Appare sempre arduo rivisitare la storia d’amore vissuta da personaggi spesso segnati dal “male di vivere”, soprattutto nel caso di Pitigrilli ed Amalia Guglielminetti, protagonisti negli anni Venti dell’intensa relazione sentimentale tra l’affermata poetessa e il ventiduenne emergente. La polemica tagliente e i paradossi identificarono gli scritti del primo, contraddistinti da storie a tinte forti con le quali, da spiccato individualista, si procurò l’immeritata fama di amorale.
La poetessa, una figura solitaria che ama definirsi “Colei che va sola”, spossata da profondi sbalzi d’umore, sopravvive sino al 1941, anno della sua morte. Pubblicista acuta, conta numerose collaborazioni giornalistiche ed è scrittrice di romanzi, novelle, commedie e libri per l’infanzia. Tuttavia, se Amalia scrive per soddisfare la propria eleganza interiore, Pitigrilli, che per molti personifica la frivolezza mondana, nei suoi scritti porta alla luce la personale tendenza a farsi interprete sincero del diffuso malessere sociale che, in fondo, appartiene ad entrambi.
Attento all’uso del linguaggio e deciso a rileggere le bozze, più per tagliare qua e là che per aggiungere, è abile nel sintetizzare i pensieri comuni in concetti lucidi, proponendosi una narrazione scorrevole e comprensibile a tutti. Lo comprova una sua celebre battuta: “Se volete dire che piove, dite piove”.
La sua ispirazione discende dalla realtà e da momenti autobiografici che la scrittura trasforma in storie fantastiche, non dai “paradisi inverosimili” nei quali si rifugia Amalia per sognare il proprio universo letterario. Non possiamo trascurare l’attività editoriale di Pitigrilli con la rivista Grandi Firme che, per quattordici anni, in pieno regime fascista, riuscì a mantenere la propria indipendenza intellettuale.
Fra le varie manifestazioni artistiche, la poetessa annovera la fondazione della rivista “Le Seduzioni”, dove collabora con le rubriche fisse, “Con Mani di velluto” e “Indiscrezioni”. E’ l’agosto 1926 e la storia d’amore è ormai chiusa da due anni.
Una storia tempestosa e distruttrice per entrambi. Sebbene la dedizione dello scrittore lo porti a dimenticare i torti subiti, Pitigrilli ha un carattere certamente difficile:
“Quando vedo che qualcuno mi attacca, sento lo stimolo fisico, morfologico, costituzionale, zoologico di ribattere, ingiuriare, ritorcere, contrattaccare, iniziare una polemica. Questo mi piace, mi eccita, mi esalta” [1].
E’ il tratto forse più distintivo dell’ombroso carattere dello scrittore e così lo presenta Amalia, spiegandone l’impulso “istintivo, emotivo e disincantato… Mai banale o prevedibile …Non mi ha mai fatto provare un minuto di noia: irritazione, collera, sdegno, tutto questo sì, ma noia mai…[2].
Lei ricorda che era refrattario ai favori: “Non ha mai chiesto una critica ad un giornale, è un lavoratore celerissimo…ha l’anima del bohemien odierno, del bohemien che viaggia in prima classe e non accetta nulla, soffre spesso di noia, per lui l’ordine è la più idiota delle virtù” [3].
Il suo compagno, nel privato, è il personaggio schivo e solitario che per reazione diventa spavaldo e sfrontato in pubblico, con un atteggiamento talora sgarbato e individualista, sino ad apparire l’eretico fuori del coro, soprattutto in politica ma deciso a difendere i principi nei quali crede.
Dino Francesco Segre, in arte Pitigrilli, nasce a Torino il 9 maggio 1893 [4], figlio unico di Davide e Anna Lucia Ellena. Morirà a Torino nel maggio 1975.
Pitigrilli, in fondo, è un soggetto introverso e molto intuitivo, predisposto a desiderare qualcosa piuttosto che a possederlo, coltivare i rapporti d’amicizia consolidati e non cercarli, innalzando attorno a sé una barriera difensiva verso il mondo esterno. Tale abitudine certamente non appartiene al carattere d’Amalia Guglielminetti, spesso in contrasto con il costume del compagno. Lei ha un temperamento indipendente e contrario a qualsiasi schema tradizionale e rappresenta la figura di donna che non accetta ruoli prestabiliti, ma pretende di soddisfare la propria libertà con stimoli sempre diversi, nei quali calmare la costante insoddisfazione:
“La mia vita è fatta di vertigini, pause, di ribellioni folli e di spossatezze disperate” [5].
