Aggiungendoci un tocco di fantasia malata. Un tempo non avevamo bisogno di certi ammiccamenti. Io e John inventavamo una storia più bella dell’altra. Mi avviai cupo verso l’uscita. John era al distributore di caffè e accennò ad un saluto. Era invecchiato.

“Scusami se non posso fermarmi a chiacchierare, Philip, ma devo finire di correggere il lettering. Chi lo sente, poi, Chester?”

Povero John. Quella era la fine che avrei potuto fare anch’io. Uscii all’aperto e una folata di vento gelido mi sferzò il volto. Rabbrividendo, serrai il cappotto e mi affrettai verso casa. 

Dopo una notte insonne nacque Dick. E morì Roger. Ma non riuscivo ancora a dimenticarlo, era parte di me stesso, ormai.

“Aiuto Roger, salvami! Tyrrel mi vuole uccidere!” grida Tracy, mentre Tyrrel la trascina, legata, verso il reattore nucleare.

“Non mi fermerai Raymond, stavolta la vittoria sarà mia! Una volta che il nocciolo si sarà riscaldato…”

Tyrrel termina la frase con una terribile risata che impaurisce ancora di più la povera Tracy. La sua minuta, ma graziosa figura, contrasta con quella alta, nera e storpia di Tyrrel, dallo sfigurato volto glabro.

“Sono stato il più temuto agente della Stasi, la polizia segreta della Germania comunista.” urla “Il muro è crollato, ma se faccio saltare la centrale atomica di Berlino Est, capiranno che non sono ancora finito.”

“Ti amo Roger, ti ho sempre amato!” si dispera Tracy “Ora che sto per morire, posso confessartelo!”

In quel momento la possente figura di Roger compare sulla porta e fissa Tyrrel con aria di sfida. Una strana arma compare all’improvviso nelle mani del terrorista, una pistola da cui partono micidiali raggi. Roger, incurante del pericolo, si avventa su Tyrrel, urlando:

“Ti salverò Tracy, anch’io ti amo!”
 

II

…Vi pentirete di avere fatto morire Roger!

Il biglietto finì appallottolato dall’altro lato della stanza. “Maledizione a quella lettera!”

Dick é steso nel letto e si agita.

“L’operazione DRAGO ROSSO é andata ottimamente in porto, Roger giace morto e non rappresenta più un problema, ma ancora non mi riesce di prendere sonno. Maledizione!” rimugina Dick.

Annaspando, allontana le coperte zuppe: il suo torace scolpito brilla alla tenue luce lunare che attraversa la finestra.

“L’estate sta finendo, ma sembra decisa a vendere cara la pelle: il letto pare un forno e per spostarsi in questa stanza bisogna nuotare, tanta è l’umidità!”” scherza tra sé e sé.

Si alza e si dirige al balcone. Il fisico statuario si riflette languidamente nei vetri.

“Non sono mai stato così in forma.”

Il suo sguardo si rivolge a Tracy, distesa nel letto, con il lenzuolo che le copre lo stretto necessario. Sorride. Torna a letto e inizia ad accarezzarle i capelli sparsi, il viso e poi più giù, verso l’abbondante seno.

“Mhhh… Dick, ma non ne hai mai abbastanza…”

“Devo stare in continuo allenamento se voglio competere con te!”

Dick sorride, mentre Tracy torna ad addormentarsi. Poi il suo sguardo cade sul comodino, sopra cui è appoggiata una lettera.

“Maledetta lettera! Anche da morto Roger mi sta procurando dei fastidi: in giro ci sono ancora numerosi suoi amici fedeli, devo stare in guardia. Comunque non é certo colpa mia se quel fesso idealista si é fatto uccidere. Non avrebbe nemmeno dovuto partecipare all’operazione, non dopo essere venuto a sapere di me e Tracy…”

Un rumore soffocato lo distoglie dai suoi pensieri. Dick si alza di scatto, guardandosi attorno. Cerca di afferrare la pistola sul comodino. Un piede gli rimane avviluppato nel lenzuolo e con un tonfo terrificante cade sulle ginocchia…

“No!”

Dick si alza di scatto e, senza guardarsi attorno, afferra la pistola sul comodino. Nella foga inciampa e per evitare una rovinosa caduta si afferra alla porta che si chiude sulle sue dita…

“No! Così non va!”