Donna forte all’apparenza ma fragile e soggetta a depressioni violente, al tempo personaggio fra i più discussi per lo stile di vita, usa un linguaggio che sovente sfiora la brutalità. Così avviene per l’amore, nella snervante altalena d’esaltazioni e disinganni cocenti, che lo distinguono.
La relazione continua ad essere tormentata, spesso affidata a messaggi di poche righe.
Dopo anni, Pitigrilli annoterà con obiettività:
“Amalia Guglielminetti è una donna eccessiva, incoerente come un bel uragano, una scettica, una negatrice, una distruttrice, dotata di una sensualità che è la quintessenza dell’erotismo [6]
La passione si acuisce: “Voglio che tu ritorni presto con l’ampolla delle tue velenose gocce di parole e delle tue balsamiche e calde e profumate gocce di libidine” [7].
Dall’incontro dello scrittore con Tullio Giordana [8] nasce un’offerta di collaborazione per l’importante testata che si affida a penne d’assoluto prestigio, quali Prezzolini, Mario Appelius, Italo Zingarelli, Sergio Panunzio.
Inviato come corrispondente in Dalmazia per seguire la vicenda di D’Annunzio, accorso a Fiume per difenderne l’italianità, incappa in una spiacevole disavventura, disimpegnandosi in modo generico con l’articolo letterario e di colore: “Fiume, città asiatica”.
Nell’estate 1919, porta a termine, la monografia “Amalia Guglielminetti” [9] e, sul finire dell’anno, accetta la proposta di “Epoca” per l’incarico di corrispondente da Parigi.
La compagna, a questo punto, si trincera nel silenzio e ricorre alla freddezza epistolare per tenere l’uomo sulla corda o punirlo per l’indipendenza raggiunta e non esternando gli attimi di debolezza, si chiude a riccio, fedele all’abitudine di annotare a lapis sulla corrispondenza quanto le suggerisce l’emozione. Così commenta la situazione attuale:
“Io non ho alcuna colpa verso di te tranne quella di soffrire”.
A prescindere dalle contingenze private, il giornalista non si capacita di quanto la buona sorte gli ha riservato. Le aride risposte dell’amica spengono puntualmente la sua euforia, facendo intravedere l’ennesima crisi amorosa. Lei non lo raggiunge a Parigi e ritarda la partenza accampando motivazioni futili e inesistenti.
L’improvvisa popolarità dell’amante smuove, intanto, Amalia che, prospettando la seducente possibilità di un imminente arrivo in Francia, rompe il prolungato silenzio ed ha il pregio di scrollare dall’apatia il compagno. Le disillusioni, però, permangono e il commento è sferzante:
“A Parigi, quando tu, per andare a letto e al varieté col tuo amante non rispondevi alle mie lettere disperate, ho sorriso a una grande confortatrice, la vendetta. E io ne uso come di quei veleni a lunga scadenza” [10].
Fra gli innamorati intercorrono parole pesanti e l’amarezza è intensa, ma l’idillio riprende a breve, anche se gli screzi nella vita di coppia sono frequenti come chiariscono le parole di Pitigrilli:
“Tu varie volte mi hai
lasciato capire, e una
volta mi hai detto con
rammarico che io ti
comprometto in tutto il mondo
letterario.
Che tutti quanti ti chiedono
di me, quando t’incontrano” [11].
La sofferenza è intensa, i violenti litigi che scoppiano tra due personalità così complesse nulla hanno da invidiare alla finzione letteraria:
“…Voi mi avete fatto piangere come non ho mai pianto: mi avete dato le vertigini del piacere più spasmodico: voi mi toglierete la vita. Ormai sono giunto a un punto tale di passione che voi mi potreste imporre qualunque pena: anche la voglia di vivere” [12].
Le esplosioni d’odio fra Bruto e l’Istrice di velluto si alternano ad immediate riconciliazioni, in una snervante ridda di tensioni e di tregue.
Nell’aprile 1920, a Parigi, Pitigrilli termina e spedisce all’editore Sonzogno “Mammiferi di Lusso”, testo che incontra un incredibile consenso ed accresce la popolarità dell’autore: le vendite tirano con “emozionante fortuna”… Pare che tutto vada bene, ma in realtà non è così.
(1 di 2 ) continua.
Sunto tratto da “Pitigrilli e Amalia” di Silvano Volk, Gorizia 2008.
Sfidando la disapprovazione del compagno, Amalia decide di ritornare a Roma per cercare nuove fonti d’ispirazione ed una svolta alla propria carriera. Egli, tuttavia, è certo che non può essere questo l’ideale che dovrebbe lusingarla, ma, per sottrarsi a possibili ripicche, decide di avventurarsi in uno svogliato tentativo cinematografico con la Fenix, il marchio che costituisce sul momento per girare “La corona fatale”, un autentico fiasco che non arriva in visione al pubblico.
L’ambiente letterario milanese gli pare ostile, sarebbe saggio accettare l’offerta di Giordana e ritornare a Roma, “in quel giornale dove posso essere qualcuno”, senza doversi trasferire in una città di “grandi industriali della penna”. Appare stanco e sfiduciato, quasi frastornato dal successo.
Depresso ed indifferente a tutto ed a tutti, confida ad Amalia il dubbio sul valore che possono avere “due, tre, quattro libri in cui ho imbalsamato tre o quattro ideuzze strabiche…e puntellate con delle parole”. Sembra che le sue parole cadano nel vuoto perché lei ha altre prospettive:
“…Troppi uomini intorno– scrittori, cinematografari, maestri di danza, adolescenti– per essermi fedele! Tu– e voi donne– annettete così poca importanza al concedervi che non pensate alla sofferenza che proviamo noi, innamorati gelosi” [1].
Amalia vede indebolirsi il proprio ruolo predominante all’interno della coppia, deplora l'ammirazione, soprattutto femminile, di cui gode il compagno che i maligni giudicano un “cavaliere servente”. D’altra parte, per capriccioso protagonismo, non sempre smentisce la velenosa insinuazione e la differenza di età tra i due, una dozzina d’anni, si presta a salaci battute.
Il periodo pare sfavorevole, perché Pitigrilli non riesce ad evitare le intemperanze e la gelosia professionale dell’amante. Benché stressato dai contrasti e vicino a finire il suo impegno editoriale, non le rifiuta l’aiuto richiesto e collabora nella stesura d’alcune commedie: “La donna e la tigre”, “Lo stato di grazia”.
Per quanto impulsivo, all’occorrenza lo scrittore si rivela persona prudente ed attenta a non bruciarsi l’affetto dei lettori.
Con Angiolo Paschetta quale rappresentante legale, nel 1921 crea l’impresa Edizioni Sfinge e per promuovere l’attività editoriale pubblica “Il Fenomeno Pitigrilli”, la premessa, secondo i due soci, per assicurarsi pubblicità ed una solida base di partenza. Dopo la chiusura di Sfinge si rifugia a Ceresole Reale, per attenuare le chiacchiere ed i veleni di una recente storia sentimentale, così ingombranti da compromettere il suo equilibrio psichico ed il rapporto con Amalia.
L’inevitabile pandemonio provoca la feroce minaccia di padre e fratello della ragazza coinvolta, il rifiuto del matrimonio riparatore, i padrini, un duello evitato per un soffio e querele. La vicenda approda in pretura e finisce in pasto a curiosi e giornalisti, ma non frena lo scrittore che si dedica alla stesura di “Oltraggio al pudore” e, nel novembre del 1923, a “La Vergine a 18 carati”
Durante un imprecisato mercoledì, le reali emozioni del letterato riflettono quelle dei personaggi che vivono la sua realtà fantastica:
“Martirizzato dal dubbio se ci fosse qualcuno da te o se volessi semplicemente mettermi il sospetto, mi sono aggrappato all’inferriata del giardino e ho pianto come un bimbo che non ha vergogna di quelli che passano e vedono” [2].
Incoraggiato dal successo, Pitigrilli decide di concretare quanto a lungo accarezzato, affidandosi soprattutto all’esperienza giornalistica acquisita e, dal punto di vista finanziario, ai generosi introiti di romanziere. La rivista “Le Grandi Firme” debutta il 1° luglio 1924 con l’intento di presentare autori italiani e stranieri.
L’esordio favorevole non rallenta l’entusiasmo dell’editore, arrecando energia operativa e stimoli per nuove originali iniziative, che, nel dicembre 1925, portano al battesimo di “Dramma” [3], l’altra rivista di successo, affidata a Lucio Ridenti [4], attore di teatro. In redazione, però, le cose non filano nel verso giusto, poiché il direttore, aveva assunto un giornalista che contava marginali esperienze al “Piemonte” e al “Regno”. Vantando capacità apparenti, Anselmo Jona inizia a sgomitare e finisce con l’attirare l’attenzione di Pitigrilli, suscitando la gelosia professionale dell’amico Paschetta.