Dick si alza di scatto e afferra saldamente la pistola sul comodino. Si gira verso Tracy, ma lei non c’è più. Altri rumori, provenienti dall’ingresso, lo indirizzano nel corridoio.

“Quel maledetto Roger.” pensò “Mi perseguita anche da morto!”

Esasperato, urla nel buio.

“Chi sei, maledetto? Chi ti manda? Adesso vengo lì e ti ammazzo!”

“No! Fai schifo, maledetto Dick Deckard!”

Dick si alza di scatto e afferra la pistola sul comodino. Si gira verso Tracy, ma lei non c’è più. Corre verso il corridoio. Un bagliore accecante gli esplode davanti. D’istinto chiude gli occhi e si ripara dietro la porta. Può sentire il cuore rimbombargli nel petto.

“Devo aprire le palpebre, anche se mi fanno male…”

Stringe gli occhi e irrompe nel corridoio, pistola spianata, lanciando il grido di battaglia che gli aveva insegnato il suo vecchio maestro. Barcollando, si puntella saldamente con le gambe al pavimento e, puntando l’arma a caso, cerca di dare un senso alla miriade di puntini luminosi che gli danzano davanti. Il corridoio sembra sempre lo stesso e la porta d’ingresso è ben chiusa. I muscoli tesi si rilassano, ma i sensi acuti captano un rumore proveniente dalla finestra della camera. Si precipita immediatamente verso il terrazzo. Un gatto miagola in lontananza. La luna riflette sempre la sua immagine sui vetri. Abbassa la pistola, osservando la sua possente figura, ma in quel momento il suo riflesso solleva l’arma, la punta verso di lui e fa fuoco, in una esplosione di vetri infranti.

“Basta, non ne posso più! E’ la quarta volta che riscrivo il pezzo! Lo odio Dick Deckard!”

Afferro la matita e colpisco violentemente lo schizzo di quest’ultima scena.

“Così ti voglio, sbudellato, con tutti i circuiti che fanno scintille, con gli occhi che schizzano fuori dalle orbite, con…”

Afferro la matita e il foglio e li butto per terra, calpestandoli con i piedi. Poi prendo l’accendino e gli do fuoco. Osservo la scena soddisfatto.

“Brucia, maledetto. Questa storia è immondizia ed è tutta colpa di quell’imbecille di Chester!”

“Guarda questa lettera, Philip, ne sono arrivate a centinaia simili a questa!” si era lamentato Chester nel pomeriggio.

…Ma come vi siete permessi di far sparire Roger Raymond in modo così assurdo, dopo tutti questi anni e senza alcun preavviso! E soprattutto di aver introdotto quell’energumeno tutto muscoli di Dick Deckard e trasformato la dolce Tracy in una specie di virago? Si è per caso fatta la plastica al seno? Non sarebbe stato meglio rifondare il personaggio di Roger? Non comprerò più i vostri fumetti, e così faranno molti altri, vi pentirete di avere fatto morire Roger!

“Dobbiamo rimediare, facciamo tornare Roger.” aveva continuato Chester con quella sua faccia di bronzo “Potremo dire che Dick è in realtà un androide, che deve essere eliminato perché non risponde più bene agli ordini. Il cervello di Roger potrebbe essere stato trasferito in una copia di Dick, che poi successivamente potrebbe uccidere il primo Dick e prenderne il posto. In questo modo Roger continuerebbe le sue avventure nel corpo di Dick. Sì, credo che sia un’ottima idea! Trasferiscila su carta!”


III

E’ l’animale più vigliacco del mondo. La ghermisce alle spalle, di notte, con occhi fiammeggianti. Le arriva addosso, velocissimo, e Tracy non può farci nulla. E’ lì, dietro di lei, può sentirne il fiato sul collo, i suoi occhi sinistri puntati contro. Per quanto Tracy cerchi di correre veloce, lui non la lascia andare. Non si decide ad attaccarla. A volte Tracy rallenta per prendere fiato e lui, allora, si distanzia leggermente; poi Tracy riprende a correre e lui le torna vicino, a tormentarla. I nervi iniziano a cederle. Suda e impreca, ma quel maledetto rimane lì, a pochi centimetri. Improvvisamente i suoi occhi paiono farsi più luminosi, quasi volessero ipnotizzarla. Tracy, esausta, si ferma, attendendo il colpo finale. Inaspettatamente, lui la supera e con un guizzo sparisce nella notte. 