Dopo quattro anni d’intensa attività, “Grandi Firme” ancora cavalca l’onda del successo per quanto, a sentire le maldicenze, la nomina di Anselmo Jona [5] a capo di “Grandi Novelle” ha scatenato una zuffa tra il precedente redattore e Piti che, in un eccesso d’ira, accusava il vecchio amico d'appropriazione indebita: Angelo Paschetta si sarebbe tolto la vita non sopportando l’affronto morale.
Trascurando la costante ostilità che il Direttore deve sopportare, la rubrica personale “Tingeltangel” non lesina stoccate feroci alle “Seduzioni” [6], il giornale che Amalia Guglielminetti ha da poco tempo fondato per fare concorrenza all’ex amante.
Il giorno 11 maggio 1927, alla stazione Porta Nuova di Torino, il console della milizia Pietro Brandimarte arresta lo scrittore al rientro da Roma. L’impianto accusatorio si fonda sulla denuncia di Jona, correttore di bozze dal 1926, divenuto redattore e responsabile ufficioso di “Grandi Novelle” per una forma di simpatia che ha saputo ispirare al suo direttore. A fronte della manifesta incapacità, Pitigrilli ne decideva l’immediato allontanamento ma Jona dava seguito ad un’odiosa ritorsione: la denuncia [7] alla segreteria politica del fascio.
Coperto dal falso nome di Mino Caudana, mutuato con poca fantasia dal cognome materno Candano, Anselmo Jona presenta la sua verità.
Nel suo allucinato intervento, Jona rileva altresì il disappunto di Pitigrilli dopo il fallito attentato di Bologna a Mussolini “; non ha nascosto i suoi legami con il fuoriuscito Mario Mariani e con l’avvocato Innocenzo Porrone, socialista in odore d’antifascismo.
Il 4 maggio 1928, la denuncia giunge a conoscenza di Piero Brandimarte, comandante della Prima legione Sabauda, che perquisisce la sede del giornale e le abitazioni d'Idalgi e di Pitigrilli, dove sequestra del materiale cartaceo che in seguito manipola, facendosi altresì consegnare la corrispondenza dello scrittore contraffatta da Amalia con l'aggiunta d'ingiurie al Capo del governo.
A titolo di curiosità, Amalia ha falsificato le lettere servendosi di una macchina per scrivere Remington, noleggiata per l’occasione. L’essere stata abbandonata, le snervanti e irose polemiche hanno portato la donna all’esasperazione, sino a farne la vittima predestinata di circostanze odiose, piuttosto che il carnefice.
L’editore possiede una personalità indipendente, poco influenzabile e sa mantenere la calma nelle situazioni difficili. Durante l’iter giudiziario, il magistrato inquirente invita Amalia a dichiarare la verità. Il rapporto dei giudici annota con distacco tipicamente burocratico:
“A tali esortazioni la Guglielminetti si agita e si accende in viso e in preda a viva emozione confessa di essere stata lei l’autrice delle falsificazioni per vendicarsi dell’abbandono e degli attacchi che il Pitigrilli le faceva a mezzo stampa” [8].
Dopo trenta giorni di detenzione, la donna decide di rendere dichiarazioni più articolate che aggravano la posizione del console, finora ignorata dai giornali.
Il 4 maggio 1929, il tribunale di Torino condanna il console Brandimarte a mesi dieci e giorni diciassette di reclusione per concorso in falso ed abuso d’autorità; Jona Anselmo a mesi sette e lire mille d’ammenda per offese a Mussolini. La Corte riconosce la parziale infermità mentale di Amalia, comminandole mesi quattro di reclusione.
Le strade dei due ex amanti si separano dopo le traversie giudiziarie e non s’incontreranno in futuro, eccetto che nell’occasione - stando ai “si dice” - del ricovero in ospedale di Amalia durante la sua agonia, causata da setticemia per alcune ferite accidentali riportate durante il bombardamento del 1941.
La poetessa aveva abbandonato Torino nel 1931, non sopportando oltre l’ambiente che l’ha vista protagonista e, in una fase della carriera ormai in declino, si trasferisce a Roma per collaborare ad alcune riviste allineate al regime.
Pitigrilli ne parlerà ancora da Uscio, in Liguria, sottoposto a confino dal 10 giugno 1940, luogo in cui per caso incontra il medium capace di dargli le risposte che cercava da sempre.
Le anime che si presentano all’appuntamento rispondono alle domande, narrano la propria storia, danno suggerimenti, mentre poeti e scrittori si cimentano in componimenti letterari, a richiesta dei presenti, su temi imposti che consentono ai convenuti di riconoscere l’effettiva l’identità dello spirito.
Amalia Guglielminetti riveste un ruolo importante durante le sedute spiritiche, che lo scrittore non ha menzionato nel suo libro [9]. Ora, però, in una lettera è pronto a rivelare che Amalia “si è detta pentita d’esser stata dura con la sorella Erminia a proposito della tomba e delle 100.000 lire non lasciate a lei e destinate a un premio di poesia”[10].
Il destino si mostrerà avaro anche con Pitigrilli. Dopo la fine della seconda guerra mondiale lo colpirà la falsa accusa di essere stato al servizio dell’Ovra, l’onnipresente polizia segreta di Mussolini. E’ l’ennesima calunnia che ha amareggiato lo scrittore per tutta la vita e ne ha impedito la rivalutazione degli scritti e della pur valida produzione editoriale.
[1] Pitigrilli, lettera Alassio, giovedì 12, (1920), carteggio, cit.
[2] Mercoledì, senza indicazioni, (1918), cit.
[3] Il Dramma, n. 1 dicembre 1925.
[4] Pseudonimo di Ernesto Scialpi, per gli amici il bellissimo Cecè. Nato a Taranto nel 1895, attore di cinema e teatro, giornalista e critico. In gioventù, frequenta la scuola di recitazione di Giannino Antona Traversi. Debutta in teatro con la compagnia Gualli-Guasti, poi con Pavlova-Cialente. Abbandona le scene per una forma di sordità. Critico teatrale alla Gazzetta del Popolo. Il fascismo lo condanna a 10 anni di reclusione in contumacia e gli toglie la direzione di Dramma.
[5] Anselmo Jona (1900-1975) prende lo pseudonimo di Mino Caudana. Giornalista, nel 1941 scrive su Cinema (n. 132), quindicinale di divulgazione cinematografica, diretto da Luciano de Feo, periodico affidato, dal 25.X.1938, a Vittorio Mussolini.
Nel 1942 scrive su Primi piani, mensile di cinema diretto da Giulio Benedetti e si dedica a soggetti cinematografici per l’Incine – Viralba di Roma. Negli anni 1945, 1946, 1947 è redattore del Giornale di Roma.
Subito dopo è assunto come redattore da Pietro Nenni, allora direttore dell’Unità.
[6] Le Seduzioni, n. 1, agosto 1926.
[7] 29.XI.1927, in ACS Roma, P.S. A1, 1929, b. 25.
[8] Commissione provinciale per l’ammonizione ed il confino, Torino 23 gennaio 1928.
[9] Pitigrilli, Gusto per il mistero, Sonzogno, Milano 1954.
[10] Pitigrilli, Buenos Aires, 29 aprile 1957. Il testamento della Guglielminetti aveva provocato malumori in famiglia. Le sue sostanze erano destinate alla costruzione di una tomba a forma di piramide egizia, con l’epigrafe che lei aveva predisposto - Amalia Guglielminetti, visse e morì sola -, ed a un premio di poesia mai istituito.
[1] Pitigrilli – Zanatta, Parigi, lunedì 11 luglio 1960.
[2] Angiolo Paschetta, Intervista con l’istrice di velluto, (in) Il fenomeno Pitigrilli, Sfinge, Torino 1922, p. 18.
[4] Il certificato di battesimo riporta come data di nascita il 6 maggio 1893.
[5] M.Gastaldi, Amalia Guglielminetti. L’enigma svelato, Sandron 1930.
[6] Pitigrilli, Amalia Guglielminetti, Modernissima, Milano 1919.
[7] Cartoncino, senza data ma 1918, intestato L’Epoca-Roma. Carteggio Pitigrilli-Amalia Guglielminetti.
[8] Redattore della Tribuna di Torino sino al 1917, anno in cui diventa direttore d’Epoca. Nel 1923 succede a Malagodi alla direzione della Tribuna sino al 1925, quando, con il consenso di Mussolini, gli subentra Forges-Davanzati che procede alla fusione del giornale moderato con l’Idea Nazionale.
[9] Pitigrilli, Amalia Guglielminetti, Modernissima, Milano 1919. Profilo n. 7, collana “gli Uomini del giorno”.
[10] Lettera Martedì, (1920).
[11] Lettera Pitigrilli ad A.Guglielminetti, Giovedì, (1920).
[12] Lettera, Giovedì mattina, (1918), carteggio Pitigrilli-Amalia Guglielminetti.