Dentro la sua corazza si sente forte, potente, il Signore Incontrastato. Il vigliacco si nasconde dietro la forza. Corre veloce nella notte, soddisfatto del terrore che ha seminato, ma la sua fuga termina quando, davanti a lui, si staglia la possente figura di Dick Deckard. Anche Dick indossa una corazza, molto più grossa e potente della sua. La bestia confida smodatamente nella sua velocità, ma non può nulla contro Dick. 

Estraendo il corpo da quello che resta dalla sua lucente e sinuosa armatura, lui non sembra più così arrogante. Arriva Tracy. Dick osserva la scena scuotendo la testa.

“E’ la dura legge della giungla d’asfalto: nessuno è al sicuro. Nemmeno tu!”

Non fare come lui, ascolta il consiglio di Dick Deckard. Modera la velocità sulle strade, non compiere manovre pericolose per te e per gli altri, combatti le corse clandestine, non bere prima di guidare, aiutaci ad fermare i pirati della strada. Ogni anno si contano migliaia di morti per incidenti stradali, e il prossimo potresti essere tu!

IV

“Philip, ti stavo giusto cercando. Vieni, ti offro un caffè.”

Mi trovavo ancora a cinquanta metri dal distributore automatico quando John, con ampi gesti, mi invitò ad avvicinarmi. Il bicchiere fumante mi arrivò in mano prima ancora che potessi fermarmi.

“Se non c’è abbastanza zucchero prenditi una di queste bustine: so che a te piace dolce.”

“Veramente in questo momento preferirei un bourbon”, biascicai cercando di sfuggire alla sua presa.

John viveva accanto al distributore di caffè. Lo incontravo sempre lì, quasi in attesa del mio passaggio. Sorrise, mettendo in mostra i denti gialli. 

“Ti voglio leggere l’inizio del redazionale di presentazione del nuovo albo di Dick Deckard.”

John iniziò ad armeggiare con alcuni fogli stropicciati che teneva in mano.

“- Gentile redazione…-” iniziò “No, questa è una lettera!”, disse stizzito, riprendendo a rovistare nervosamente tra i fogli.

“Eccolo! Senti… - Vi siete ripresi dalle emozioni dell’albo precedente? Se il mese scorso ha rappresentato una svolta epocale nella storia di Roger Raymond, e non solo per l’arrivo del mitico Steve Lee, questo mese non sarà da meno. Preparatevi ad un’altra girandola di emozioni. Aspettiamo, come sempre, i vostri commenti in proposito.- Che te ne pare, Philip?”

“Certo, John…” risposi imbarazzato “Molto… adatto, io…”

Mi afferrò per un braccio. Le mani gli tremavano e gli occhi erano arrossati. Usava ancora quel terribile dopobarba.

“E non è tutto, Philip. Sto pensando di scrivere una rubrica sulle armi di Dick Deckard: l’ho già proposta a Chester e lui sembra disponibile.”

In quel momento arrivò Chester. Era accompagnato dal sorridente Lee. John staccò immediatamente le mani dal mio braccio.

“I miei due ragazzi preferiti! John, sai che sono arrivati quintali di corrispondenza su Dick Deckard? Credo che inserirò una pagina supplementare di posta.”

John abbassò lo sguardo.

“E la mia rubrica? Io pensavo…”

“Meglio se riprendi a lavorare, John, rischi di fare notte.”

John si allontanò senza ribattere, lanciandomi una occhiata torva. Chester rivolse verso di me la sua attenzione.

“Sai, Philip…” attaccò “Steve ha pensato di modificare leggermente la tua ultima storia su Dick. Piccoli ritocchi, giusto per adattarla al suo stile, perché la storia è già ottima in sé. Ma il nostro pubblico è formato da ragazzini e loro non vogliono troppe riflessioni, troppa malinconia. Dick non è Marlowe, e tu non sei Chandler!”

Quel maledetto Lee continuava a sorridere. E non parlava. Non l’avevo mai sentito parlare. Chester si mise un sigaro in bocca e Lee prontamente glielo accese. L’aria stava diventando pesante. Non provai nemmeno a ribattere. Troncai la conversazione e salutai, lasciando  Chester ai suoi vaniloqui. Feci una lunga passeggiata, sostando in numerosi bar. Questa storia di Dick Deckard aveva acuito il mio bisogno di bere. Nell’ultimo locale non mi volevano nemmeno servire, tanto ero sbronzo. I due baristi cercarono di spiegarmi, con le buone, il loro rifiuto, ma al mio tentativo di afferrare la bottiglia, mi ritrovai a ruzzolare sul marciapiede. Tentai di alzarmi, ma le gambe non mi reggevano. Allora mi sentii sollevare e un’ombra mi parlò, da molto lontano.

“Andiamo Philip, ora ti aiuto io.”

C’era uno strano odore nell’aria.

“Caro Roger, mi chiamo Alex, e tu sei il mio eroe preferito. E’ fantastico come tu sia riuscito a vincere la morte e pur paralizzato riesca a manovrare tutti quegli androidi con il tuo cervello. Questo dimostra come la mente, e non il corpo, sia la nostra parte fondamentale. Ma toglimi una curiosità: come fai ora con Tracy? Sai cosa intendo! Utilizzi gli androidi anche in quel caso?”

Alzai gli occhi dalla lettera e mi tolsi gli occhiali. Dovevo bere. Feci scorrere le ruote e girai la sedia a rotelle dirigendomi verso il mobile bar. Ormai ero diventato molto abile a manovrare la mia due ruote. Un vero fenomeno, un super eroe. Come Roger, dirigevo tutte le operazioni dal mio studio, anche se si trattava solo di rispondere alle lettere e fare promozione. Bevvi un bicchiere e me ne riempii un altro. Non riuscii a tenere ferma la mano e un po’ di bourbon si rovesciò sulle mie inutili gambe. Gettai a terra il bicchiere, imprecando. Solo l’alcol riusciva a farmi dimenticare il ricordo dei terribili colpi alla schiena che mi avevano ridotto in questo stato. O forse a farmeli ricordare di nuovo. Una voce mi giunse come un’eco, mentre nell’aria aleggiava l’odore di un dopobarba da quattro soldi.

Maledetto Philip! Questi sono per Roger, per come l’hai ucciso. Era una mia creatura, anche se te ne sei sempre attribuito tutti i meriti. L’idea era mia. E adesso mi ritrovo a rispondere a stupide lettere! Ora la pagherai!

Avevo ancora le allucinazioni. Povero John, in fondo il suo scopo lo aveva ottenuto: Roger era resuscitato, anche se solo a metà. E lui… Di lui non avevo più notizie da tempo, ormai. E non volevo nemmeno averne.

Era ora di tornare al lavoro. Mi misi al computer e iniziai a battere la risposta.

“Caro Alex, ti rispondo dal mio posto di comando, mentre Dick Tre è fuori con Tracy per un controllo di routine. Per adesso la situazione è abbastanza tranquilla, ma tu sai che il Male è sempre in agguato. Non preoccuparti però, finché avrò un soffio di vita nel cuore, voi tutti potrete stare tranquilli. Per quanto riguarda Tracy, si tratta della mia vita privata e quindi preferisco mantenere il segreto. Ma posso confessarti che finora lei è sempre stata soddisfatta!”

V

… E poi sarebbe il caso di eliminare questa assurda messinscena su Roger Raymond che risponde dal suo rifugio. Capisco che possa far presa sui lettori più giovani, ma credevo che la rivoluzione Dick Deckard avesse lo scopo di allargare il parco lettori, per conquistare un pubblico più adulto. Basta con i vecchi fossili come Philip Parker: è patetico. Date più spazio a giovani autori promettenti come Osborne…

Ogni volta che rileggevo quella lettera stavo peggio. L’iniziale amarezza si era ben presto trasformata in dolore. Ogni parola diventava uno stiletto maligno che  attraversava la metà sensibile del mio corpo. L’ascensore si fermò all'improvviso. Uscii, il foglio di carta sgualcito in mano. Mi investì una luce fredda, che sopraffece tutti i miei sensi. Il dolore divenne sordo. Premeva per uscire, non più nascosto nella penombra, e la luce sembrava catalizzare la sua espansione. Jane mi venne incontro, allarmata.

“Signor Philip, che sorpresa. Perché non ci ha avvertito della sua venuta? Il signor Gordon è impegnato, ora…”

Tracy si erge davanti a Roger. Vista dal basso della sua sedia a rotelle, Tracy le sembra ancora più alta.

“Che cosa succede, Roger? Perché sei qui? Dov’è Dick?”

Roger la guarda sornione.

“Nessun androide, dolcezza. Oggi gioco io!”

“Fa lo stesso. Aspetterò qui fuori.” risposi brusco, avanzando verso la porta dell’ufficio di Chester. Jane si affrettò a sbarrarmi la strada.

“Il signor Gordon non può riceverla!” trillò.

“Ho detto che non mi interessa. Aspetterò finché non si libera. Visto che al telefono non è mai disponibile, gli parlerò di persona.”

Jane non si spostava. Il colore del suo viso stava assomigliando sempre più a quello del suo vestito. La bocca, adornata anch’essa di un rosso squillante, mi accecava con il suo continuo movimento, facendomi venire voglia di farle ingoiare la lettera che tenevo in mano.

“Che cosa vorresti fare, maltrattare un invalido? Sono stanco delle sue menzogne! Prova a fermarmi se riesci: io entro lo stesso!”

Tracy resta ferma, indecisa sul da farsi. Roger ne approfitta e, sopra la sua massiccia sedia a rotelle, si lancia verso la porta. Poi preme un bottone e un razzo esce da sotto i suoi piedi ed esplode contro la porta, squarciandola. Entra avvolto nel fumo e li trova.

“Che diavolo stai facendo qui, Philip?” mi urlò Chester.

La luce all’interno dell’ufficio era ancora più forte. Al fianco di Chester stava il sorridente Lee, insieme al suo nuovo assistente, il promettente Osborne. La critica lo definiva un genio, un rivoluzionario, l’inventore di un nuovo linguaggio. Al contrario di Lee, alto, magro e  terribilmente loquace.

“Philip, che piacere! Ti volevo giusto parlare a proposito del prossimo numero. Ho bisogno della tua memoria storica.”

Osborne cercò di blandirmi. Lo ignorai.

“E loro che cosa fanno qui? Per loro trovi tempo e per me no?” sibilai. Le scariche di dolore raggiunsero le mie mani, costringendomi a scagliargli contro la lettera, ormai ridotta ad una palla.

“Che cosa vuoi ancora?” mi rispose raccogliendo la pallottola di carta “Ti ho fatto un favore, dandoti ancora la possibilità di lavorare, in nome della nostra amicizia e di quello che ti era successo. Ma ti ho spiegato che ormai lettere come questa arrivano di frequente: il target sta cambiando e la tua rubrica è obsoleta!”

Mi avvicinai alla scrivania, tremante. 

“Adesso vattene!”

Lee continuava a sorridere.

“Dobbiamo lavorare!”

I suoi denti risplendevano, abbacinanti.

“Philip, non costringermi…”

Dovevo spegnerli, mi impedivano di pensare.

“Philip, che cosa…”

Io volevo solo l’oscurità, il buio riposante.

“Philip, no! Jane!”

“Il capo dell’Agenzia è sotto l’influsso dell’alieno. Ho poco tempo per agire” pensa Roger. 

L’alieno lo fissa. Sorride, sicuro di sé. Prima che i raggi ipnotici dell’alieno colpiscano anche lui, Roger estrae il coltello che gli aveva regalato Tracy e lo colpisce alla gola.

Regalai un sorriso nuovo a Steve Lee, rosso scarlatto, proprio sotto a quello che ostentava in continuazione. Cadde a terra senza emettere un suono: non avevo mai sentito la sua voce, e mai più l’avrei sentita. Gettai a terra il fermacarte insanguinato. Chester e Osborne mi guardavano terrorizzati, in un angolo. Jane era sulla porta, paralizzata. Sospirai, spegnendo quella maledetta luce. Il dolore era cessato, l’oscurità e la pace ora mi avvolgevano.

Roger sorride soddisfatto. Il capo dell’Agenzia e Tracy lo fissano straniti.

“Tra poco l’effetto della trance svanirà, e allora mi ringrazierete. Roger Raymond è tornato e ancora una volta ha salvato il mondo!”

© Enrico Solmi





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